Ancora una volta assistiamo al ridondante Leitmotiv che sta caratterizzando le ultime settimane: Pechino e Washington cercano di accaparrarsi il primato degli aiuti. Ma perché Islamabad è così importante per i due leader mondiali?
Due diversi approcci
La presenza americana in Asia meridionale è ben nota sia nei panni di intermediari (nel tentativo di una risoluzione per la contesa del Kashmir), sia – dai primi anni duemila – per portare avanti la lotta al terrorismo e ad Al Qaeda. Una stretta cooperazione, anche in termini finanziari, aveva sempre legato Pakistan e Stati Uniti. Nonostante ciò, l’approccio prevalente delle varie amministrazioni statunitensi è sempre stato caratterizzato da una linea d’intervento “diretto”.
In questo scenario, con un approccio completamente diverso, dal 2013 prova ad inserirsi la Cina. Il presidente Xi Jinping in questo anno annuncia un progetto infrastrutturale di dimensioni bibliche: la Belt and Road Initiative (BRI), un tentativo strategico di rivitalizzare i collegamenti commerciali più importanti – stradali e marittimi – che avevano unito per secoli la Cina con il Medio Oriente e l’Europa.
Un progetto ambizioso
Anche il Pakistan è stato inglobato in questa immensa opera: il 22 maggio 2013 venne stabilita l’arteria pakistana, ossia il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), un complesso infrastrutturale ambiziosissimo che include 3000 km di autostrada. Essa, passando attraverso la catena montuosa del Karakorum, deve unire Kashgar (provincia dello Xinjiang) con i porti di Karachi e Gwadar, scali strategici in virtù della loro posizione sul Mar Arabico. Grazie a questa rete stradale, che attraversa tutto il territorio nazionale pakistano, i tempi di percorrenza per collegare Penisola Arabica e Cina dovrebbero passare da 12 giorni a ben 36 ore – un margine di guadagno notevole. Ma l’accordo del CPEC non riguarda solo percorsi autostradali. Il progetto include anche reti ferroviarie, infrastrutture energetiche e, infine, l’impianto di ben 820 km di fibra ottica, per una capitalizzazione totale di 62 miliardi di dollari.
Un investimento rischioso
Un piano accettato di buon grado da Islamabad per l’importante stimolo che un’opera di tale dimensione potrebbe rappresentare per un’economia affamata di investimenti diretti, assai difficili da ottenere data l’instabilità politica interna. Il mastodontico investimento cinese, infatti, potrebbe sembrare azzardato: costruire un impianto di quella portata, che dovrebbe valicare passi di montagna impervi e territori esplosivi come quello del Kashmir, non è certo un’operazione semplice.
Ma è proprio la differenza di approccio di Pechino che potrebbe essere la carta vincente. Il CPEC potrebbe essere il pezzo di un puzzle strategico più grande che si fa meno dipendente dalla deterrenza e dai conflitti armati, mentre gioca sull’interdipendenza economica.
La risposta americana
Le autorità americane non hanno visto di buon occhio l’accordo. Alice Wells, ex ambasciatrice Usa in Giordania e segretaria assistente agli Affari per l’Asia meridionale e centrale, ha sottolineato che “deve essere chiaro, che lo scopo del CPEC non è l’aiuto ma è solo una forma di finanziamento – non agevolato – per facilitare imprese statali cinesi”. Ha ribadito, inoltre, come “la mancanza di trasparenza e la crescente corruzione potrebbe sfociare in un onere ancora più pesante per il Pakistan”.
Un’opportunità da non lasciare
Tuttavia, rimane un’opportunità troppo appetibile per essere lasciata fuggire: come sostiene Siegfried O. Wolf, l’Asia meridionale è sempre stata caratterizzata da una cronica mancanza di infrastrutture che andassero a collegare tra loro le località; il CPEC potrebbe colmare questa lacuna. Ma non solo: la necessità di una collaborazione tra gli Stati confinanti in quest’area è sempre più chiara. Ciò che non è ben chiaro sono le modalità tramite cui raggiungerla. Potrebbe essere quindi il CPEC un utile strumento attraverso il quale distendere i rapporti in virtù di una mutua cooperazione economica?