Nel 2024, la Cina ha sostenuto la nascita di una compagnia di sicurezza sino-birmana per proteggere il proprio corridoio economico in Myanmar, dando al resto del mondo un segnale importante: la sicurezza privata cinese non è più solo una questione domestica.
Da strumento interno di controllo urbano, le compagnie di sicurezza cinesi si sono trasformate in leve strategiche della politica estera, operando lungo la Belt and Road Initiative in contesti ad alto rischio. Questo articolo ricostruisce l’ascesa e il ruolo globale della sicurezza privata cinese tra ambizioni geopolitiche, zone grigie e nuovi modelli di potere.
Dalle strade di Pechino alle rotte della BRI: l’ascesa silenziosa delle PSCs cinesi.
Per anni, le compagnie di sicurezza privata sono rimaste ai margini del sistema di potere cinese. A differenza delle loro controparti statunitensi, protagoniste già negli anni ’90 di operazioni nei teatri di guerra, le prime PSCs cinesi sono nate in sordina, nei primi anni 2000, con obiettivi modesti posti dalla crescente domanda di sicurezza da parte della nuova classe media cinese: protezione di proprietà, individui e aziende nelle grandi città. Il contesto? Una Cina in pieno boom economico, ma priva di un sistema normativo coerente per la sicurezza privata.
Il controllo statale era limitato, come è spesso accaduto nel mondo all’emergere di un’industria di sicurezza privata. Inoltre, peculiarità del caso cinese, l’impiego delle armi – simbolo per eccellenza del monopolio statale della forza – è fortemente limitato e concesso solo ad aziende con forte partecipazione statale. Nonostante ciò, le PSCs iniziarono a diffondersi, riempiendo un vuoto lasciato dalle forze dell’ordine in affanno nel tenere il passo con l’espansione urbana e sociale.
La svolta: proteggere la Cina fuori dalla Cina.
La vera metamorfosi, però, arriva nel 2013, con il lancio della Belt and Road Initiative (BRI). Il sogno infrastrutturale di Xi Jinping ha proiettato le imprese cinesi, e in primis le grandi imprese statali – o State Owned Enterprises, SOEs – in contesti geopolitici instabili e ad alto rischio. Dalla pirateria nel Corno d’Africa ai rapimenti in Pakistan, gli incidenti si sono moltiplicati. La risposta iniziale, ovvero affidarsi a compagnie di sicurezza locali, si è rivelata insufficiente. Episodi come l’attacco del 2016 a Karachi o in Mali nel 2015 hanno evidenziato la necessità di una nuova architettura di protezione.
Da qui nasce una sicurezza “con caratteristiche cinesi”: PSCs in grado di operare all’estero, ma fedeli alla visione strategica del Partito-Stato. Non contractor mercenari, ma strumenti flessibili e semi-ufficiali. Sempre più internazionali nella forma, ma rigidamente controllati nella sostanza.
Sicurezza Privata Cinese tra pragmatismo e opacità.
Pechino, però, si muove con cautela. Quando possibile, soprattutto quando c’è necessità di scorte armate, si appoggiano a società locali per evitare contraccolpi diplomatici o accuse di ingerenza. Le poche eccezioni avvengono nelle operazioni di protezione delle rotte commerciali, specie contro la pirateria, che giustificano interventi più decisi, come quelli garantiti dalla compagnia cinese HXZA.
Il progetto BRI ha reso evidente l’interdipendenza tra sviluppo economico e sicurezza. Le crisi nei Paesi partner – come in Pakistan, Kirghizistan o Africa orientale, come il Mali – hanno spesso implicato rinegoziazioni, ritardi nei progetti, o addirittura perdite di vite umane. Di fronte a questi rischi, il governo cinese ha generalmente privilegiato un approccio bilaterale, facendo affidamento sui governi centrali dei Paesi partner per garantire la sicurezza delle proprie imprese. Tuttavia, questo metodo si è rivelato spesso insufficiente: in molti casi, le autorità locali non sono in grado di controllare il territorio, o sono esse stesse parte del problema, come accade in contesti di guerra civile o fragilità istituzionale.
In questo scenario complesso, le compagnie di sicurezza private cinesi (PSCs) sono emerse come strumenti fondamentali per colmare le lacune lasciate dalla diplomazia ufficiale e dalle forze di sicurezza locali.
Myanmar, laboratorio della sicurezza privata cinese.
Il Myanmar è diventato un vero e proprio laboratorio del nuovo approccio cinese alla sicurezza privata. Nell’ottobre 2024, la giunta militare tuttora impegnata in un vasto conflitto civile con vari gruppi armati birmani, ha avviato con supporto cinese la creazione di una joint security company per proteggere le infrastrutture del China-Myanmar Economic Corridor (CMEC). Oleodotti, ferrovie, porti strategici: tutti obiettivi vulnerabili in un Paese lacerato dalla guerra civile e attraversato da un crescente sentimento anti-cinese.
Questo importante accordo commerciale è stato cementificato in nuova legge sulla sicurezza privata, approvata nell’agosto 2024, che consente per la prima volta la partecipazione straniera in joint ventures armate, limitandone però l’operatività a zone definite di “interesse strategico”. Un compromesso che permette la proiezione di potere cinese, pur senza compromettere – almeno formalmente – la sovranità del Paese ospitante.
Esportare il Modello Myanmar?
Il modello cinese di Sicurezza Privata congiunta con il Myanmar potrebbe rappresentare un precedente per altri teatri critici della BRI, come l’Africa orientale, l’Asia centrale o persino il Medio Oriente. Tuttavia, i rischi sono considerevoli. Innanzitutto, la struttura “semi-privata” consente a Pechino di prendere le distanze in caso di abusi o incidenti, ma rende difficile attribuire responsabilità legali e politiche. In secondo luogo, l’integrazione tra forze locali e personale cinese può aumentare il potenziale di conflitto, soprattutto in contesti già interessati dalla BRI dove il sentimento sociale anti-cinese è già forte, come Pakistan e Kazakhstan.
Infine, va considerata la dimensione politica interna alla Cina: il rafforzamento delle PSCs rappresenta anche un’opzione di “delega della forza” da parte dello Stato cinese, che può così esternalizzare compiti sensibili a soggetti formalmente privati, spesso invece guidati da ex-membri dell’Esercito Popolare di Liberazione o dei servizi di sicurezza.
Una nuova fase: la “Blackwater con caratteristiche cinesi”.
Come osserva Alessandro Arduino nel suo libro China’s Private Army: Protecting the New Silk Road, siamo entrati in una “terza fase” delle PSCs cinesi: quella del consolidamento globale. Le nuove compagnie non sono più meri fornitori di sicurezza. Sono entità ibride, con know-how internazionale, legami con l’esercito e funzioni che spaziano dall’intelligence alla cybersicurezza, dalla logistica alla protezione armata.
Il rischio è che questo modello sfidi apertamente i paradigmi occidentali di accountability e regolazione. La Cina sta creando, pezzo dopo pezzo, un ecosistema di sicurezza para-statale globale, alternativo a quello dominato finora dagli Stati Uniti.
Compagnie di Sicurezza Privata come strumento politico.
Oggi le PSCs cinesi operano in oltre 40 Paesi. Per ora, la maggior parte resta disarmata. Ma nei contesti più instabili – come Myanmar – il passaggio alla componente armata appare inevitabile. Non solo per difendere asset, ma per garantire continuità strategica dove né le forze locali né l’Esercito Popolare di Liberazione possono intervenire apertamente.
A livello interno, il Partito può così esternalizzare funzioni sensibili a soggetti “privati”, spesso gestiti da ex militari o membri dell’intelligence. È una delega controllata, che amplia la capacità operativa dello Stato senza esporlo direttamente.
Sicurezza privata cinese tra potere, controllo, rischio
Le PSCs cinesi non sono più semplici comparse. Sono diventate attori centrali della proiezione di potenza cinese. Agiscono in sinergia con la BRI, compensano le debolezze delle forze locali, e contribuiscono a definire una nuova grammatica della sicurezza globale.
Ma con il potere arriva anche il rischio. L’assenza di meccanismi di controllo chiari, la zona grigia in cui operano, e le implicazioni geopolitiche del loro uso in contesti ad alta tensione rendono queste compagnie strumenti potenzialmente destabilizzanti, sia per l’ordine pubblico locale, in cui i contractors sono spesso visti di cattivo occhio dalla popolazione, sia che per le delicate relazioni diplomatiche intessute dalla Cina, dove un approccio nuovo accompagnato dall’interventismo militare sarebbe sicuramente un importante cambio di passo.
Nel grande gioco della sicurezza internazionale, la Cina ha scelto di giocare secondo regole sue. Le PSCs possono diventare le pedine con cui muove, silenziosamente, la sua influenza su parte del mondo.


![*Immagine di copertina: [Mika Baumeister via Unsplash]](https://www.orizzontipolitici.it/wp-content/uploads/2024/11/immagine-di-copertina-480x320.jpg)


