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Dopo gli elettori, il nuovo Governo deve convincere i mercati

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I risultati elettorali delle ultime elezioni hanno rappresentato un evento importante nella storia Repubblicana. Un Governo di destra, un premier donna, sono solo alcuni dei tratti caratteristici di questa tornata elettorale. Tuttavia, data proprio la rilevanza di questo periodo storico, le elezioni hanno avuto conseguenze politiche, sociali, ma soprattutto economiche. Nonostante fosse, ad ogni modo, una vittoria attesa e prevista, vanno osservate le conseguenze economiche del voto per capire in che modo mercati, investitori e paesi hanno reagito a questo cambiamento. Cos’è accaduto dopo le elezioni?

La reazione dello Spread

Come accennato sopra, anche i mercati hanno reagito a queste elezioni, e osservando indicatori diversi, è possibile constatare se questi vedano di buon occhio – meno – la vittoria del Centrodestra. Il primo osservato speciale, e forse anche il più significativo per quanto riguarda il nostro paese, è lo Spread. Lo Spread è un numero, un indicatore che rappresenta la differenza – è il “differenziale” – tra i rendimenti di due Titoli di Stato. Solitamente, i Titoli di Stato italiani – in questo caso BTP decennali – si confrontano con quelli tedeschi – qui BUND decennali -, in quanto la Germania rappresenta il paese europeo più solido per i mercati. Maggiore è lo Spread, maggiore è la distanza tra i rendimenti dei due paesi, e ad un rendimento maggiore è associato un rischio di default maggiore.

Lo Spread quindi, per definizione, è costituito guardando al rendimento dei Titoli di Stato. In Italia, i tassi sui titoli sono cambiati molto, soprattutto nell’ultimo periodo, per varie ragioni. Nello specifico, ad inizio anno, il tasso di rendimento sui BTP decennali ammontava a circa l’1,3%. Nel corso del 2022, la Bce ha aumentato progressivamente i tassi d’interesse, fino all’annuncio del 27 ottobre di un ulteriore aumento di 0,75 punti base. Gli aumenti dei tassi d’interesse da parte della Bce hanno un impatto diretto sui rendimenti dei nostri Titoli di Stato. Diventa infatti meno conveniente per lo Stato indebitarsi, in quanto “il denaro costa di più”.

Un’emissione del Mef di fine agosto riporta un rendimento del 3,76%. Al 19 settembre, il tasso si attesta a meno del 4,4%. Dieci giorni dopo, una nuova emissione segna un rendimento lordo del 4,7%, circa un punto percentuale in più. Al 10 ottobre, il tasso ha toccato il 4,8%, destinato a salire ulteriormente, in quanto previsti ulteriori rialzi da parte della Bce.

Guardando poi all’andamento dello Spread, l’ultima rilevazione del 23 settembre, prima del weekend elettorale, dava lo Spread a 232,8 punti – distanza tra i due rendimenti dei Titoli di Stato pari al 2,328%. All’apertura dei mercati alle 9:00 del 26 settembre, ovvero il lunedì post-voto, lo Spread ha aperto a 237,8 punti. Tuttavia, a risultati definiti, il 28 settembre lo Spread ha toccato i 257,3 punti – un aumento dell’8% rispetto all’apertura di lunedì -, picco settimanale. Bisogna notare che negli ultimi 6 mesi solo a giugno sono stati superati i 250 punti, quando la Bce aveva dichiarato lo stop al suo programma di acquisto titoli.

Nei giorni a seguire, dopo il deciso calo di inizio ottobre, lo Spread ha superato nuovamente i 250 punti base, a causa di un aumento del rendimento dei titoli di nostrani, salito al 4,72%. Tuttavia, con gli eventi recenti nella formazione del Governo e del suo giuramento, lo Spread è sceso notevolmente, passando dal picco – per ora – del 10 Ottobre, a più di 255 punti, fino ai minimi del mese sotto i 220 punti, attestandosi tra i 220 e i 225 a fine mese. Quindi, sotto il livello appena pre-voto. 

La risposta degli indici

Anche alcuni indicatori azioni possono risultare utili nel comprendere i comportamenti post-voto dei mercati. Tra questi, vanno osservati il Ftse Mib e l’Euro Stoxx 50. Il primo – Financial Times Stock Exchange Milano Indice di Borsa – è un indice azionario che racchiude le 40 azioni delle società italiane a maggiore capitalizzazione, che rappresentano più dell’80% della capitalizzazione complessiva in Italia. Il secondo, invece, è un indice azionario che replica l’andamento delle 50 aziende a maggiore capitalizzazione nell’Eurozona – tra queste, 3 sono Italiane: Eni, Enel e Intesa Sanpaolo.

Maggiori sono gli indici, maggiore è la capitalizzazione delle imprese sui mercati, e quindi anche la fiducia degli investitori. Sul secondo indice, tuttavia, è bene precisare come le elezioni non possano avere un impatto rilevante. Intuitivamente, è un indice su cui fanno leva gli andamenti di diversi paesi europei, non solo l’Italia.

Per questo, è più corretto osservare l’andamento del Ftse Mib. A circa 21.000 punti – un punto sta per un euro – al 23 settembre, scende a 20.000 a risultati definiti il 29 settembre. Dopo un mese di ottobre stagnante e variabile causa il processo di formazione del Governo, il 26 ottobre sale a quasi 22.400 punti, addirittura in crescita rispetto al periodo appena pre-elezioni.

L’andamento del cambio Euro/Dollaro

In ultima istanza, può risultare utile analizzare il cambio euro/dollaro per comprendere in che modo il rapporto tra le valute, soprattutto con riferimento al lato Eu, è stato influenzato dal voto del 25 settembre. Prima, però, bisogna comprendere l’analisi del dato con cui ci si riferisce al cambio tra valute. Essendo storicamente l’Euro una valuta “più forte” del dollaro, più apprezzata, ci si è sempre attesi – ed è sempre stato così – di osservare un valore maggiore dell’1 nel cambio EUR USD. Ovvero, osservare il cambio di un euro in più di un dollaro. Un aumento di questo valore implica un apprezzamento, un rafforzamento dell’euro e un deprezzamento, un indebolimento del dollaro. Viceversa, un calo significa indebolimento dell’euro e rafforzamento del dollaro.

Tuttavia, da fine agosto circa, sono susseguiti periodi, soprattutto dal 20 settembre, in cui il cambio è sceso sotto la pari: in altre parole, in alcune fasi del mercato, un euro valeva meno di un dollaro. Quindi, l’euro si è indebolito, e il dollaro si è rafforzato. Il 24 settembre, alla vigilia del voto, alle 9 il cambio si attesta a 0,9692 dollari per euro; alle 8:30 del 28 settembre, il cambio ha toccato un minimo mai osservato negli ultimi anni, pari a 0,95577 dollari per euro. Ad ogni modo, al 25 ottobre il cambio è risalito fino a 0,996665 dollari per euro, con rilevazione del 27 ottobre quasi esattamente alla pari, a 1.

Malgrado ciò, bisogna evidenziare come non è detto che il recente andamento del cambio rifletta il risultato elettorale. Esiste una correlazione con l’evento delle elezioni, ma ciò non giustifica una eventuale causalità con esso. Il cambio sopra citato, nondimeno, riflette anche le reazioni dei mercati sul lato americano, che in questo momento vive un tempo caratterizzato soprattutto dal conflitto in Ucraina.

Perché queste reazioni?

Secondo quanto osservato sopra, tutti gli andamenti negativi nel brevissimo termine post-elezioni sono stati più che compensati nel mese di ottobre. I mercati, infatti, dopo brevi timori iniziali hanno premiato la nascita del nuovo Governo. La maggioranza guadagnata dal Centrodestra è stata vista come un segno di potenziale stabilità. I mercati sono da sempre profondamente sensibili all’incertezza. La sicurezza di una maggioranza evidente e di un Governo – potenzialmente – coeso ha dato prova ai mercati di credere anche nella stabilità del paese.

Inoltre, secondo Algebris – società di gestione del risparmio inglese – anche la Lega ha avuto un ruolo determinante, in quanto il calo elettorale del Carroccio fa sì che il partito di Salvini sia “meno decisivo per il nuovo governo”. Continua Algebris affermando come la Meloni sia oggi poco nota ai più. I mercati sono ancora, quindi, in fase di sperimentazione, e sarà quindi solo il tempo a decretarne la volatilità o meno.

Analisti di tutto il mondo si sono espressi a riguardo. Ritengono infatti, come riporta La Repubblica, che le promesse del Centrodestra siano destinate a rimanere tali, a causa dei vincoli di bilancio e della necessità di attuare le tanto vituperate riforme. Incidono, inoltre, gli strettissimi tempi a disposizione del Governo per la legge di bilancio 2023. È limitato il margine di manovra anche per via delle sfide che attengono l’azione di Governo nell’immediato futuro.

Inflazione e caro energia: le sfide del nuovo Governo

Secondo le rilevazioni Istat, l’inflazione è vicina al 9% in Italia, 10% nell’Eurozona, mai così alta dalla Seconda Guerra Mondiale. Questo giustifica, almeno parzialmente, le misure restrittive intraprese dalla Bce. E ad un’inflazione crescente, si affianca il conflitto in Ucraina, che minaccia la politica europea, le relazioni internazionali per come le conosciamo oggi, la quotidianità, fino al caro energia.

Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica del governo Meloni, in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato che il nuovo Governo ha intenzione di procedere immediatamente contro le questioni di cui sopra, con riferimento in particolare al caro bollette. Il senatore ha avanzato alcune proposte: “aumento dell’estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali; price cap dinamico a livello europeo; disaccoppiamento del prezzo dell’energia da rinnovabili dal prezzo del gas; messa a punto di una nuova norma sugli extraprofitti”. Non solo: il partito ha avanzato anche proposte di lungo periodo, come l’aumento dell’estrazione di gas nazionale, e il potenziamento delle fonti rinnovabili. In altre parole, l’esecutivo vuole portare la produzione delle componenti per l’utilizzo delle rinnovabili – come ad esempio i pannelli solari – in Italia. Anche il nucleare è presente nel programma del centrodestra, ma non è ancora chiaro come intenda procedere la coalizione in tal senso.

*Crediti foto: Pixabay, via Pexels

Mattia Moretta
Italiano, prima di tutto. Nato in un posto in riva al mare d’Abruzzo, vivo dal 2000. Studio Economia e Management in Bocconi. In OriPo ho trovato lo strumento migliore per esprimere la mia passione per la politica. Tre punti di riferimento: la libertà, il mare e la musica. P.S. I capelli grigi sono naturali.

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