Alcuni dati
Le statistiche diffuse dall’ufficio studi nazionale tedesco non lasciano alcun dubbio: la crisi ha colpito duro. L’economia nel 2020 ha subito una contrazione del Pil di circa il 5%, mentre la disoccupazione a dicembre dello scorso anno ha toccato il picco del 6,1%, livelli quasi sconosciuti per il Paese.
Aveva fatto ben sperare la ripresa estiva del 2020, con il Pil a +8.5% nel terzo trimestre, ma le chiusure effettuate a diverse attività economiche nell’ultima parte del 2020, e nella prima del 2021, hanno riportato il segno meno negli indicatori.
Anche l’export, vitale per l’economia tedesca, ha subito un calo del -9.2%; ma la scelta di tenere aperte le industrie, non limitando il manifatturiero, sembra aver dato qualche effetto positivo: nel dicembre 2020 sono state esportate merci per un valore di 51,4 miliardi, un aumento del + 4.1 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Le misure messe in campo da Berlino
Il supporto fiscale introdotto a maggio 2020 è arrivato dopo la più grande contrazione del Pil dal 1970, quasi il doppio rispetto alla crisi finanziaria globale nel 2008-09. Dopo una maratona negoziale con protagoniste le principali forze di governo, è arrivata l’approvazione di un pacchetto di misure straordinarie del valore di 139,6 miliardi di Euro, circa il 4% del Pil, da spendere in due anni. Merkel, scrollandosi di dosso la rigidità fiscale e l’austerità in materia di bilancio che ha caratterizzato il suo cancellierato, è stata chiara e diretta nella sua comunicazione: “E’ evidente, questa crisi richiede una risposta coraggiosa da parte nostra”. Le misure economiche messe in atto sono risultate particolarmente ambiziose e spaziano dal mercato del lavoro, agli aiuti alle famiglie e alle imprese. Temporaneamente, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) è stata diminuita dal 19% al 16% per stimolare i consumi e la domanda; in più le famiglie hanno ricevuto pagamenti diretti di €300 per ogni figlio a carico.
La punta di diamante delle misure fiscali tedesche, però, è stato lo schema di sostegni al congedo dal lavoro retribuito, il Kurzarbeitergeld. Il programma governativo ha permesso alle aziende tedesche di ridurre i tempi di lavoro dei propri dipendenti e, simultaneamente, pagare solo un’integrazione del salario, garantito fino all’80% dallo Stato (87% nel caso di figlio a carico), diminuendo così il fardello dei costi delle imprese e mantenendo un livello soddisfacente di occupazione. Il programma ha avuto un ampio raggio di applicazione: circa 7 milioni di lavoratori dipendenti hanno beneficiato di questa garanzia. I risultati hanno dimostrato le potenzialità di politiche ben strutturate: “solo” 600.000 lavoratori disoccupati in più e licenziamenti di massa scongiurati.
Nell’estate 2020, dopo il primo pacchetto di stimoli, il governo ha esteso i sussidi di cassa integrazione fino alla fine del 2021, prorogando inoltre il periodo di moratoria per le insolvenza delle imprese, che potranno godere di prestiti garantiti dallo Stato, evitando così la trappola dell’insolvenza. Il Ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha giustificato la generosità degli aiuti messi in campo, prevedendo un altro stanziamento di 81.5 miliardi per il 2022. Per consentire queste spese, il parlamento tedesco ha dovuto sospendere il tetto massimo dello 0.35% alla crescita del debito, rendendo inevitabile quindi una sua salita (75% nel 2020).
Favorevoli e contrari: il bilancio sulle misure fiscali
Secondo le stime del Fmi, la Germania ha mobilitato il 40.1% del Pil, contro il 23% del Regno Unito e il 18.9% della Francia. Il Business Climate Index (Bci) , l’indice dell’istituto Ifo che misura l’attrattiva per gli investimenti, è costantemente cresciuto dall’annuncio dello stimolo, confermando le aspettative promettenti del settore privato. Inoltre, nonostante il Pil sia diminuito, le misure fiscali hanno mitigato la contrazione del reddito disponibile dei consumatori, registrando una riduzione “solo” dello 0.8%.
Non mancano però le critiche. Alcuni osservatori lamentano l’efficienza delle misure in atto e si domandano se l’estensione del Kurzarbeit e del “periodo di grazia” per le imprese non abbiano semplicemente rimandato un’ondata di fallimenti e cambiamenti strutturali dell’economia. Inevitabilmente, aiuti a pioggia di questa portata rischiano di canalizzare finanze e risorse verso settori già in difficoltà prima del Covid. Christian Sewing, CEO di Deutsche Bank, ha raccomandato cautela: un’azienda su sei rischia la zombificazione, ovvero di rimanere operativa esclusivamente grazie ai sussidi statali. L’Ocse ha suonato l’allarme per lo stesso motivo. La parte più liberista dell’opinione pubblica in Germania ha sottolineato, inoltre, come la riduzione dell’Iva non abbia portato i risultati sperati: l’Istituto per la Ricerca Macroeconomica, con stretti rapporti con i sindacati tedeschi, ha pubblicato i risultati di un sondaggio che dimostra come solo un quarto dei consumatori è stato disposto a spendere le risorse addizionali.
La ripresa (sperata) nel 2021
Nonostante le critiche alle misure messe in campo, le previsioni per il 2021 hanno davanti un segno più. Infatti, a marzo l’istituto di Monaco Ifo ha stimato la crescita del 3,7% per il 2021 e del 3,2% per il 2022. Mentre sul mercato del lavoro, i disoccupati scenderanno da 2,75 milioni del 2020 a 2,65 del 2021 e a 2,44 milioni nel 2022, attestandosi intorno al 5,3%. Inoltre, il 25 maggio l’Istituto ha pubblicato anche il dato riguardante i risparmi tedeschi, i quali si attestano al 20% del reddito disponibile, valore che corrisponde circa a 50 miliardi, 1,5% del Pil annuale. Difficile che tutti questi possano tramutarsi in domanda verso consumi, ma è probabile che una parte possa farlo. In sostanza, come rimarca Andreas Rees di Unicredit, “la riprese non è questione di “se”, ma di “quanto” forte sarà e quando “quando” inizierà davvero”.
Le differenze con l’Italia
Se per numeri assoluti e natura d’intervento, in percentuale al Pil, Italia e Germania non si sono discostate di molto, qualche divergenza la si è avuta nella durata degli interventi e nelle tempistiche di concessione degli aiuti.
Da un’indagine dell’Osservatorio dei Conti Pubblici, emergono differenze innanzitutto nella Cassa Integrazione. In Italia l’erogazione ha avuto non poche difficoltà nell’essere tempestiva, mentre in Germania è stata distribuita su richiesta del datore di lavoro dagli enti previdenziali e accreditata sul conto corrente del lavoratore entro 15 giorni. Tempistica ancora inferiore se si osservano gli aiuti a fondo perduto, percepiti dai richiedenti in Germania entro 5 giorni.
In aggiunta, è utile sottolineare la diversa situazione debitoria di partenza dei due Paesi: la Germania presentava un debito sotto i parametri di Maastricht (59.8% nel 2019), mentre l’Italia ha chiuso con un passivo intorno al 135% del Pil. Tale differenza ha comportato giocoforza diverse flessibilità di manovra; tuttavia, grazie alle politiche espansive della Bce, il nostro Paese è riuscito a collocare i suoi titoli di stato ad un tasso irrisorio, raccogliendo quindi denaro a basso costo, allungando anche la scadenza media del debito (oggi circa 8 anni).
La Germania traina il cambiamento in Europa?
La prudenza fiscale non ha contribuito a rendere la Germania popolare negli ultimi anni, soprattutto in alcuni paesi della periferia dell’Eurozona. Ora però, dati gli ingenti programmi volti a stimolare la domanda interna e aumentare la spesa pubblica, Berlino potrebbe portare ad un cambiamento radicale anche in Europa. Dopo decenni di elevati tassi di risparmio e insufficienza di investimenti, il tradizionale modello economico tedesco potrebbe lasciare spazio a politiche pubbliche più innovative. John Maynard Keynes scrisse che “La vera sfida non sta nel persuadere la gente ad accettare le nuove idee, ma nel convincerli ad abbandonare quelle vecchie”, un suggerimento che oggi sembra rivolgersi proprio alla classe politica tedesca.
Articolo a cura di Leonardo Oneda e Riccardo Romano Boiani
* Crediti foto: Maheshkumar Painam, via Unsplah