Ogni giorno in tutto il mondo vengono buttate via milioni di tonnellate di cibo. Questi sprechi avvengono lungo tutta la catena del valore, dalla produzione al consumo privato. La prima stima del fenomeno da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) provocò un enorme scalpore. Secondo il rapporto del 2011, fino ad un terzo del cibo prodotto a livello globale – ben 1,3 miliardi di tonnellate – non era stato consumato. Ciò non solo comporta ovvie implicazioni etiche, in un mondo dove 811 milioni di persone risultano essere denutrite, ma ha anche enormi conseguenze ambientali. Sempre la FAO aveva infatti associato alle operazioni legate agli sprechi alimentari la produzione dell’8% delle emissioni globali di gas serra, una percentuale superiore a quelle riconducibili a Paesi come la Russia, l’India e il Giappone.
Mentre in un precedente articolo ci eravamo occupati del problema del food loss, ovvero gli sprechi che avvengono nelle fasi iniziali del processo produttivo, ora parleremo del fenomeno del food waste, o gli sprechi che si verificano al livello della distribuzione e del consumo. In particolare, lo faremo concentrandoci sulla dimensione europea della questione, data sia la sua importanza quantitativa che la recente azione legislativa della Commissione Europea, con l’approvazione della strategia Farm to Fork.
I dati sullo spreco alimentare in Europa e nel mondo
A livello globale le stime sulla quantità di cibo sprecato sono prodotte dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), un’organizzazione internazionale attiva nella lotta ai cambiamenti climatici. Secondo UNEP, nel 2019 sono state sprecate circa 931 milioni di tonnellate di cibo, o il 17% della produzione mondiale di alimenti. Il 61% di questi sprechi sarebbe avvenuto a livello del consumatore, il 26% all’interno del settore della ristorazione e il 13% all’interno di supermercati e altri venditori al dettaglio. Tuttavia, le stime sono ancora preliminari e si basano su banche dati di qualità estremamente varia, e solo 17 Paesi presentano stime di alta qualità.
Per quanto riguarda l’Europa, già nel 2012 l’Unione Europea si era mossa per lanciare FUSIONS, un progetto volto a rilevare la portata del fenomeno agendo sulla formulazione di un unico standard di monitoraggio. Secondo i dati prodotti nel 2016, a livello europeo il totale di cibo prodotto ma mai consumato è stato pari a circa 88 milioni di tonnellate, di cui il 70% è stato eliminato nelle ultime fasi della catena del valore. Anche in questo caso, i consumatori privati, producendo oltre 46 milioni di tonnellate, si sono rivelati essere la principale voce a contribuire agli sprechi.
Le cause dello spreco alimentare
Ma quali sono le ragioni dietro a uno spreco alimentare tanto imponente? La risposta a questa domanda è complessa ma, ridotta all’osso, riguarda soprattutto i progressi nell’agricoltura e nella gestione del cibo, che ci hanno permesso di superare come società la condizione di scarsità di cibo. Allo stesso tempo, l’aumento dei redditi medi ha favorito l’accesso ad una maggiore quantità di cibo a sempre più persone. In questo modo, la percentuale di reddito speso in cibo è andata progressivamente a diminuire, creando sempre maggiore tolleranza per gli sprechi.
Tuttavia, per indagare le cause specifiche è necessario andare più a fondo, guardando in maniera distinta ad ogni fase della catena del valore.
In particolare, al livello della distribuzione e della vendita al dettaglio, possiamo identificare come causa principale errori nei calcoli che spesso avvengono stimando la domanda dei prodotti. Ciò è spesso molto complesso e può causare l’acquisto da parte dei supermercati di enormi quantità di prodotti che rimarranno invenduti. Spesso, per ovviare all’accumulazione di prodotti invenduti, i supermercati escogitano promozioni al fine di vendere a prezzi bassi grandi quantità di alimenti vicini alla data di scadenza. Tuttavia, in questo modo la distribuzione sta semplicemente spostando lo spreco verso il consumatore finale piuttosto che andare a risolverlo.
Inoltre, i supermercati sono spesso accusati degli sprechi provocati dall’eliminazione di prodotti edibili in fase di raccolta e di lavorazione, e ciò è dovuto al mancato rispetto di standard di vendita o di problemi estetici. Questa categoria include gli esemplari di frutta e verdura lasciati sulla pianta a causa di deformità o brutture, ma che sono perfettamente edibili, e le parti di prodotto che vengono eliminate all’interno degli impianti manifatturieri per creare prodotti più appetibili alla distribuzione, ad esempio i sandwich senza crosta.
Al livello del consumo privato e della ristorazione le cause degli sprechi sono spesso simili. Si nota infatti una certa difficoltà nella programmazione degli acquisti. Ciò è dovuto sia ad alcuni bias cognitivi tipici dell’essere umano, quali la tendenza a comprare più cibo del necessario, che ad alcuni elementi distorsivi. Parlando di questi ultimi, dobbiamo citare in particolare le già nominate promozioni in punto di vendita, che spesso portano i consumatori ad acquistare quantità eccessive di cibo, e i problemi di interpretazione delle etichette. Infatti, è comune che le diciture “da consumarsi entro il” e “da consumarsi preferibilmente entro il” vengano interpretate come equivalenti, mentre solo la prima ha effettivamente a che fare con la sicurezza del prodotto. I prodotti marcati dal “da consumarsi preferibilmente entro il” sono infatti sicuri da consumare anche dopo la data posta in etichetta, benché non presentino più condizioni ottimali riguardo alla consistenza, al sapore o, più semplicemente, ai valori nutritivi. Si tratta di un problema particolarmente rilevante, e la Commissione Europea ha stimato che fino al 10% degli sprechi alimentari prodotti ogni anno nel territorio comunitario siano connessi proprio all’indicazione della data di scadenza.
Le proposte per combattere lo spreco alimentare in Europa
A livello internazionale, la risposta al problema dello spreco alimentare è da ricercarsi nella istituzione all’interno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite del target 12.3, che punta al dimezzamento dello spreco alimentare globale entro il 2030. Legati a questa misura sono anche stati inaugurati il Food Waste Index, gestito da UNEP, e il Food Loss Index, gestito invece dalla FAO, al fine di provvedere una base empirica e valutare l’avanzamento verso l’obiettivo. Tuttavia, il tema rimane tra le parti meno considerate nell’impegno contro il cambiamento climatico. Nessuno stato, ad esempio, ha incluso questo tema nei propri obiettivi di riduzione delle emissioni nel contesto degli Accordi di Parigi.
Ciò nonostante, l’Unione Europea ha preso particolarmente a cuore questo problema, inserendo la riduzione del 50% degli sprechi alimentari all’interno delle politiche comunitarie tramite la Direttiva 851 già nel 2018. Tale Direttiva ha anche introdotto a livello europeo il concetto di “gerarchia degli sprechi”, che dovrebbe portare ad un’ottimizzazione del cibo prodotto. Inoltre, la Commissione ha messo al centro il miglioramento della raccolta dati in merito al food waste con il già citato progetto FUSIONS, a cui dovrebbe far seguito nel 2022 il primo rapporto con dati ufficiali raccolti a partire dalla metodologia sviluppata.
Il centro della politica comunitaria riguardo agli sprechi alimentari è però la cosiddetta strategia Farm to Fork, ovvero la parte dell’European Green Deal che punta a rendere sostenibile il sistema di produzione del cibo. La strategia riconosce gli sprechi alimentari come un tema fondamentale per raggiungere una condizione di sostenibilità e articola una risposta composita al problema. La misura principale è sicuramente l’imposizione di chiari target vincolanti giuridicamente agli Stati membri. Questi dovrebbero diventare ufficiali dal 2023, in seguito all’uscita dei primi dati ufficiali nel 2022. Inoltre, la Commissione si è impegnata a rivedere il sistema di segnalazione delle date di scadenza sulle etichette a partire dalla fine del 2022, proprio per far fronte alle ambiguità che avevamo nominato in precedenza. Infine, va segnalato il rinnovato impegno a incoraggiare sempre di più il riutilizzo di beni che andrebbero altrimenti sprecati durante il processo di produzione, implementando un sistema di economia circolare.
La strategia Farm to Fork è stata generalmente ben accolta dagli addetti ai lavori, che hanno apprezzato la grande ambizione del progetto e l’istituzione di target chiari e vincolanti per gli Stati membri. Tuttavia, alcuni hanno criticato la decisione di considerare all’interno delle misurazioni degli sprechi alimentari solo la fine della catena del valore, lasciando fuori gli sprechi che avvengono negli stadi iniziali della raccolta e della lavorazione.