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Come il covid-19 cambia le carceri. Il dossier

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Le carceri italiane tornano ciclicamente al centro delle cronache nazionali, ed accade purtroppo anche durante l’attuale pandemia di Covid-19. È accaduto poche ore fa, quando al Sant’Orsola di Bologna è stato registrato il primo caso di decesso di un detenuto risultato positivo al test del coronavirus, un italiano di 77 anni. Ed è accaduto soprattutto in occasione delle rivolte dei detenuti scattate nella mattinata di sabato 7 marzo, quando una protesta trasversale a oltre 40 istituti penitenziari italiani ha indotto parte della popolazione carceraria ad arrampicarsi sui tetti, appiccare roghi, evadere. Il bilancio è pesante: 6mila detenuti coinvolti, oltre 40 feriti della polizia penitenziaria e 14 morti.

È un intreccio variegato a costituire l’intelaiatura delle ribellioni. Un insieme di vecchie e nuove problematiche che si annodano in uno spazio alle propaggini della società civile, dove le difficili condizioni sociali di provenienza della popolazione carceraria incrociano l’informazione scarna e frammentaria, esasperando la tensione già palpabile su tutto il territorio nazionale in un momento confusionario come quello che stiamo attraversando. È la decisione con cui il ministero della giustizia ha previsto la sospensione dei permessi premio, del regime di semilibertà e dei colloqui con i familiari per contenere la diffusione del coronavirus, il fil rouge delle proteste. Ma il concorso di cause tra l’assenza di notizie chiare e la sensazione di insicurezza derivante dal tasso di sovraffollamento ha fatto il resto: il distanziamento sociale è  difficile da mantenere quando il surplus raggiunge la media del 120%, e queste condizioni spaventano i detenuti.

Il sovraffollamento delle carceri in Italia e il covid-19

Il sovraffollamento carcerario è un problema endemico ai penitenziari italiani. Il prospetto offerto dal Ministero della giustizia al 29 febbraio 2020 – l’ultimo aggiornamento disponibile – mostra come il numero di detenuti in Italia sia di 61.230 a fronte di una capienza complessiva degli istituti di pena pari a 50.931 posti, diminuita peraltro dopo le manomissioni delle celle seguite alle proteste violente delle scorse settimane. Un dato, quello sulla popolazione carceraria, in linea col trend ascendente dell’ultimo quinquennio, che ha fatto registrare un aumento di oltre 9mila unità: al 31 dicembre 2015 i detenuti reclusi nei penitenziari italiani erano, infatti, 52.164. Mai così pochi dal 2007.

Dopo il minimo di detenuti raggiunto nel 2006, quando l’indulto promosso dal governo Prodi ha fatto scendere la popolazione detenuta sotto la soglia delle 40mila unità,  la popolazione carceraria è stata in continuo aumento, al punto da far registrare tra il 2009 e il 2013 picchi vicini ai 70mila detenuti. Ma, nonostante l’aumento del 13% dei posti tra il 2010 – quando si registrava una capienza di 45mila unità – e il 2019 – con i poco più di 50mila posti – il tasso dei reclusi è stato negli ultimi anni di gran lunga superiore rispetto alla capienza disponibile, come dimostrato dal rapporto semestrale redatto dall’associazione Antigone a Luglio 2019. Le rilevazioni hanno fatto registrare tassi di sovrannumero pari al 200% nei penitenziari di Como, Brescia, Larino e Taranto: istituti dove due detenuti vivono nello spazio che dovrebbe essere riservato solo ad uno.

Nel 30% degli istituti visitati dall’associazione erano inoltre state riscontrate celle dove non si rispettava il parametro minimo dei 3 metri quadri per detenuto, al di sotto del quale si assesta per la giurisprudenza europea il trattamento inumano e degradante. Numeri che hanno fatto dell’Italia lo Stato con il tasso di sovraffollamento più alto nell’Unione Europea nel 2019, e che, letti alla luce dell’attuale emergenza coronavirus, assumono una connotazione ancor più scabrosa, ponendo rilevanti interrogativi sulla capacità dei penitenziari di fronteggiare questa situazione.

Le prescrizioni impartite dalle autorità sanitarie sono di evitare i contatti personali, mantenere le distanze di sicurezza, usare i dispositivi di protezione e fare attenzione all’igiene personale. “Ma nelle carceri italiane – spiega a OriPo Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone – c’è una tale condizione di affollamento che si pone in perfetta antitesi rispetto al distanziamento sociale che noi tutti stiamo sperimentando. Si dice giustamente che dobbiamo stare a un metro di distanza, ma lì persone che non fanno parte dello stesso nucleo familiare vivono in 3-4 nello spazio di 10 mq, con bagno e docce in comune, ponendo a repentaglio la propria salute e quella degli operatori di polizia penitenziaria, e facendo delle carceri potenziali bombe sanitarie”.

I dati sul tasso dei contagi nei penitenziari non sono stati resi noti, ma ciò che si temeva è accaduto: il coronavirus è entrato nelle carceri ancor prima che si concretizzassero le rivolte di inizio marzo. “Il dato al 25 marzo è di 15 detenuti contagiati”, ha affermato al question time alla Camera il ministro della Giustizia Bonafede, al vertice del gruppo di lavoro che ha partecipato alla costruzione del decreto Cura Italia in cui compaiono, tra le altre, misure tese a mitigare l’emergenza nei penitenziari: arresti domiciliari a chi deve scontare una pena inferiore ai 18 mesi e l’applicazione del braccialetto elettronico se la pena è superiore a 6 mesi, escludendo dai benefici i condannati per i reati più gravi, i delinquenti abituali, i detenuti particolarmente conflittuali, quelli che hanno commesso delle infrazioni disciplinari nell’ultimo anno, quelli che hanno partecipato alle proteste del 7 marzo 2020, e i senza fissa dimora. “Provvedimenti tradivi e non sufficienti – ammonisce Gonnella. – L’emergenza non è rientrata perché la situazione di sovraffollamento carcerario resiste. C’è bisogno di coraggio per attuare provvedimenti di tipo deflattivo: le prime scarcerazioni sono state effettuate applicando la legislazione previgente in maniera espansiva e non usando quella nuova. Serve invece una legislazione d’emergenza per fronteggiare questo periodo, scarcerando i detenuti malati e le persone a fine pena e creando spazio. La politica deve riappropriarsi della funzione pedagogica. Se non ora, quando?”, conclude.

Aspre critiche sono state mosse anche dal plenum straordinario del Consiglio superiore della magistratura, rigido nel denunciare l’insufficienza di misure che – affermano i membri del Csm– non consentono a una porzione non esigua della popolazione carceraria di usufruire dei provvedimenti per assenza di un effettivo domicilio, e pongono problemi di indisponibilità degli strumenti di controllo elettronici per chi invece potrà fruire dei vantaggi.

Il confronto con le carceri minorili

Il problema dei numeri nelle carceri italiane diventa lampante quando la loro situazione viene paragonata a quella nelle carceri minorili. In queste strutture il numero di detenuti totale è infatti di 350 a fronte degli oltre 61mila adulti presenti negli istituti. Numeri che fanno la differenza secondo Simona Verdiglione, direttrice in contemporanea del carcere minorile di Torino e della casa circondariale di Bari. “Mentre gestire i detenuti adulti si è rivelato fin dall’inizio complicato a causa del loro numero, gestire i ragazzi a Torino è stato molto più semplice. Non solo perché ovviamente il numero ridotto, si tratta di 42 giovanissimi, e la loro età permette un rapporto quasi ‘da mamma’ e mi ha consentito di spiegare le nuove misure e rispondere alle loro domande in unico incontro. Ma anche e soprattutto perché ottenere quanto necessario è stato estremamente più semplice: per i colloqui ad esempio è viaggiato molto più spedito perché non abbiamo dovuto aspettare un contratto nazionale con i software che lo prevedono, ma abbiamo potuto far usare le videochiamate Whatsapp”.

Una situazione diversa confermata anche dalla Garante del penitenziario minorile di Torino Monica Cristina Gallo, che racconta della fiducia con cui i giovani si sono lasciati guidare nella nuova situazione e della ricettività dell’istituto stesso che si è attivato per venire incontro alle loro esigenze, anche le più “quotidiane” come quelle di una playstation nuova o di afflusso di cibo tramite una collaborazione con il Banco Alimentare. “A Bari invece, complici anche pressioni esterne dei parenti, i detenuti sono molto più irrequieti e gestire così tante persone non è semplice. Per questo credo che in questa situazione sia giusto alleggerire le strutture penitenziarie. Ciò detto credo nella giustizia e nella forma che è garanzia di sostanza, e proprio per questo non chiedo indulti o amnistie, ma semplicemente che siano dati i domiciliari a quei soggetti che possono usufruirne. La situazione non si può ancora definire rientrata e credo che sia giusto in questo momento comprendere le esigenze di tutti e risolvere questo sovraffollamento”.

Il sovraffollamento nell’Unione Europea

Non solo il sistema penitenziario italiano affronta problemi legati a un surplus di detenuti rispetto alla capienza. L’aggiornamento di ottobre 2019 dello European Prison Observatory, l’osservatorio sui penitenziari europei coordinato dall’associazione Antigone, evidenzia come la popolazione carceraria nell’Ue sia pari a 584.485 con il Regno Unito e la Polonia in testa per numero totali dei detenuti, seguiti da Francia, Germania, Italia e Spagna, il cui numero dei detenuti si aggira attorno ai 64mila per ciascuno Stato. Ma tra questi solo Italia e Francia soffrono di sovraffollamento carcerario, con tassi variabili compresi tra il 115 e il 120%. Altri stati con problemi di sovrannumero di detenuti sono Romania e Ungheria, seguiti da Danimarca, Austria, Grecia, Repubblica Ceca, Portogallo, Slovenia, Malta e Belgio, il cui tasso oscilla tra il 100,5% e il 109,3%, mentre i restanti 16 Paesi europei hanno più posti che detenuti attualmente nei penitenziari, potendo affrontare l’emergenza coronavirus con maggiore serenità.

Il resto del mondo

L’ingresso del coronavirus nelle prigioni desta preoccupazione anche a livello internazionale. Dopo la tranquillità di facciata, gli Usa di Donald Trump fronteggiano una pericolosa ondata che non ha mancato di investire i penitenziari: casi positivi sono stati registrati nelle prigioni della Pennsylvania, Michigan, New York e dello stato di Washington. Per questo, e per la paura dettata dalla presenza di un alto tasso di persone a rischio – circa il 20% della vasta popolazione carceraria statunitense ha più di 50 anni – diversi stati americani hanno deciso il rilascio dei detenuti macchiatisi di reati minori, a fine pena e colpiti da infermità. Tra i maggiori, California, New York, Ohio e Texas.

Il 26 febbraio il Ministero della Giustizia di Pechino ha diffuso uno studio sull’impatto del Coronavirus sul sistema detentivo cinese, riportando 555 casi di positività in 5 istituti penitenziari di tre province differenti: Hubei, Shandong e Zhejiang. Il carcere femminile di Wuhan è il più colpito con 230 casi, mentre la prigione di Rencheng ha fatto registrare 207 malati. Tra i casi di positività, anche molti operatori penitenziari: circostanza che ha condotto al licenziamento in tronco di decine di funzionari, accusati dal governo centrale di non aver adottato le dovute precauzioni. Molti attivisti politici hanno tuttavia evidenziato le scarse condizioni di igiene e il sovraffollamento: in spazi per 15 persone, 20-30 detenuti sarebbero stati ammassati in condizioni igieniche precarie.

Tassi alti, ma notevolmente inferiori rispetto a quelli registrati nelle Filippine, stato con la percentuale di sovrannumero maggiore al mondo secondo il rapporto Global Prison Trends 2019: nel carcere della città di Manila 518 uomini sarebbero infatti contenuti in spazi riservati a un massimo di 170 detenuti e a questo dato va aggiunta la scarsa presenza di operatori penitenziari, uno ogni 528 prigionieri. In Iran l’epidemia è fuori controllo: situazione che ha costretto il regime al rilascio di 85mila persone, inclusi prigionieri politici, mentre a San Paolo, nel sud-est del Brasile, un esodo di massa ha fatto seguito alla decisione di sospendere i permessi per le uscite in libertà vigilata per contenere la diffusione del virus. Gli effetti del coronavirus sono arrivati anche in Egitto: oltre al programma delle visite parentali, saltano anche le udienze. Tra i detenuti in prigione, anche Patrick Zaki, studente del master in studi di genere e delle donne all’università di Bologna, in custodia cautelare con l’accusa di propaganda sovversiva: la sua udienza, al momento, è fissata al 6 aprile.

Ha collaborato Giunio Panarelli

Pierfrancesco Albanesehttps://orizzontipolitici.it
Nato a Galatina (Le) nel 1998. Dalla prima caduta le testate fanno parte della mia vita: soprattutto quelle giornalistiche. Collaboratore di Leccenews24 e Piazzasalento, studio Giurisprudenza presso l'Unisalento.

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