Un passo indietro: che cos’è il MES, e come si vuole riformare?
Prima di analizzare punti di forza e criticità del MES, è necessario spiegare che cosa è il Meccanismo Europeo di Stabilità e, soprattutto, cosa prevede la sua riforma. Esso viene istituito nel 2012 come fondo salva-Stati permanente, ovvero un fondo che concede a determinate condizioni degli aiuti finanziari agli Stati membri che hanno difficoltà a finanziarsi sui mercati. L’anno in cui viene istituito non è casuale: in quel periodo molti Stati europei si trovavano sull’orlo del tracollo finanziario, ma l’art.125 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), noto anche come clausola di no bail-out, stabiliva che l’Unione non si sarebbe fatta carico degli impegni assunti da un altro Stato membro, in modo da evitare di incentivare gli Stati ad indebitarsi nella convinzione che altri sarebbero andati in loro soccorso. Per questo motivo, gli Stati della zona euro hanno deciso di firmare il trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità, un’organizzazione intergovernativa che concedeva denaro agli Stati in difficoltà in cambio del rispetto di un Memorandum d’intesa che stabilisce degli obiettivi in termini di tagli al deficit/debito e delle riforme strutturali, sorvegliato dalla “Troika”, ossia il comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Nel corso della pandemia da Covid-19, poi, il MES è diventato una linea di credito che consentiva agli Stati membri di richiedere dei prestiti per spese relative alla sanità, senza però dover firmare Memorandum o rispettare ulteriori condizionalità.
Ora, invece, il MES è molto discusso per la sua proposta di riforma. Tra le modifiche più rilevanti, essa prevede l’intervento del MES anche come backstop, cioè come paracadute finanziario nel caso in cui il Fondo di risoluzione unico, ovvero un fondo finanziato dalle banche dei Paesi dell’eurozona, finisca i fondi per aiutare le banche europee in difficoltà. Inoltre, gli Stati membri non avranno più una clausola di azione collettiva a maggioranza doppia ma singola. Ciò significa che se un Paese non riesce a ripagare il proprio debito pubblico, ai detentori dei titoli sarà sufficiente una votazione a maggioranza – e non una doppia votazione come avviene ora – per chiedere la ristrutturazione del debito, ovvero per ricontrattare le sue condizioni. Tale riforma è stata ratificata da tutti gli Stati Membri, ad eccezione dell’Italia, che ha peraltro approvato una sospensione di quattro mesi alla sua ratifica. Ciò porterebbe la decisione ai primi di novembre, mentre la scadenza a livello europeo per tutti i Paesi per ratificare il MES è il 31 dicembre.
Perché il governo italiano (e non solo) è contrario alla riforma del MES
Bisogna ricordare che la diffidenza nei confronti della riforma del MES non è limitata solo al governo italiano. Anche in Germania, ad esempio, il processo di ratifica è stato complicato, con l’opposizione del partito liberale e della CSU bavarese, la fondazione del partito “Alleanza contro il Mes” ed il ricorso presentato alla Corte Costituzionale. In Francia era la sinistra ad essere contraria, mentre in Olanda anche il partito socialista.
Persino fuori dal mondo politico il MES non è sempre popolare: un gruppo di economisti e docenti universitari ha scritto una lettera, spiegando perché la riforma non andrebbe ratificata. Tra i vari motivi, si cita il fatto che potrebbero essere imposte delle politiche di aggiustamento agli Stati, contro la loro volontà. Tuttavia, la riforma non prevede che gli Stati membri siano obbligati ad attivare il MES come backstop del Fondo di risoluzione unico nel caso in cui essi non siano d’accordo. Infatti, la decisione che un Paese possa utilizzare i capitali messi a disposizione dal MES per aiutare le proprie banche viene presa di comune accordo, ossia senza voti contrari. Va detto, tuttavia, che in caso di urgenza la decisione viene presa a maggioranza qualificata (85% delle quote) e il voto nel MES è ponderato in base al capitale che ogni Stato ha sottoscritto. Se nel caso dell’Italia (e anche Francia e Germania) una decisione contro il suo volere è comunque esclusa, in quanto essa ha sottoscritto il 17,8% delle quote, è pur vero che per gli altri Paesi il rischio di un’imposizione, seppur improbabile, è di fatto possibile.
Un altro elemento che emerge dalla lettera è che i prestiti offerti dal MES non sono stati richiesti da nessuno Stato Membro, nemmeno durante un momento di difficoltà economica come la pandemia, nonostante non richiedessero condizionalità (eccetto il vincolo di essere utilizzati esclusivamente per spese sanitarie). Questo è l’argomento principale usato dal governo italiano: Giorgia Meloni ha infatti dichiarato che si tratta di uno strumento che attualmente potrebbe tenere bloccate delle risorse che altrimenti potrebbero essere utilizzate.
Lo scarso uso dei fondi del MES – finora utilizzati solo da Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro nel contesto della crisi finanziaria – è spiegato soprattutto dal cosiddetto “effetto stigma”, ovvero l’idea che, nel caso in cui uno Stato chieda prestiti al MES venga considerato in profonda difficoltà e quindi dia ulteriori segnali di debolezza. In più, il ricorso a questo strumento viene visto, soprattutto dai partiti di destra, come una cessione di sovranità economica. Infatti, il MES è spesso associato alla vicenda greca del 2011, durante la crisi dell’Eurozona, in cui Atene ha dovuto implementare un programma di riforme molto duro per poter accedere ai suoi fondi. Ciò porta i detrattori del MES – e non solo – a pensare che sia l’espressione di un “establishment europeo” pronto a imporre politiche di austerità agli Stati in difficoltà, invece di un meccanismo per agevolare gli Stati Membri e garantire la stabilità economica dell’Unione.
Cosa c’è di positivo nel nuovo MES
Va detto che, a fronte di queste critiche, tutti gli altri Stati dell’Eurozona hanno ratificato la riforma, ritenendola quindi complessivamente positiva. In particolare, esso garantirebbe un ulteriore strumento di gestione delle crisi bancarie. Si tratta di uno strumento che gli Stati Uniti hanno già e che è risultata efficace nel gestire la crisi bancaria di febbraio. In quel contesto, una delle preoccupazioni principali era proprio che, nel caso in cui la crisi si fosse estesa in Europa, non esisteva uno strumento analogo di assicurazione dei depositi. Inoltre, esso rappresenterebbe un ulteriore step nell’integrazione europea, dato che sarebbe una prima forma di condivisione dei rischi tra i Paesi della zona euro. Infatti, in caso di crisi bancarie le risorse usate precedentemente erano nazionali.
Un altro passo verso l’integrazione europea?
In conclusione, il dibattito intorno al Meccanismo Europeo di Stabilità continua ad avere aspetti controversi, e ne evidenzia la sua complessità. La proposta di riforma del MES mira a migliorare la capacità dell’Unione Europea di affrontare crisi finanziarie e bancarie in modo più efficace. Tuttavia, le reazioni divergenti degli Stati membri riflettono le sfide legate alla sovranità economica e alla percezione pubblica del MES. Mentre la riforma potrebbe offrire strumenti di gestione delle crisi bancarie e promuovere una maggiore integrazione economica all’interno della zona euro, le preoccupazioni legate all’effetto stigma, alla possibile perdita di sovranità economica e all’imposizione di politiche di aggiustamento non possono essere ignorate.
È importante riconoscere che il MES non è soltanto uno strumento finanziario, ma rappresenta un elemento più ampio della governance economica europea. In ultima analisi, il futuro del MES richiede un equilibrio tra l’adattamento alle mutevoli esigenze degli Stati membri, la costruzione di meccanismi di gestione delle crisi più efficaci e la promozione di una maggiore coesione all’interno dell’Unione Europea. La riforma del MES è un capitolo in evoluzione del progetto di integrazione europea, e riflette la complessità delle sfide e delle aspirazioni che l’Unione deve affrontare per garantire stabilità e prosperità nell’area euro.