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Health diplomacy: l’ultima arma dell’Iran contro il Covid

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Sono ben due anni che l’Iran si trova nel pieno di un terremoto politico, economico e sociale cominciato a maggio 2018 con la decisione unilaterale degli Usa di  ritirarsi  dall’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) e la conseguente imposizione di pesanti sanzioni al Paese medio-orientale. L’anno nuovo si è poi aperto con l’assassinio di Qasem Soleimani, capo delle Guardie della rivoluzione, seguito dall’abbattimento di un aereo di linea ucraino da parte di due missili iraniani. A coronare il tutto, l’arrivo del Covid-19. Se la risposta del governo iraniano non è stata, fino ad ora, all’altezza della portata della crisi sanitaria, gli altri Paesi, a livello individuale o cooperativo, saranno capaci di implementare una strategia di health diplomacy? E qual è il ruolo italiano in questo quadro?

L’Iran e il nemico invisibile

Il Coronavirus sembra essere arrivato nel momento peggiore per l’Iran che nella regione è al momento il più colpito dalla pandemia. I dati riportano un bilancio di 90.481 contagiati e 5.710 decessi. Dati che secondo gli esperti ammonterebbero a un numero cinque volte superiore. Bisogna infatti considerare che circa 100.000 cittadini iraniani sarebbero particolarmente vulnerabili al Covid-19 in quanto soffrono di malattie respiratorie croniche, conseguenza della prolungata esposizione ad emissioni inquinanti rilasciate dalle armi chimiche utilizzate da Saddam Hussein nella guerra del 1980. Sebbene il sistema sanitario iraniano fosse uno dei più performanti ed efficienti della regione medio-orientale, anch’esso è stato fortemente colpito dalle sanzioni americane e si trova adesso al collasso con limitati rifornimenti di materiale medico-sanitario.  

Qual è stata la risposta di Teheran per far fronte al momento più acuto dell’emergenza sanitaria? Se da un lato, il governo di Rouhani non è stato in grado di imporre una quarantena totale, soprattutto a causa dell’esplosione di proteste a seguito della decisione di chiudere le moschee, dall’altro, il Ministro degli Esteri Zarif, seguito da molti Paesi europei, giornalisti e attivisti provenienti da tutto il mondo, ha lanciato un appello agli Usa affinché sospendano le sanzioni che stanno conducendo il paese allo strenuo delle forze. Teheran ha poi richiesto al Fondo monetario internazionale, un prestito senza precedenti che ammonterebbe a ben 5 miliardi di dollari, richiesta che rende il dossier iraniano particolarmente interessante in quanto tocca sia la situazione interna sia i rapporti con gli Usa. 

La richiesta di accedere al soccorso del fondo per uscire dalla crisi, accettando le clausole dettate dall’inclusione nel  meccanismo, comporterebbe infatti una rinuncia alla sovranità su alcuni capitoli di spesa. L’Iran si troverebbe così a porre fine al finanziamento delle milizie geopolitiche che conducono operazioni “proxy” all’ estero con l’obiettivo di espandere l’influenza nella regione. Inoltre, potrebbe dover tagliare i fondi ai Pasdaran, ovvero il Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica fedelissimi all’ayatollah (il leader religioso supremo) e incaricati di garantire la sicurezza interna del regime. Al contempo, particolarmente temuto è il veto che gli Usa potrebbero porre all’operazione da parte del Fmi, in quanto, con la propria quota di controllo di circa il 16%, riuscirebbero facilmente ad influenzare le decisioni del Board. 

La risposta dall’estero: health diplomacy

È forse arrivato il momento per il Presidente Trump di mettere un punto alla politica di “massima pressione” (tenendo anche conto dell’andamento fallimentare di tale strategia) e passare a una politica di health  diplomacy? In questo momento, le misure di soft power sarebbero infatti la risposta più auspicata alla crisi che sta investendo tutto il mondo. Misure che, al momento, numerosi Paesi (tranne gli Usa) stanno adottando. Un’importante iniziativa diplomatica è stata intrapresa da quattro membri del Consiglio per la cooperazione del Golfo (Oman, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar) che, oltre ad esprimere solidarietà all’Iran hanno anche mandato aiuti finanziari e materiale sanitario. Inaspettata e significativa è stata la collaborazione degli Emirati Arabi che hanno dato prova del loro intento di distensione nelle relazioni con Teheran.

Fra le nazioni che sono venute in soccorso all’Iran in queste settimane vi è anche la Cina che, insieme ad aiuti di carattere economico, ha attaccato la politica americana ricordando come le sanzioni, contrarie ad uno spirito umanitario, ostacolino la risposta del Paese all’epidemia. Pechino è stato l’attore che, più di tutti, ha dato seguito alla strategia di health diplomacy donando agli iraniani oltre 400.000 mascherine, materiale sanitario di ogni tipo e, soprattutto, 500 stanze ospedaliere prefabbricate dotate destinate ai malati Covid-19. Tuttavia, l’azione diplomatica cinese risponde soprattutto all’obiettivo di aumentare il valore di Teheran quale importante punto di giuntura per una progressiva rete di connettività regionale nel quadro della Belt and Road Initiative. Si tratta di un insieme di progetti finanziati da Pechino e finalizzati alla realizzazione o al potenziamento di infrastrutture commerciali – strade, porti, ponti, ferrovie, aeroporti – e impianti per la produzione e la distribuzione di energia nonché per sistemi di comunicazione. Il tutto per facilitare e dare ulteriore impulso a scambi e rapporti commerciali tra le imprese cinesi e il resto del mondo.

Qual è il ruolo dell’Unione Europea e dell’Italia?

L’Unione europea, per quanto stia combattendo ardentemente la battaglia contro il Coronavirus sul proprio territorio, non può permettersi di abbandonare la sua aspirazione a giocare un ruolo di primo piano nel contesto medio-orientale. In tal senso l’Ue dovrebbe esercitare una certa pressione nei confronti degli Usa affinché allentino le sanzioni, nonché facilitare una comune iniziativa tra i Paesi del Golfo al fine di adottare, insieme all’Iran, una strategia univoca per far fronte alla minaccia sanitaria. Ma l’iniziativa più importante, da parte di alcuni paesi Ue (Francia, Germania e Regno Unito) è stata l’attivazione, per la prima volta, di Instex, per mandare materiale sanitario all’Iran. Si tratta di uno “Special Purpose Vehicle”, ossia un meccanismo nato per aggirare le sanzioni americane contro l’Iran e continuare a commerciare con il Paese. Tuttavia, per quanto sia stato significativo l’intervento dei Paesi Ue, condotto soprattutto allo scopo di colmare il vuoto lasciato da  Washington, non comprendendo le sanzioni americane gli aiuti umanitari e sanitari, l’invio degli stessi sarebbe potuto avvenire anche  senza ricorrere a Instex. L’obiettivo dell’attivazione di questo meccanismo è che l’attuale pacchetto di aiuti sia solo il primo di una lunga serie di transazioni che i Paesi membri porteranno avanti con l’Iran aiutando così l’economia iraniana, danneggiata da sanzioni e dalla caduta del prezzo del petrolio. Il rafforzamento di questo meccanismo richiede però l’ingresso di altri Paesi e, di conseguenza, l’iniezione di nuove risorse finanziarie. 

In questo quadro manca infatti l’Italia che ha sempre avuto un ruolo speciale nella politica estera iraniana, soprattutto per quanto riguarda la diplomazia culturale (il 2019 è stato il 60esimo anniversario della cooperazione culturale tra i due Paesi) e la questione energetica. Nei giorni passati, Rouhani ha cercato la sponda su Roma per far leva sugli Usa a non bloccare il prestito del Fmi, ad allentare le sanzioni, nonché per persuadere il presidente Conte a prendere parte al sistema europeo Instex, da cui l’Italia è per il momento rimasta fuori. Per quanto i due Paesi si siano dimostrati reciprocamente solidali e cooperativi nella sfida al Covid-19, l’implicita richiesta dal presidente iraniano sembra avere scarse possibilità di successo: da un lato, gli Usa non sembrano voler rinunciare alla linea di massima pressione e, dall’altro lato, l’Italia non è attualmente in grado di esercitare un tale peso diplomatico. Tuttavia, essendo l’Italia uno dei principali partner europei commerciali dell’Iran, potrebbe trarre un notevole vantaggio da questo meccanismo finanziario sia per ampliare l’ambito di attività e risorse, sia per promuovere il commercio delle società italiane, sia per aiutare le piccole e medie imprese. 

Claudia Schettini
Nata a Potenza, dopo la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli, mi sono trasferita a Parigi dove ho conseguito la laurea magistrale a Sciences Po in International Security. Da che pensavo di essere designata alla carriera diplomatica... il destino mi ha invece portata ad essere una futura dottoranda.

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