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Cos’è la green reconstruction, il sogno ucraino di una rinascita sostenibile

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“Il cambiamento climatico di derivazione antropica e l’attacco russo all’Ucraina hanno le stesse radici”: così Svitlana Krakovska, tra i volti ucraini più prominenti delle scienze climatiche, si è espressa in videoconferenza ai colleghi dell’Intergovernmental Panel on Climate Change. Le sue parole, accompagnate dall’aspro sottofondo delle bombe esplose su Kiev, anticipano un programma di ricostruzione postbellica senza precedenti, focalizzato su un futuro climate-resilient e soprattutto coerente con gli obiettivi del Green Deal europeo.

L’ambiente, vittima silenziosa della guerra

A quasi un anno e mezzo dall’inizio dell’occupazione russa, i costi del conflitto appaiono oltremodo preoccupanti. Da quel 24 febbraio 2022, 9mila civili hanno perso la vita e ben 5 milioni sono stati costretti a cercare rifugio lontano dalla madrepatria. Infrastrutture di ogni tipo ed intere città, per un danno stimato di 143 miliardi di dollari, sono state interamente distrutte e i cittadini privati dei più basilari servizi, oltre che di una viva economia nazionale. Ma al di là degli impatti più eclatanti e viscerali, a subire perdite altrettanto gravi, per quanto passate in sordina, è specialmente l’ambiente.

Il 6 giugno 2023, alle 2:35 del mattino, una bomba è stata detonata nei pressi di Nova Kakhovka, nell’oblast’ di Kherson. Alle porte della città sorge l’omonima diga, una zona nevralgica per le forze ucraine, che per raggiungere i territori occupati oltre il fiume Dnipro avrebbero dovuto inevitabilmente attraversare il canale. Ciò ha fatto pensare ad un coinvolgimento russo, per quanto il Cremlino abbia negato ogni responsabilità. L’esplosione ha provocato la fuoriuscita di immense quantità di acqua, allagando intere distese di territori fertili, villaggi e città. Oltre 11mila persone sono state evacuate e l’inondazione ha causato danni stimati per 1.2 miliardi di euro. Per l’ingente quantità di danni ambientali provocati, il disastro della diga Kakhovka è stato definito la nuova Chornobyl. Milioni di tonnellate di petrolio, sedimenti, pesticidi, detriti e prodotti chimici sono fluiti nel Mar Nero, e a breve raggiungeranno anche il Mediterraneo. Oltre 43 differenti specie di pesci ed uccelli sono potenzialmente a rischio, così come 48 aree protette. Il collasso di questi ecosistemi avrà considerevoli ripercussioni sulla qualità della vita della zona, e si prevede un effetto domino sulla produzione delle varie colture. Difatti, con la distruzione dell’annessa centrale idroelettrica, nel giro di cinque anni i due milioni di ettari di terreno della regione diverranno aridi e incoltivabili.

Un gruppo di ricercatori ha mappato in un report le emissioni di CO2 corrispondenti al primo anno di guerra. La stima è di un totale di 120 milioni di tonnellate, equivalente alla quantità annuale di emissioni del Belgio. Peraltro, la valutazione è stata compiuta a ribasso, data la scarsa collaborazione nella fornitura di dati da parte del fronte russo. Il team ha analizzato l’impatto climatico prodotto dalle operazioni belliche -uso di carburante per carri armati e aerei, costruzione di fortificazioni e armi, etc.- oltre che le conseguenze dirette di incendi ed esplosioni. 

Tuttavia, ad avere il maggiore impatto sull’ambiente sarà la ricostruzione. Il fabbisogno di cemento ed altri materiali costituirà, secondo il report, oltre il 50% dell’inquinamento provocato dalla guerra. Un piano di ricostruzione che implementi i principi di sostenibilità su modello dei target europei appare dunque cruciale, sia per un’Ucraina che ambisce a superare lo status di paese candidato e sia, soprattutto, per un mondo ancora lontano dalla promessa neutralità climatica.

Quali sono le basi della green reconstruction

Stendere le basi della ricostruzione non è solamente una necessità per il territorio, ma rappresenta anche la via fondamentale per alimentare la speranza e le prospettive future del popolo ucraino. A tal fine, il 4 luglio 2022 si è tenuta a Lugano la prima Ukrainian Recovery Conference (URC 2022), dove 58 delegazioni internazionali, con la collaborazione di esponenti dell’economia privata e delle organizzazioni non governative, hanno concordato 7 principi generali su cui ergere il programma di ripresa nazionale. Tra questi, vi è proprio la sostenibilità: la ricostruzione del Paese deve essere necessariamente allineata con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e con gli accordi di Parigi, integrando la dimensione sociale, economica e ambientale senza tralasciare la transizione verde. Il processo sarà quindi orientato su una visione di lungo termine ed agirà da perno per una crescita futura modernizzata, in grado di bilanciare ad un livello multisettoriale i bisogni economici con quelli di matrice sociale e di sicurezza ambientale.

L’URC 2023 si è tenuta il 21 giugno scorso, co-presieduta dal Regno Unito e dall’Ucraina. Numerosi esponenti della comunità internazionale si sono nuovamente riuniti a Londra; in sede è stata enfatizzata l’urgenza di ricostruire le infrastrutture nazionali con la necessaria applicazione di tecnologie innovative e soluzioni green. Sulla scia del principio “Build Back Better” anticipato a Lugano, al fine di garantire maggiore trasparenza e lotta alla corruzione (l’Ucraina si è classificata al 116º posto su 180 per corruzione percepita) si è ritenuto opportuno coinvolgere ben 130 rappresentanti della società civile e oltre 500 business privati. Questi hanno a gran voce domandato un’assistenza tecnica rapida al governo ucraino, finalizzata allo sviluppo di un framework che sia realmente trasformativo. Si è manifestata la necessità di una sinergia tra le agenzie governative e le istituzioni europee, mirata a fare della ripresa ucraina più che un mero ritorno antebellum una piena integrazione con la comunità UE basata sui principi del Green Deal e sui tre criteri di Copenaghen. Così si è espressa in particolare WWF, che in un apposito comunicato ha mostrato la propria disponibilità ad intervenire in prima linea tramite specifici investimenti e iniziative che operino in accordo con l’ambiente, anziché contro.

L’Ucraina ha interiorizzato i framework elaborati in cooperazione con la comunità internazionale in un proprio Fast Recovery Plan. Tra i punti cardine vi è la componente di “Environmental Recovery”, che assicurerà l’avvio di una transizione verde sulla base di quattro pilastri: l’applicazione dei principi di governance ambientale sia nei nuovi piani urbanistici che nei finanziamenti, il passaggio a fonti di energia e materiali di costruzione sostenibili, l’avvio di una green economy su modello circolare e la protezione degli ecosistemi e della biodiversità.

Il ruolo chiave dell’UE nella rinascita verde dell’Ucraina

“Ricorrere alle soluzioni più economiche e immediate non è abbastanza, è un dovere mettere in campo investimenti concreti e coerenti anche in un contesto come quello ucraino”: così si è pronunciata l’attivista Valeriya Izhyk nel commentare il programma “Generators of Hope” avviato dal Parlamento europeo. L’iniziativa ha portato alla donazione di centinaia di generatori alimentati a diesel, in risposta ai continui attacchi russi alla rete elettrica della nazione. Mentre il conflitto si trascina ininterrotto, e i suoi esiti rimangono ancora incerti, altri fondi aggiuntivi di ricostruzione hanno già iniziato a fluire. Peraltro, tra le condizioni di prestito della Banca europea per gli investimenti (BEI) ve ne sono proprio diverse a garanzia del rispetto dei principi di sostenibilità ambientale. A preoccupare è infatti l’urgenza di ricostruire rapidamente per venire incontro ai bisogni immediati della popolazione: oltre 700.000 persone non hanno accesso all’acqua potabile e ben 1 struttura sanitaria su 10 è stata distrutta. Ciò potrebbe far passare in secondo piano l’impatto ambientale delle operazioni.

Secondo le stime, la ripresa dell’Ucraina richiederà investimenti colossali: oltre 750 miliardi di dollari da qui al 2032, più del budget annuale dell’UE. Tra i finanziatori principali vi è proprio l’Unione, che tramite la BEI ha avviato un piano di circa 3 miliardi di dollari volto a ricostruire gli edifici danneggiati in Donbass. Almeno il 50% dei fondi sarà destinato al miglioramento dell’efficienza energetica delle strutture: così conferma Violaine Silvestro von Kameke, funzionaria prestiti senior della BEI a capo dei programmi ucraini.

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha già ribadito che la ricostruzione sarà attuata nello spirito del New European Bauhaus. Si tratta della nuova proposta europea per la trasformazione urbanistica “green” del Vecchio Continente. È stato definito dalla presidente stessa “il cuore e l’anima del Green Deal”, e risulta coperto dagli 1,17 trilioni di euro stanziati per il completamento del piano. Tra le iniziative presenti al suo interno vi è Phoenix, dal valore di ben 7 milioni di euro, grazie alla quale la comunità di architetti ed esperti urbanistici Ro3kvit (dall’ucraino rozkvit, ossia “rinascimento”) potrà coadiuvare i sindaci ucraini e i vari funzionari nella ripianificazione delle città. L’obiettivo è, grazie al presente supporto tecnico, superare le difficoltà derivanti non solo dalla guerra, ma anche dall’impostazione sovietica che ancora hanno i centri abitati ucraini, poco adatta ad accogliere le innovative soluzioni sostenibili necessarie.

I piani di ricostruzione ucraini sono la porta d’ingresso nell’Unione

La green reconstruction costituirà un elemento chiave nel percorso dell’Ucraina verso l’UE. Essa rappresenta la base di avvio per un’economia nazionale stabile, competitiva e al passo con le esigenze ambientali avvalorate dagli accordi internazionali e dai target europei. In assenza di ciò, sarà impossibile per il Paese soddisfare i sette requisiti imposti dalla Commissione Europea per un’eventuale adesione.

L’ingresso dell’Ucraina potrebbe potenzialmente condurre ad un circolo virtuoso per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, obiettivo alla base del Green Deal europeo. La Nazione rappresenterebbe infatti un partner vantaggioso, e soprattutto vicino, per le importazioni di olio di girasole, cereali e mais, assicurando così una maggiore stabilità nei generi alimentari ad un minore costo di trasporto, economico e ambientale. Inoltre, il Paese detiene il 2% delle riserve mondiali di uranio e ha già manifestato un grande potenziale nella produzione di idrogeno “verde”, biogas ed altre fonti di energia rinnovabile. Si tratta perciò di un win-win non trascurabile per il popolo ucraino, europeo ma soprattutto per l’ambiente.

Si ringraziano la professoressa Olena Maslyukivska e le sue studentesse Dmytryshyn Khrystyna (Ukrainian Catholic University), Nechytailo Marharyta (Kyiv School of Economics) e Zhevlakova Khrystyna (National University of Kyiv-Mohyla Academy) per il contributo fornito.

*Crediti foto: “Bucha main street after Russian invasion of Ukraine” via Wikimedia Commons

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