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No representation, no intergenerational equity: i giovani e la politica

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Si sente dire molto spesso che l’Italia è un Paese per vecchi e che i giovani e i loro interessi sono poco rappresentati nella politica nazionale. La scarsa presenza dei giovani in politica può avere delle conseguenze sul tipo di decisioni e politiche che vengono intraprese. Se in politica nazionale i giovani sono poco rappresentati, ci si potrebbe trovare davanti a un mismatch importante tra elettorato e rappresentanza effettiva. Ma è davvero così per il nostro Paese?

I giovani nella politica nazionale italiana sono poco rappresentati?

Innanzitutto è necessario definire il concetto di “giovane”. Oggi generalmente nelle varie statistiche si prende in considerazione la fascia di età che va dai 15 ai 24 anni nel caso della disoccupazione giovanile (secondo i dati dell’Ocse), oppure dai 20 fino ai 34 nel caso del numero di Neet (come riportato da Eurostat). Tendenzialmente quindi si tratta di una fascia di popolazione molto variegata che va da giovani liceali fino a giovani professionisti. 

Con una definizione in mano, è possibile quantificare la presenza dei giovani nella politica nazionale italiana. Alla Camera dei Deputati possono candidarsi ed essere eletti tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto almeno 25 anni, mentre al Senato tutti i cittadini con almeno 40 anni. Nei grafici sottostanti si può osservare la distribuzione per fascia di età nel Parlamento, paragonata poi alla stessa distribuzione della popolazione generale.

Certamente, il numero dei parlamentari nei vari gruppi d’età è condizionato dalle regole di accesso alle istituzioni (i cosiddetti “limiti minimi d’età”). I dati evidenziano comunque che all’interno di Camera e Senato della corrente legislatura le fasce d’età maggiormente rappresentate sono quella dai 40 ai 69 anni. L’età media per il Senato e per la Camera sono rispettivamente 52,1 anni e 44,3 anni. Considerando che l’età media italiana è 46 anni (anche l’età mediana è 46 anni circa) secondo le ultime rilevazioni Istat, questo significa che i nostri organi istituzionali sono abbastanza rappresentativi della distribuzione demografica italiana. Il problema potrebbe sorgere per specifiche fasce d’età, soprattutto per quella sotto i 39 anni, in cui è evidente un problema di sottorappresentanza

Al contempo, come rilevato da OpenPolis, è interessante notare che nelle ultime legislature l’età media dei parlamentari si è abbassata fino a raggiungere il minimo storico nel 2018. Nel 2006 infatti l’età media degli eletti superava i 50 anni per entrambe le camere, precisamente 57 al Senato e 51 alla Camera. Se non altro quindi, la classe politica italiana si è svecchiata. Ad abbassare la media della diciottesima legislatura sono principalmente gli eletti del Movimento 5 Stelle (più del 50% dei suoi eletti ha meno di 39 anni) e della Lega (il 20%) alla Camera. Anche al Senato sono i gruppi parlamentari con la media più bassa, ma poiché l’età minima è 40 anni, il dato risulta meno cospicuo.

Rappresentanza giovanile nel mondo: riforme ed effetti

Se guardiamo a dati internazionali, l’Italia rientra perfettamente nella media (l’età media dei parlamentari nel mondo è pari a 53 anni, quindi relativamente alta) e non sembrerebbe un Paese più vecchio di altri in termini di rappresentanza politica. Anzi, l’Italia risulta l’undicesimo Paese al mondo per numero di parlamentari sotto i 30 anni e il diciottesimo se si considerano i membri del parlamento con meno di 40 anni: sembrerebbe quindi addirittura uno degli Stati con più “giovani” in politica. Anche per quanto riguarda l’età minima per essere eleggibili l’Italia si posiziona nella media globale: per le camere basse (la nostra Camera dei Deputati) i 25 anni di età sono uno standard, mentre per le camere alte (il nostro Senato) si arriva intorno ai 40 anni. 

Nonostante la relativa giovinezza, o meglio non-anzianità, dei parlamentari italiani (rispetto alle regole per cui si può essere eletti e ai dati di altri Paesi), ciò che persiste nel dibattito politico è la trascuratezza dei temi spesso associati ai giovani: istruzione, mercato del lavoro (basti pensare al problema dei Neet) e cambiamento climatico su tutti. Un’assenza che può aumentare la sfiducia e l’apatia da parte dei più giovani nei confronti della politica. Proprio per aumentare il coinvolgimento dei giovani, alcuni Paesi hanno deciso di abbassare l’età in cui si ottiene il diritto a votare ai 16 anni. Tra questi, figurano Austria, Argentina, Brasile, Estonia e Malta. Queste riforme costituzionali hanno portato effetti benefici e hanno evidenziato un aumento nella partecipazione effettiva e l’informazione tra i giovani di questi Paesi. In Austria, i giovanissimi mostrerebbero più fiducia nelle istituzioni democratiche di tutte le altre fasce di età oltre, specialmente secondo i dati riguardanti le elezioni del 2017. 

Per quanto riguarda la convergenza sulle priorità tematiche tra elettori ed eletti, una parte della letteratura accademica ha studiato inoltre il legame tra rappresentazione formale ed effettiva. Vari politologi hanno trovato evidenza scientifica secondo cui gli elettori scelgono di votare candidati simili a loro dal punto di vista socio-economico (la cosiddetta “identity politics”), poiché si aspettano che a una somiglianza formale (ad esempio a livello di genere ed etnia, ma anche di età) corrisponda una vicinanza di idee. Gli elettori giovani sembrano effettivamente più portati a votare per candidati altrettanto giovani. Vari ostacoli limitano però la misura in cui ciò avviene: oltre a barriere costituzionali (età minima per candidarsi), ci sono anche quelle dei sistemi elettorali. Se per esempio le liste elettorali sono chiuse come in Italia, gli elettori non possono esprimere una propria preferenza e quindi sono le scelte interne ai partiti a giocare il ruolo principale nella scelta dei candidati. 

Politici anziani, politiche pubbliche contro i giovani? Il problema è la demografia

Non esistono solo ostacoli di forma che limitano le opportunità dei giovani di eleggere altri giovani e diminuiscono le probabilità di vedere rappresentate le loro istanze, ma anche problemi strutturali come la composizione demografica. Per farsi eleggere infatti, i politici devono ottenere  il favore della maggior parte degli elettori e, secondo la teoria dell’elettore mediano, ciò li porta a cercare di soddisfare le preferenze degli elettori che si trovano al centro della distribuzione dei votanti. Se, ad esempio, su una scala da uno a dieci la maggior parte della popolazione si trova in accordo con la posizione al numero 5, i politici cercheranno di soddisfare proprio le preferenze di quegli elettori, in modo da massimizzare la loro possibilità di vittoria. 

Se proviamo ad applicare questa teoria alla distribuzione della popolazione italiana per fasce di età – la cosiddetta piramide demografica – potremmo pensare che i politici cerchino di soddisfare le richieste e preferenze delle fasce d’età più popolose. Nel caso italiano, se in termini di popolazione generale l’età mediana corrisponde a circa 45 anni, l’elettore mediano italiano ha invece 10 anni in più visto che soltanto i maggiorenni possono votare. Questo, sempre teoricamente, porterebbe la politica italiana a soddisfare di più le preferenze di un elettore o elettrice di 55 anni.

Un elettore di 55 anni potrebbe essere più interessato alle proprie prospettive di pensione, mentre un giovane di 18 anni potrebbe avere come priorità un sistema di istruzione efficiente e un mercato del lavoro virtuoso. In linea con questo ragionamento, uno studio in Svizzera, per esempio, ha dimostrato che con l’aumentare dell’età mediana nella popolazione (e aumento del numero di pensionati) diminuisce la spesa pubblica per studente nell’istruzione. Allo stesso modo, un altro studio negli Stati Uniti è riuscito a identificare un chiaro nesso tra vecchiaia della popolazione e scelta politica della spesa nell’istruzione, confermando i risultati di altre ricerche: più la popolazione invecchia, più ci si aspetta una diminuzione della spesa pubblica nell’istruzione

Le istanze dei giovani hanno bisogno di una reale rappresentanza in politica

In conclusione, nonostante la classe politica italiana nazionale possa essere annoverata tra le più giovani al mondo (merito anche di una media globale già decisamente alta), ciò che persiste è un problema di sottorappresentanza delle istanze giovanili. La giovinezza della politica italiana è infatti solo relativa, in quanto misurata ad esempio su limiti minimi di età per potersi candidare. Se è poi vero che per i candidati (e gli eletti) le questioni più politicamente attraenti da rappresentare sono quelle dei gruppi demografici più numerosi, in un Paese particolarmente anziano come l’Italia, ne consegue che i temi più cari ai giovani, come istruzione e politiche attive per il mercato del lavoro, non trovano sufficiente spazio nei luoghi di decisione pubblica. È anche per questo che negli ultimi tempi è nato un grande dibattito attorno al tema dell’equità intergenerazionale, proprio per evidenziare la necessità della politica di garantire alle nuove generazioni pari opportunità di sviluppo in futuro. Va inoltre considerato che la poca rappresentanza “tematica” può poi tradursi anche in un calo di partecipazione diretta in politica. Possono riforme che incentivano l’elezione dei giovanissimi, ad esempio tramite quote per età (sulla falsariga delle quote rosa), spezzare questo circolo vizioso? 

Giovanni Polli
Nato a Vicenza nel '99. Sono uno studente di scienze politiche presso l'Università Bocconi. Oltre ad essere un appassionato di politica, sono un vorace consumatore di musica; probabilmente sono l'unico a comprare ancora CD. In Veneto ho sviluppato anche un'altra delle mie più grandi passioni: lo spritz, rigorosamente a tre euro!

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