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Come il coronavirus ha rafforzato il terrorismo

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Il terrorismo ha da sempre trovato nei periodi di crisi nuove opportunità per promuovere i propri obiettivi e il coronavirus, causando migliaia di morti, il collasso dell’economia globale e uno sconvolgimento socio-politico, non si può negare abbia innescato una crisi internazionale.

Se da una parte la pandemia ha nelle ultime settimane arrestato la maggior parte delle attività mondiali, dall’altra il terrorismo internazionale non ha chiuso battenti. Anzi, durante questo periodo ha intensificato le proprie attività, vedendo nell’emergenza globale una nuova occasione da non perdere.

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha infatti diffuso ovunque paura, incertezza e caos, elementi di cui il terrorismo si è da sempre nutrito. Inoltre, governi e forze di polizia, impegnati con la lotta alla pandemia, hanno concentrato maggiori risorse e attenzioni alla sicurezza sanitaria ed economica dei propri paesi, lasciando al terrorismo una più ampia libertà di manovra.

Dalle organizzazioni di matrice islamica a quelle di estrema destra, gli esperti avvertono come molti gruppi stanno approfittando della delicata situazione per rinnovare il proprio modus operandi, consolidando le tradizionali tecniche di propaganda e violenza e architettandone di nuove.

Propaganda online

Il lockdown a cui molti paesi sono stati sottoposti fin’ora ha aumentato in modo esponenziale l’uso di internet nelle case delle persone. Secondo i dati, tra inizio e fine marzo la popolazione mondiale ha trascorso il 44% in più del tempo sui social media, con un aumento italiano del 52%. Gruppi terroristici ed estremisti, associati a diverse ideologie, non si sono lasciati scappare questa occasione digitale per diffondere messaggi propagandistici, alimentare odio verso nemici comuni e radicalizzare nuovi individui.

Lo dimostrano ad esempio diversi messaggi pubblicati da gruppi jihadisti. In particolare, la principale rivista online Isis Al-Naba (l’Allarme), rinforza la retorica religiosa del gruppo ritraendo il coronavirus come un “soldato di Allah” che sta colpendo “i paesi degli infedeli e degli apostati”.

Terrorismo e coronavirus. Virus attacca il Colosseo
Manifesto pubblicato dall’Isis raffigurante il Colosseo colpito dal coronavirus. (Fonte: European Strategic Intelligence & Security Center)

Nel mirino vi sarebbero dunque l’Occidente cristiano, l’Iran sciita e la Cina comunista, aree che, stando ai dati ufficiali, sono in effetti state più significativamente colpite dal virus rispetto a Paesi a maggioranza sunnita (come Afghanistan, Iraq, Algeria, Egitto o Indonesia). Da un lato dunque i media jihadisti tendono a consolidare sentimenti antagonistici verso i tradizionali nemici, responsabili di aver combattuto contro lo Stato Islamico e di conseguenza ora soggetti alla punizione divina. Dall’altro, i leader sottolineano come le stesse forze nemiche siano ora altamente vulnerabili a causa della pandemia e dunque più facilmente attaccabili. Secondo l’International Institute for Counter-Terrorism, solo tra il 13 e il 24 marzo i canali ufficiali Isis – sia sui social networks che nel dark web – hanno visto crescere il loro pubblico da migliaia di lettori a decine di migliaia, con significativi aumenti di likes, condivisioni e retweets in merito a svariate pubblicazioni.

Anche gruppi neonazisti e di estrema destra, diventati una minaccia sempre più crescente all’interno delle società occidentali e i cui attacchi sono aumentati del 320% tra il 2014 e il 2019, stanno ora sfruttando piattaforme come Telegram, Facebook e Twitter per diffondere campagne propagandistiche. Da tradizione questi gruppi, che rivendicano la supremazia della razza bianca ariana con sentimenti xenofobi, nazionalisti e no global, sfruttano eventi attuali per alimentare pregiudizi e paure verso le minoranze. La pandemia sta offrendo loro l’opportunità di fomentare sentimenti d’odio verso comunità asiatiche, ebraiche e musulmane – colpevoli di aver creato e diffuso il coronavirus – rimarcando in tal modo retoriche anti-migranti e antisemite.

Terrorismo e coronavirus. Manifesto di estrema destra
Uno dei manifesti diffusi dai gruppi di estrema destra. (Fonte: ADL)

Tra questi, gruppi come l’American Identity Movement, hanno pubblicato tra febbraio e aprile decine di messaggi nei quali il virus viene associato a frasi come “Immigration kills”, “Globalism is the virus” o “Nationalism would have prevented this” – messaggi poi diffusi anche tramite volantini.

Il mondo digitale ha inoltre dato a movimenti white supremacist nuove idee per diffondere panico. Un dato da tenere d’occhio è infatti l’aumento del cosiddetto fenomeno zoombombing, ovvero attacchi informatici che mirano a irrompere in videochiamate sulla piattaforma Zoom (molto usata in questo periodo) manifestando contenuti offensivi. Un simile evento è accaduto a fine marzo quando, durante una conferenza Zoom di alcuni studenti ebrei del Massachusetts, un attivista di destra è entrato all’improvviso mostrando una svastica tatuata sul petto.

Richiamo all’azione e nuovi targets

Oltre all’aumentato attivismo online, agenti di polizia e di intelligence osservano preoccupati come il virus stia trasformando la pianificazione di potenziali minacce terroristiche. Il Dipartimento della sicurezza interna americana (Dhs) mette in guardia sui nuovi obiettivi a cui puntano ora terroristi ed estremisti. Sono i cosiddetti soft targets, ovvero quei luoghi e infrastrutture altamente critici e vulnerabili in questo momento di difficoltà. Ospedali, case per anziani e di cura, supermercati, luoghi adibiti ai testing.

Ne è stato un esempio l’arresto da parte dell’FBI di un militante di destra sospettato di pianificare un attacco terroristico in un ospedale per il trattamento di pazienti Covid-19, in Missouri. L’uomo, che stava già progettando un attacco da mesi – contro scuole afro-americane, moschee o sinagoghe – con l’arrivo della pandemia ha deciso di accelerare e modificare il suo piano, motivato da sentimenti razzisti e antigovernativi.

Anche leader di grandi organizzazioni come Isis e Al-Qaeda richiamano i propri seguaci all’azione, definendo questo momento come un’inaspettata opportunità per pianificare ed eseguire nuovi attacchi. Con la paura che dilaga e gli stati poco preparati, la jihad (la guerra santa) appare ora più urgente e significativa che mai. Cellule jihadiste vengono così incitate a colpire i territori del Dar al Harb (il “regno della guerra”, cioè il mondo occidentale), ora “in stato di paralisi” a causa della pandemia, “con azioni simili a quelle già compiute a Parigi, Londra, Bruxelles”.

I dati lo confermano: da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus la violenza terroristica di matrice islamica non si è fermata. Lo dimostrano ad esempio l’uccisione di 92 soldati in Chad e 47 in Nigeria da parte del gruppo Boko Haram il 25 marzo e l’attacco in un villaggio in Mozambico dove il 22 aprile alcuni affiliati Isis uccidono e decapitano 52 persone.

Gli esperti sottolineano anche che questi gruppi legati al terrorismo islamico sanno bene di non essere immuni al pericolo sanitario posto dal coronavirus. Infatti, nell’incitare i propri membri ad avanzare nuovi attacchi, i leader si accertano di diffondere anche documenti su come prevenire la diffusione del virus, in alcuni casi utilizzando anche le linee guida ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Coronavirus come arma biologica

Oltre ai metodi convenzionali, la pandemia sta offrendo alla violenza estremista nuove idee derivanti dal virus stesso. Secondo il Geneva Centre for Security Policy, infatti, un dato allarmante proveniente da diversi gruppi neo-nazisti è la richiesta ai propri membri di fare del coronavirus un’arma. “Se infetti, trasformatevi in un’arma biologica umana”. È questa la richiesta che viene fatta alle persone, incoraggiandole a diffondere intenzionalmente il virus su agenti di polizia, minoranze o politici. Tossire sulle maniglie delle porte o sul cibo nei supermercati e spruzzare saliva sulle persone diverrebbero in tal modo attacchi bio-terroristici pensati per diffondere ulteriormente caos e panico. In New Jersey, un uomo di 50 anni è stato arrestato per minaccia terroristica dopo aver tossito di proposito su un dipendente di un supermercato e un’assistente di un centro sanitario, dichiarando a entrambi di aver contratto il coronavirus.

Il Consiglio d’Europa infine allerta di pericolo bio-terrorismo anche dopo la fine dell’emergenza coronavirus. Sono stati rilevati infatti alcuni messaggi online nei quali viene suggerito a persone infette di congelare i propri liquidi corporei per poi rilasciarli in futuri attacchi biologici e dare vita a una nuova pandemia. Rispetto ai “tradizionali” attacchi terroristici, abbiamo già provato sulla nostra pelle quanto i potenziali costi di un evento del genere siano alti in termini umani ed economici.

Serve cooperazione

L’emergenza sanitaria ha sottoposto gli stati a numerose sfide, ma gli sforzi nazionali e internazionali nella lotta alla violenza terroristica non si devono fermare proprio adesso. Molti sono gli elementi vulnerabili che richiedono una maggiore protezione, come i soft targets o i giovani che si trovano a casa da settimane e che, passando tante ore online, rischiano di essere i più colpiti da propagande estremiste. Sul piano digitale molte organizzazioni, come Interpol ed Europol, si sono già mosse, aumentando le attività di identificazione, monitoraggio e rimozione di canali e pubblicazioni online da parte di terroristi ed estremisti.

È indispensabile che governi e agenzie antiterrorismo lavorino in modo coordinato a livello sia regionale che internazionale per essere sempre pronti a ogni eventuale nuova minaccia. Terrorismo e coronavirus sono accomunati dalla velocità con la quale si diffondono e dal non conoscere confini. Non è il momento di abbassare la guardia.

Susanna Foà
Milanese di nascita, ho studiato Scienze Politiche alla Statale di Milano, per poi completare un Master in International Relations and Security alla University of Birmingham. Mi piace esplorare le cose belle di questo mondo e, perché no, provare a migliorare quelle che non funzionano.

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