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Prezzi più alti e scaffali vuoti: cosa significa la crisi delle Global Supply Chains

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La pandemia di Covid-19 ha lasciato un problema distruttivo nella sua scia: la crisi delle global supply chains. La rapida diffusione del virus nel 2020 ha causato la chiusura forzata di numerose industrie e infrastrutture cruciali in tutto il mondo, comportando una riduzione dell’attività commerciale. Con l’allentamento delle misure di isolamento, la domanda aggregata è aumentata a dismisura, cogliendo le catene di approvvigionamento globali impreparate

L’attuale stato delle supply chains globali

La carenza di materie prime è diffusa in vari settori. Dal rame ai minerali ferrosi, passando per l’acciaio, ma anche caffè, grano, semi di soia, legname e semiconduttori. Tom Linebarger, amministratore delegato del produttore di motori Cummins Inc., ha ammesso che qualsiasi merce, dalle commodities alla componentistica, probabilmente si trova in scarsità al momento. Di pari passo, sono aumentati drasticamente i prezzi, data una crescita della domanda oltre le aspettative nelle due più grandi economie mondiali, Stati Uniti e la Cina.

Negli ultimi decenni, la globalizzazione ha portato numerose multinazionali ad espandere le loro operazioni in cerca di costi minori, accesso alle materie prime e nuovi mercati per l’export, a beneficio di azionisti e consumatori. Il sistema delle moderne catene di approvvigionamento è stato disegnato attorno al criterio dell’efficienza e della logistica just-in-time, introdotta da Toyota e altre multinazionali giapponesi negli anni novanta, una strategia di gestione delle scorte che mira a consegnare le merci immediatamente prima che siano necessarie per la fase logistica successiva, mantenendo i prezzi bassi. Con l’avvento di uno shock esogeno come la pandemia da coronavirus, i pilastri della strategia manageriale in atto si sono dimostrati inadeguati. 

I prezzi dei beni alimentari sono in grande aumento, a discapito del consumatore. Il prezzo dell’olio di palma è aumentato del 135% in un anno, marcando un record; i semi di soia, per la prima volta dal 2012, hanno raggiunto i 16$ per bushel. Tutti i principali indici sono in aumento. L’indice delle Nazioni Unite per i beni alimentari ha registrato prezzi in rialzo per 11 mesi consecutivi, mentre il Bloomberg Commodity Spot Index è ai massimi dal 2011. 

Le cause della crisi delle catene globali del valore

L’espansione delle supply chains ha moltiplicato i rischi di trasporto, come il noto caso del canale di Suez, e il rischio geopolitico. Negli ultimi sette anni le imponenti barche capaci di trasportare fino a 23.964 container per tratta hanno visto il tasso di incidenti aumentare a ritmo sostenuto. Solo nel 2020, più di 3000 container sono affondati nell’oceano. L’attuale crisi ha evidenziato il livello di interconnessione dell’economia globale e quanto fragili possano essere le catene di approvvigionamento globali in questi casi. Il prodotto finito acquistato dal consumatore, infatti, dipende da numerosi paesi e aziende transnazionali coinvolte nel processo. L’impatto del Covid è innegabile: molteplici lockdown e domanda repressa, aziende in stallo di produzione e difficoltà di previsione manageriale di fronte all’incertezza. 

Ad aggiungersi, diverse parti del mondo stanno affrontando differenti problematiche. Per esempio, la produzione Cinese è stata fortemente ridotta data la carenza di energia, con città nel nord del paese forzate a razionare l’elettricità disponibile. ll Regno Unito sta accusando la scarsità di camionisti, in parte imputabile alla Brexit, alle lunghe attese e stipendi stagnanti. Gli Stati Uniti e l’Europa si trovano a fronteggiare condizioni simili, con colli di bottiglia nelle principali infrastrutture strategiche. La carenza di componentistica essenziale, soprattutto chips, insieme alle dure restrizioni Covid hanno impedito a hub manifatturieri come il Vietnam di assemblare prodotti ad un ritmo sostenuto. 

Sullo sfondo, il problema comune è stato l’empasse portuale, da Los Angeles a Liverpool, da Qingdao a Queensland. Durante la pandemia, il virus ha infettato numerosi operatori portuali, forzando numerose chiusure e alterando l’andamento del commercio globale. Il problema persiste anche quando i beni riescono ad arrivare nei porti di destinazione. Infatti, la mancanza di forza lavoro aggiunge un ulteriore stress per le catene globali del valore, causando un rallentamento nel processo di carico e scarico dei containers. Negli Stati Uniti si parla di Grandi Dimissioni, dato il livello più basso di partecipazione alla forza lavoro dalla Seconda Guerra Mondiale. 

Porti e container sono fondamentali per il commercio globale

Il 90% del commercio internazionale avviene per via marittima in grandi containers: 11,1 tonnellate di prodotti attraversano gli oceani annualmente, stando al World Shipping Council. Nell’imprevedibilità dell’ aumento repentino della domanda aggregata causata dalle riaperture, numerosi container si sono ritrovati impilati nei porti, in attesa di essere scaricati. 

Nel luglio 2021, per esempio, un focolaio nella Cina meridionale ha portato alla chiusura di un porto attorno al delta del fiume delle Perle. Circa un terzo delle navi cargo che arrivano a Los Angeles, il principale porto americano, arriva dai porti della regione cinese. Le merci e i beni intermedi bloccati nei porti per settimane hanno causato numerosi disagi lungo le catene di approvvigionamento e i ritardi accumulati hanno portato i prezzi dei container ad aumentare vertiginosamente. L’indice di spedizione Drewry, che misura il costo dei container standard, ora a $9.192,50, è aumentato del 291% in un anno. In alcune delle tratte più trafficate, come dalla Cina al più grande porto europeo di Rotterdam, il costo di spedizione è aumentato di sei volte nell’ultimo anno.

La struttura dell’industria dei container

Nell’ultima decade, l’industria dei containers si è consolidata attorno a pochi players influenti attraverso numerose fusioni e acquisizioni. Hapag-Lloyd ha acquisito CSAV e UASC;  Maersk Line ha inglobato Hamburg Sud, mentre il gigante cinese COSCO Shipping ha speso 6,3 miliardi per altre compagnie del settore. Una tale concentrazione di quota di mercato comporta un rischio di eccessiva dipendenza dalle sorti di pochi attori influenti. Le compagnie rimaste dopo le fusioni, responsabili dell’80% delle spedizioni a livello globale, hanno fatto sì che i prezzi rimanessero relativamente controllati, anche durante la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina durante la presidenza Trump. 

Aspettative al ribasso per la crescita globale: pericolo stagflazione?

La ripresa nella prima metà del 2021 è stata rallentata dalle interruzioni delle supply chains globali. Lo stallo portuale, la carenza di forza lavoro, materie prime essenziali e beni intermedi ha costituito una “tempesta perfetta” per un picco inflazionistico al di sopra del 2%, il target delle Banche Centrali. Numerosi analisti a Wall Street e policy makers anticipano uno scenario “Goldilocks”, cioè un’inflazione temporanea che svanirà con un riassestamento delle catene di approvvigionamento globali e un minore impatto delle varianti del virus. Nel medio termine però, Nouriel Roubini, professore di economia alla NYU Stern, suggerisce che la persistenza degli shock negativi lungo le supply chains porterebbe ad uno scenario di stagflazione, con inflazione galoppante e crescita indebolita. 

Secondo Mohamed El-Erian, consigliere di Allianz, la riduzione di output nelle industrie cinesi è un chiaro segnale che l’economia globale può rimanere stagnante mentre i prezzi, riflettendo le interruzioni delle catene globali, salgono. Sempre per El-Erian, i Governi di tutto il mondo devono ripensare rapidamente la loro strategia perché i tre elementi di questa crisi, offerta incapace di mantenere il ritmo, carenza di forza lavoro, e logistica dei trasporti inadeguata, possono portare ad una crescita stagnante e prezzi in rialzo. In questo scenario, l’indice di fiducia delle aziende nel Regno Unito, per esempio, è al collasso.

L’impatto senza precedenti di questa crisi si riflette sui consumatori ed è difficile prevedere una fine. Katie Koch, asset manager di Goldman Sachs, crede che l’attuale crisi si protrarrà fino al 2022. Tim Uy di Moody’s Analytics suggerisce che la situazione peggiorerà prima di sistemarsi. Anche in vista delle festività natalizie, numerosi scaffali di piccoli e medi commercianti rimangono vuoti, data la serie unica di circostanze. 

Il futuro delle Global Supply Chains in uno scenario post-pandemico

Il futuro delle catene di approvvigionamento è più che mai incerto. Flavio Romero Macau, esperto di supply chains, ritiene l’attuale crisi un espediente sufficiente a ripensare l’intero sistema di approvvigionamento delle aziende, con catene del valore accorciate, più autosufficienza, meno dipendenza dalla Cina, con costi del lavoro in aumento, e un orientamento della produzione verso Vietnam e Messico. Qualsiasi tentativo di ridisegnare le catene del valore dovrà considerare un management più efficiente del rischio e un’enfasi sulla resilienza degli approvvigionamenti. 

Leonardo Oneda
Nato nel 1999 nelle Marche. Europeo. Affascinato dalle sfide degli affari internazionali, con una curiosità spiccata per la politica economica e commerciale. Studente del Master in Global Management and Politics in LUISS. Laureato con lode in Relazioni Internazionali e Scienze Politiche presso l'Università di Bologna. Erasmus a Madrid, IE University.

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