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Come gli Stati Uniti si stanno preparando alle prossime presidenziali

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Le elezioni di midterm hanno già dato un assaggio di quali potranno essere le chiavi di lettura della politica statunitense verso le elezioni presidenziali del 2024. A detta di buona parte degli analisti politici, il grande sconfitto delle midterm (le elezioni di metà mandato che si svolgono nel Paese ogni due anni per il rinnovo dei rappresentanti di entrambe le Camere) è stato Donald Trump. Nonostante i sondaggi lasciassero presagire una “Red Wave”, anche vista la ciclicità dei risultati delle midterm che notoriamente puniscono il partito del Presidente in carica, i repubblicani sono andati molto sotto le aspettative, riuscendo solo a strappare la Camera ai democratici per un soffio. Ad emergere è stato un altro vincitore : Ronald “Ron” DeSantis, la nuova stella del mondo conservatore USA. Con una vittoria nettissima per la carica di governatore della Florida, DeSantis è diventato una figura di successo ed un potenziale candidato alla presidenza. Gli appelli di una parte del Grand Old Party (GOP) e dei media conservatori tradizionali come Fox News ed il New York Post ad abbandonare Trump poiché reo di essere una figura perdente per il partito (molti dei candidati alle midterm sono stati scelti direttamente dall’ex presidente) sembravano aprire un varco a DeSantis. 

 

Nonostante tutto, ancora Trump 

 

Ma Trump è tornato alla ribalta negli ultimi mesi,anche grazie all’enorme attenzione mediatica data dalle ispezioni dell’FBI nella sua residenza a Mar-a-Lago in Florida per i documenti confidenziali e dalle molteplici accuse che hanno portato al suo arresto formale (anche se con rilascio immediato) riguardanti i presunti tentativi di insabbiare dei rapporti sessuali avuti con l’ex attrice pornografica Stormy Daniels poco prima della candidatura alla presidenza nel 2015. In realtà già da prima il vento spirava in favore di Trump, mai veramente intaccato dai risultati negativi delle midterm. La presa dell’ex presidente sull’elettorato conservatore e sul partito appare saldissima: i senatori ed i deputati repubblicani non osano mai sfidare Trump; anzi, ne cercano volentieri il sostegno presentandosi come suoi candidati. L’impressione è che Trump abbia riempito il GOP di persone a lui fedeli, e per questo ha reso il suo sostegno imprescindibile a chiunque tenti un’ipotetica scalata al potere dentro il partito. Ciò è stato dimostrato dall’elezione a Speaker della Camera di McCarthy, lo stesso che ha definito il supporto di Trump “fondamentale” per la vittoria. 

 

Un caso emblematico lo si è avuto martedì scorso ad una cena organizzata dal team di DeSantis a Capitol Hill con alcuni deputati del Congresso. L’evento è una delle tante tappe del tour del Governatore della Florida in giro per gli States, che molti vedono come l’inizio di una campagna presidenziale non ancora annunciata. L’obiettivo era incontrare l’apparato del partito per strappare endorsement per la candidatura di DeSantis. Di recente l’entourage del Governatore ha lanciato i primi attacchi ufficiali contro Trump, dopo che quest’ultimo aveva già da tempo fiutato il pericolo di un contendente competitivo alla Presidenza, attaccandolo ripetutamente durante i suoi comizi. DeSantis aveva mantenuto inizialmente il silenzio, ma poi è passato all’attacco. Presentandosi come il repubblicano del futuro, distinguendosi per un’aggressiva culture war contro la sinistra, che lo ha reso il politico conservatore più in vista nel panorama statunitense. 

 

Alla cena hanno partecipato dozzine di membri del partito, e nonostante i discorsi enfatici di DeSantis sulla sua vittoria in Florida e sui risultati raggiunti, pochissimi deputati hanno annunciato il loro endorsement nei suoi confronti. Dei nove deputati del Gop che hanno co-organizzato la cena, solo tre si sono spesi in favore del Governatore della Florida. Molti hanno già dichiarato il loro appoggio ufficiale per Trump, altri non si esprimono per paura di una ritorsione del loro elettorato. Negli ultimi mesi il distacco tra i due pesi massimi del partito si è allargato nettamente a favore di Trump, e la partita non sembra aperta per il momento. Non hanno aiutato  le altre candidature alla Presidenza come quella già annunciata di Nikki Haley e quelle potenziali di Mike Pence, Tim Scott e Glenn Youngkin, ma il governatore della Florida ha pagato anche il prezzo dei propri errori.In primis la polemica sulle dichiarazioni di DeSantis sulla guerra in Ucraina come “disputa territoriale”, che ha scatenato critiche anche interne al partito, ma anche il caso della battaglia legale contro la Disney in Florida e la sua posizione riguardo all’estradizione di Trump dalla Florida in seguito al mandato di arresto per il caso Stormy Daniels, giudicata troppo debole. Trump è ancora il candidato da battere, e la strada per DeSantis è in salita. A pesare sul futuro del GOP e sulle sue speranze di diventare Presidente ci sarà anche l’esito del processo contro l’ex presidente, che potrebbe risultare in una condanna ed il conseguente carcere, anche se negli Stati Uniti una condanna penale non preclude comunque la possibilità di candidarsi alla Presidenza, ipotesi che Trump ha già annunciato ufficialmente. 

 

Le direttrici dello scontro politico

 

Ad incidere sulle preferenze verso i due candidati non è solo l’affinità ideologica. Anche la segmentazione elettorale gioca un ruolo chiave: parte del vantaggio di Trump è dovuto all’erosione delle preferenze dei college-educated voters (i laureati), sempre meno propensi a votare GOP e su cui DeSantis ha un vantaggio consistente . Gli elettori repubblicani sono sempre più blue-collar workers bianchi, soprattutto uomini. A questo si unisce un’altra linea di faglia dello scontro ideologico, ovvero il distacco città-campagna. Alle ultime elezioni presidenziali, nonostante Biden abbia ottenuto il record storico nel voto popolare, la stragrande maggioranza delle contee ha votato repubblicano. Questo è uno dei motivi per cui spesso alle elezioni presidenziali, anche se vincono i democratici, le mappe appaiono completamente rosse. Le contee più piccole (non solo in aree rurali), che costituiscono la maggioranza delle contee in termini assoluti, sono appannaggio dei repubblicani. I democratici riescono a vincere le elezioni solo grazie al voto massiccio che arriva dalle aree metropolitane, in cui la popolazione cresce sempre di più ed aumentano le percentuali delle minoranze sul totale, schierate in larga parte con i dem. 

 

Si era già parlato in precedenza di come la politica statunitense sia diventata ormai un campo di battaglia in cui le parti opposte non si parlano più, ed in cui l’appartenenza ad un partito ha raggiunto livelli di fidelizzazione quasi religiosi. Bisogna tuttavia fare attenzione a due fattori: non sottovalutare il peso degli elettori indipendenti e non ricadere in una classificazione monolitica dei due blocchi ideologici protagonisti della culture war. Non si tratta infatti solo di uno scontro tra conservatori e progressisti, ma di tanti segmenti elettorali che possono cambiare partito da un’elezione all’altra. Anche qui si scontreranno Trump e DeSantis che, per quanto affini ideologicamente, hanno appeal differenti su diverse fasce dell’elettorato statunitense.

 

La situazione di Biden ed il futuro della presidenza

 

Biden ha annunciato ufficialmente la sua candidatura alle presidenziali. Sebbene la situazione nei sondaggi sul suo tasso di approvazione sia leggermente migliorata rispetto all’anno scorso, anche grazie ai risultati positivi delle midterm che lo hanno rilanciato, il quadro è ancora negativo. L’entusiasmo intorno ad una sua candidatura non è alle stelle nemmeno tra i democratici. Nonostante il record di leggi approvate fino ad ora ed una generale riduzione dell’inflazione, sul Presidente pesano ancora dossier importanti. Il sostegno all’Ucraina diventa sempre più difficile con il prosieguo della guerra, l’opinione sulla gestione economica si mantiene negativo in virtù degli elevati prezzi del gas e del collasso finanziario di SVB nella Silicon Valley. Sebbene ci sia stata una gestione positiva della questione ucraina secondo diversi analisti, dal ritiro delle truppe dall’Afghanistan l’anno scorso gli statunitensi non sono mai andati molto d’accordo con le scelte del Presidente in politica estera. 

L’amministrazione Biden si prepara ad annunciare una serie di misure che mirano a punire gli investimenti delle aziende statunitensi in Cina: un ulteriore step in ottica di competizione globale dopo la linea tracciata dal Chips Act nella guerra dei semiconduttori. Nonostante la stretta, l’impressione è che la China policy dell’amministrazione non stia funzionando. Inoltre, per Biden, i prossimi due anni saranno complicati in politica interna, in particolare per la minoranza dem alla Camera e la risicatissima maggioranza in Senato. Lo scontro con i repubblicani sarà difficile anche in virtù del virtuale dominio dei repubblicani nelle legislature statali, che hanno rafforzato la propria presa sul potere locale e hanno mostrato di essere pronti a misure radicali, come l’espulsione dei due deputati democratici in Tennessee. La sfida è aperta: anche se Biden non ha ancora rivali di rilievo nella sua corsa alla presidenza tra le file del partito democratico, le tante incognite sul suo futuro e sulla sempre più polarizzata politica statunitense rendono l’esito imprevedibile. Fondamentale sarà capire chi uscirà vittorioso dalla competizione interna al GOP. Un Trump molto agguerrito ma estremamente divisivo potrebbe dare più possibilità di vittoria ai dem, mentre DeSantis rappresenta forse un rivale più pericoloso per Biden.

Massimiliano Garavallihttps://orizzontipolitici.it
Classe ’97, ma con le occhiaie da quarantenne. Fondatore del blog culturale Sistema Critico, scrivo di politica e filosofia, e nel mezzo qualche poesia. Mi sono laureato con double degree in Economia e Management ad Urbino ed in European Economic Studies a Bamberg, Germania. Mi piace pensare che ogni nostro piccolo pensiero sia una spinta per qualcuno a cambiare.

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