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Latinos e The Squad: le ultime armi della campagna di Sanders

Tempo di lettura stimato: 8 min.

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Bernie Sanders, il più anziano e socialista tra i candidati della campagna elettorale USA, è senza dubbio tra i protagonisti di queste primarie democratiche. Quella del 2020 non è la sua prima corsa per le presidenziali: nel 2016 si era sfidato e aveva perso contro Hilary Clinton. Sebbene la posizione di Sanders sembrasse essere molto più favorevole in questa campagna 2020, i risultati hanno finora deluso le aspettative.

Sotto i riflettori

Da candidato poco conosciuto del piccolo Vermont, promotore di un insolito messaggio, Sanders ha guadagnato l’attenzione dei media. Si è istituito così come figura nazionale, garantendosi sempre un po’ di spazio nelle news. Stavolta, infatti, Sanders è, tra i democratici, uno dei più riconosciuti. Tale profilo di spicco lo ha reso un candidato temuto dagli altri, così da diventare facilmente bersaglio dei loro attacchi.

Questo maggior supporto si è tradotto, chiaramente, in maggiori risorse finanziarie. Sanders ha raccolto, infatti, oltre 18 milioni di dollari nelle prime sei settimane della sua campagna, contro i 15 milioni raccolti nei primi due mesi quattro anni fa.

The mythmaker

Sanders si è costantemente definito a democratic socialist, facendosi alfiere delle riforme sociali più radicali. L’accusa che è gli stata e gli è tutt’ora mossa è quella di perseguire politiche eccessivamente radicali, che ad altro non porterebbero se non alla rielezione di Donald Trump in caso di una sua eventuale vittoria.

Tali politiche sembrano però aver trovato il loro spazio vitale nello scenario statunitense, storicamente e tradizionalmente promotore di un ideale strettamente individualista. Sanders, nella lettera con la quale, nel febbraio 2019,  annunciava la sua candidatura, scriveva “tre anni fa, durante la campagna del 2016, ci è stato detto che le nostre idee erano radicali ed estreme. […] che erano concetti che gli Americani non avrebbero mai accettato. Bene, tre anni sono passati. E, come conseguenza di milioni di Americani che si sono opposti e hanno reagito, tutte queste politiche sono ora supportate dalla maggioranza di loro.”

David Brooks, opinionista del NY Times, scrive che i candidati presidenziali di successo non raccontano semplicemente una storia, creano un mito. Nel 2016 Donald Trump avrebbe così raccontato un mito di successo e i suoi sostenitori, non semplicemente credono a quel mito, ma l’ hanno interiorizzato. Esso plasma il modo in cui vedono il mondo e il modo in cui categorizzano le persone.

Anche Bernie Sanders starebbe raccontando un mito di successo: le corporazioni e Wall Street sono rapaci che hanno accumulato la ricchezza del Paese, opprimendo le classi lavoratrici. “E quando ti trovi dentro il mito di Sanders, vedi il mondo attraverso le lenti di Bernie.”. Brooks sottolinea come Sanders sia stato l’unico candidato ad avere raccontato un mito di successo. Tutti gli altri “hanno avuto argomentazioni valide, ma non le hanno organizzate in un mito avvincente. […] non puoi guardare attraverso le loro lenti”. Negli ultimi quattro anni, quelli che hanno diviso le due campagne, Sanders avrebbe così indotto molti degli appartenenti al Partito Democratico a guardare attraverso le Bernie lens, guadagnandosi quella credibilità che gli era mancata nel 2016.

Tío Bernie

Sanders è stato, in questa campagna, più vicino alla nomina di quanto lo sia mai stato nel 2016, ma, complici i contorti sistemi della politica, ha goduto di meno supporto. Guardando ai dati: il senatore del Vermont vinse in New Hampshire con più del 60% dei voti nel 2016, ha vinto nel 2020 con il 25.6%; dinamiche simili in Virginia e North Carolina. Vinse in Minnesota,  vinto in questa campagna da Biden. Stesso risultato in Oklahoma. Ma, contemporaneamente, il suo consenso è  cresciuto in un’altra importante direzione: al supporto costante dei giovani elettori, si è affiancato in modo importante quello dei latinos, che, da soli, compongono il 15% dei votanti nelle primarie democratiche e si prevedono essere la minoranza votante più consistente, superiore a quella degli afroamericani per la prima volta nella storia americana.

Elettori di Sanders a East LA (Crediti foto: Creative Commons Attribution 2.0 Generic)

Non c’è dubbio che sia la vita stessa di Sanders, oltre che la sua politica, ad avvicinarlo alla minoranza latina. “Sono venuto da voi oggi come un orgoglioso figlio di immigrati e ognuno qui oggi è potenzialmente un orgoglioso figlio o figlia di immigrati. E siamo stanchi della demonizzazione della comunità immigrata.”. Così Sanders ha aperto il suo comizio, a predominanza latina, a Eastside Los Angel.

Sono soprattutto i giovani latini a considerarlo come la vera possibilità di cambiamento che sperano veder accadere nel loro Paese. Estefany Castañeda, 23 anni, supporter di Sanders dal 2016, racconta che la parte più adulta della sua famiglia aveva votato per Clinton nel 2016, ma lo considera concretamente, oggi,  come una possibilità. Questo perché, sottolinea, “più ti interessi alla campagna politica di Sanders, più ritrovi tutte le problematiche che le famiglie latine affrontano in California”.

Dalle testimonianze, i latini sentono che l’attuale Presidente sta attaccando la loro eredità culturale. Così, quando riconoscono un candidato che li supporta, che sta dalla parte della comunità immigrata, restituiscono il favore. “We go out and vote.” Escono e votano.

Così hanno fatto: Sanders ha vinto, come ci si aspettava, in California, in Nevada e in Colorado. Questi ultimi sono Stati a importante  concentrazione latina nei quali aveva perso contro Clinton nel 2016. In Texas, dove nel 2016 aveva perso con largo margine, ha raggiunto una percentuale poco sotto quella di Biden, vincitore.

Una coalizione unica

Non si tratta solo dei latini: Sanders ha cercato di costruirsi un elettorato eterogeneo e multirazziale, del quale non godeva nella scorsa campagna.  Quattro anni fa, infatti, aveva cercato di guadagnare consenso tra gli elettori bianchi per battere Clinton, la quale godeva invece di grande vantaggio tra gli elettori afroamericani ed ispanici. Stavolta, Sanders ha cercato di fare lo stesso, o forse meglio, tra gli elettori non bianchi: in Nevada, ha vinto il 29% di questi e ha guadagnato il 51% del supporto dei latini. Inoltre, tra gli elettori afroamericani, tra i quali aveva perso per più di 50 punti percentuali rispetto a Clinton, ha guadagnato il 27%.

Sanders non solo ha cercato di ampliare il suo consenso tra i non bianchi, ma ha, anzi, cercato di conquistare i voti degli elettori bianchi senza una laurea. Ha quindi vinto, tra questi, nelle prime tre votazioni: Nevada, Iowa e New Hampshire. È difficile trovare uno Stato sulla mappa delle primarie che non presenti una proporzione consistente di elettori bianchi e senza una laurea. Questo è stato un dato cruciale: ha significato, infatti, che Sanders avrebbe potuto andare bene in tutto lo scenario delle primarie.

La coalizione di Sanders è descritta, da CNN politics, come unica rispetto a quella di Hilary Clinton o Barack Obama. Entrambi contavano dell’appoggio di non bianchi e bianchi laureati. Bisogna tornare indietro nel tempo, fino alla campagna elettorale di Bill Clinton del 1992, per individuare l’ultimo candidato democratico a vincere le primarie godendo del supporto di non laureati bianchi e non.

The Squad

Durante le primarie la corsa agli endorsement, ovvero l’appoggio da parte personaggi di rilievo, all’interno del proprio partito, è una sfida nella sfida. Il numero e la qualità degli endorsement ottenuti è un buon indicatore delle chances di vittoria di un candidato.    Sanders  ha potuto contare su endorsment di spessore: è stato, infatti, spalleggiato dalla stella nascente del Partito Democratico, Alexandria Ocasio-Cortez, e da due sue compagne, Ilhan Omar e Rashida Tlaib. Le tre, insieme a Ayanna Pressley, che ha invece scelto di sostenere Elizabeth Warren, formano la cosiddetta “The Squad.

Questo sostegno ha mostrato come la nuova ala progressista del partito, di cui Bernie è il padre spirituale, fosse in buona parte compatta dietro di lui. Inoltre, ha dato maggiore entusiasmo alla sua campagna e ha avuto il potenziale per raggiungere ancor più giovani e minoranze. Un esempio viene dai comizi tenuti insieme ad AOC in Nevada. Secondo i sondaggi, nella sfida per le primarie Sanders era in vantaggio rispetto a Biden per quanto riguarda l’elettorato latino, ma solo tra i più giovani. Gli over cinquanta continuavano a preferire l’ex-vicepresidente. La scelta di Ocasio-Cortez  di cominciare a tenere i suoi discorsi in spagnolo durante i comizi può essere considerata come un tentativo di colmare quel gap generazionale. Gema Mata, 66 anni, racconta in spagnolo che “ci sono persone”, come lei, “che parlano inglese, ma non abbastanza da comprendere tutto”. Ha assistito al comizio con il nipote, sostenitore di Sanders. “Offrire questi eventi in spagnolo è meraviglioso perché così possiamo capire meglio quello che ci stanno dicendo e questo è molto importante.”

Il tramonto di Sanders

Lo slancio di Sanders, che sembrava essere il favorito fino a quel momento, è stato però frenato dalla vittoria schiacciante di Biden in South Carolina. A questa è seguito l’endorsement dei democratici più moderati, Amy Klobuchar e Pete Buttigieg, andando così a formare un’alleanza utile a un candidato che sembrava alla deriva. Il Super Tuesday del 3 marzo è stato deludente per i sostenitori di Sanders.

In Iowa, New Hampshire e Nevada aveva trionfato la rivoluzione promessa da Sanders, ma negli stati del Sud gli elettori hanno preferito la più familiare e moderata politica promossa da Biden.  Secondo i sondaggi, molti di loro optano per il candidato che pensano possa essere eletto Presidente, al di là di quanto ne condividano le opinioni. La disperata volontà dei democratici di battere Trump può superare anche le loro stesse ideologie. “Molti elettori afroamericani non vogliono una rivoluzione” sostiene Christina Greer, docente dell’università Fordham, New York. “Il motivo per cui gli afroamericani più anziani tendono a scegliere il candidato più moderato è che sanno di cosa è capace questo Paese. Alcuni sono d’accordo sulla necessità di una rivoluzione, ma molti altri sono scettici.”

La maggior visibilità, un solido e motivato elettorato e una maggior accoglienza verso la sua narrativa rivoluzionaria non sono bastati.  Riprendendo la sua lettera di candidatura, Sanders scriveva di poter, insieme, battere Trump e “riparare il danno che ha causato al nostro Paese”. I risultati fin qui ottenuti hanno però dimostrato che gli elettori democratici ancora non considerano Bernie Sanders come un candidato in grado di correre per la Casa Bianca. Si vedrà nei prossimi tempi se l’anziano, ma combattivo, senatore deciderà di continuare, seppur debolmente, la sua corsa oppure appoggerà il suo avversario Biden, nell’ottica di battere Donald Trump a Novembre 2020.

Francesca Pavanohttps://orizzontipolitici.it
Nata su quel ramo del lago di Como, vivo oggi a Milano e studio in Bocconi. Difetti rimandati a un’altra bio, cose belle su di me: sono romantica, credo nella politica e sogno in grande. Studio, leggo, viaggio e ogni tanto scrivo qualcosa di interessante per OriPo.

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