I terzi partiti alle elezioni presidenziali
Le elezioni presidenziali americane sono notoriamente contese dai candidati dei due partiti maggiori: il Partito Repubblicano (R) e il Partito Democratico (D). La sfida è questa da più di un secolo: l’ultima volta che un altro partito arrivò secondo alle elezioni fu il 1912, quando Theodore Roosevelt (Partito Progressista) perse contro Woodrow Wilson (D). Per risalire all’ultima volta che un terzo partito vinse l’elezione bisogna risalire alla vittoria di Zachary Taylor (Whig) nel 1848, quando gli Stati Uniti erano solo 30 e Stati come il Texas e la Florida partecipavano per la prima volta a questa elezione. In breve: è fuori discussione non solo che il Partito Libertario possa vincere le elezioni, ma persino che possa arrivare secondo. Allora perché tutti gli occhi sono puntati sul suo possibile candidato Amash?
Le presidenziali americane
La ragione è presto detta, ed ha molto a che fare con il sistema elettorale statunitense. Secondo questo complicato sistema, che abbiamo spiegato qui.
In breve, ogni Stato ha a disposizione un certo numero di “grandi elettori”, e li assegna tutti al candidato che riceve il maggior numero di voti in quello Stato (in realtà c’è qualche eccezione, che potete approfondire nell’articolo sopra). Siccome si tratta di un sistema “winner takes all”, spesso per i candidati si rivelano cruciali anche pochi punti percentuali negli Stati giusti. È infatti tutt’altro che impossibile vincere le elezioni pur ricevendo meno voti del rivale: è successo due volte negli ultimi vent’anni, una volta nel 2000 quando G.W. Bush (R) sconfisse Al Gore (D) e un’altra volta nel 2016, quando l’attuale Presidente Donald Trump (R) sconfisse Hillary Clinton (D). Quest’ultima elezione è quella che suscita più interesse: il margine di Trump fu infatti minore della percentuale presa dai partiti terzi in ben quattro stati (Arizona, Florida, Michigan e Wisconsin): senza la Florida e un altro di questi Stati, Trump avrebbe perso l’elezione. Il più interessante tra questi è senza dubbio il Michigan, che è lo Stato natio di Amash e dunque quello in cui con ogni probabilità otterrà il miglior risultato. Inoltre il Michigan, con i suoi 16 grandi elettori, è uno dei più importanti Stati classificati come “competitivi”, ossia quelli in cui non è possibile fare una previsione definitiva (anche se, secondo gli ultimi sondaggi, Biden è in vantaggio di qualche punto).
Come abbiamo visto, i candidati dei terzi partiti possono sottrarre dei voti davvero cruciali ai due concorrenti in gara: si tratta del cosiddetto “spoiler effect”. Dopo gli incredibili risultati di Ross Perot nel 1992 (da indipendente) e nel 1996 (con il Reform Party), che secondo molti contribuirono in maniera significativa ad assegnare l’elezione a Bill Cliton (D), questo effetto sembrava essere meno importante, finché l’elezione del 2016 non riportò alla ribalta gli altri candidati, che ottennero complessivamente più del 6% dei voti.
Va anche detto però che gli analisti sono scettici sul fatto che un simile risultato possa presentarsi di nuovo, perché l’elezione del 2016 era un caso particolare. I repubblicani dovevano infatti fare i conti con la vittoria a sorpresa di un candidato di rottura (Trump), mentre i democratici si trovavano con un partito molto diviso e una candidata davvero detestata da una parte dell’elettorato (Clinton). Quest’anno le cose sono molto diverse: Trump è il Presidente uscente ed ha un partito molto compatto dietro di sé, mentre i democratici hanno concluso le elezioni in tempo record e persino l’ala più di sinsitra del partito ha deciso di sostenere attivamente Joe Biden, che ha ricevuto persino l’endorsement del suo diretto sfidante Bernie Sanders. In questo clima, entrambi i candidati guardano con nervosismo qualunque “terza opzione” che possa sottrarre loro voti preziosi. Ecco quindi che ci si pone una chiara domanda: Amash danneggerebbe maggiormente Trump o Biden?
Chi è Justin Amash
Justin Amash è un ex repubblicano, che era entrato nel partito all’interno della corrente libertaria del Tea Party. Ne è recentemente uscito, iscrivendosi al Partito Libertario, poiché è uno dei repubblicani cosiddetti “never trumper”, ossia coloro che non hanno digerito la vittoria di Trump nelle primarie del 2016 né tantomeno la sua conquistata egemonia all’interno del partito. Non è dunque semplice capire a chi potrebbe sottrarre più voti, perché ci sono ottimi argomenti a sostegno di entrambe le parti. In realtà, non è nemmeno del tutto chiaro a chi vorrebbe sottrarre voti Amash stesso: nonostante l’incompatibilità diretta con Trump preferirebbe comunque vedere un repubblicano al governo? O sceglierebbe piuttosto un moderato come Biden, seppur democratico? La seconda opzione sembra la più logica, ma non tanto da togliere ogni dubbio.
A rendere ancora più importante la candidatura di Amash è il fatto di essere originario del Michigan: Gary Johnson nel 2016 ottenne ben 9.3% nel suo home State, il New Mexico. Amash inoltre è un palestinese di seconda generazione, il che lo favorisce tra gli arabo-americani; non è però chiaro se possa sottrarre più voti ai democratici (che sono favoriti tra gli arabo-americani) o ai repubblicani (gli arabo-americani più conservatori sono infatti debolmente legati al Partito Repubblicano di Trump).
Forse qualche sondaggio in più saprà chiarirci le idee: per il momento, la domanda è destinata a rimanere aperta.