Povertà: cosa significa
Perfino per ricercatori e addetti ai lavori la definizione stessa della povertà e la scelta dei procedimenti statistici col quale misurarla assumono una notevole importanza. In un confronto tra economisti (ma non solo) la domanda “che cos’è la povertà?” porterebbe certamente ad opinioni divergenti e ad una moltitudine di definizioni proposte. Anche a livello giornalistico non di rado il termine viene utilizzato come se avesse un significato univoco, senza tenere in conto che i diversi istituti di ricerca raramente adottano la medesima definizione di povertà, e che spesso analizzano dati diversi per stimarne la diffusione all’interno di una nazione.
Anche a chi non si occupa professionalmente della questione capita di utilizzare all’interno di un discorso informale la parola “povertà” per esprimere concetti molto differenti tra loro e senza rendersi conto che il significato strettamente economico del termine non è univoco, a maggior ragione se viene utilizzato da persone che sono cresciute e si sono formate all’interno di contesti economici, sociali e culturali molto distanti fra loro.
Prendiamo un caso estremo: un monaco buddhista pensa per caso di essere più povero di Silvio Berlusconi? Quasi sicuramente il monaco ha un reddito inferiore e consuma una minor quantità di beni e servizi dell’ex premier, ma l’ipotesi che si consideri più povero di lui è tutta da dimostrare. Questo esempio potrebbe apparire ingenuo, ma ci torna utile per introdurre nel ragionamento una questione di vitale importanza, e cioè che, al di là degli esempi forzati, la povertà in senso economico (e forse anche lo stesso aggettivo “economico”) non ha lo stesso significato per tutti quegli individui che si considerano tali e che abbiamo intenzione di aiutare.
Reddito e povertà
Guardare alla povertà soltanto come una soglia di reddito sotto alla quale una persona non è più in grado di soddisfare i propri bisogni fondamentali ci porterebbe a credere che basti redistribuire del denaro per poterla contrastare, senza comprendere il motivo di alcune decisioni di spesa pubblica e di politica economica proposte dagli studiosi. Se “l’obiettivo è quello di garantire egualmente a ciascuna persona la libertà di vivere una vita che essa stessa considera di valore”, come dice l’economista indiano Amartya Sen nel suo libro Lo sviluppo è libertà, studiare la povertà guardando solo al reddito o solo ai consumi può condurre a delle analisi che mettono a fuoco solo un determinato aspetto della questione.
Provando a dare una definizione più allargata di “povertà” potremmo aggiungere che anche l’esclusione sociale ci rende più poveri, proprio come un basso livello di istruzione priva un individuo di alcuni dei mezzi necessari per autodeterminarsi in modo indipendente, specialmente all’interno di un complesso contesto sociale come quello dei Paesi più industrializzati. Per non parlare di chi è vittima di condizioni di salute precarie, delle persone invalide, di chi soffre di problemi psichici (come la depressione o il bipolarismo). Anche la privazione di determinate libertà politiche o l’essere soggetti a qualsiasi tipo di discriminazione partecipano alle cause che ci rendono incapaci di uscire da una condizione generale di povertà, intesa in senso allargato.
Quanto conosciamo i nostri bisogni?
Attraverso questo tentativo di osservare le dinamiche in questione, il reddito diventa un mezzo di primaria importanza per permettere a un individuo di autodeterminarsi, anche se la presenza di un adeguato flusso di ricchezza non implica direttamente che chi ne beneficia possieda tutti gli strumenti necessari per soddisfare le proprie necessità. Una persona più istruita è in grado di conoscere meglio i propri bisogni, e probabilmente è anche in grado di spendere meglio il proprio reddito al fine di soddisfarli. Inoltre il costo (reale) delle nostre necessità può variare considerevolmente in funzione del contesto sociale in cui le cerchiamo di soddisfare.
Per fare un esempio: una persona che vive in un un quartiere benestante a Milano sentirà il bisogno di comprare una macchina e dei vestiti più costosi a differenza di qualcun altro, magari cresciuto ed educato in un contesto dove la macchina non si usa o si usa poco e dove non è importante vestirsi firmato. Sembra una provocazione, è vero, ma lo stesso discorso può essere fatto per un quartiere meno abbiente. È difficile negare che molte delle nostre esigenze dipendono più dal nostro contesto sociale che dai nostri gusti, se una persona non sente il bisogno di consumare un determinato bene non lo dovrà comprare, e automaticamente avrà disponibile un reddito maggiore per soddisfare tutti gli altri bisogni.
Cos’è la povertà: la funzione degli indicatori economici
Molti degli aspetti appena discussi raramente rientrano all’interno delle definizioni economiche, non perché non siano ritenuti importanti, ma perché spesso non possono essere misurati oggettivamente. L’emarginazione sociale e il suo peso sullo stato di povertà di un individuo, ad esempio, non ha un’unica unità di misura più giusta delle altre che ci permetta di calcolarla, mentre una grandezza monetaria come il reddito reale o come i consumi si avvicina molto di più a una grandezza misurabile e con un significato inequivocabile.
Le definizioni economiche in senso stretto sono lo strumento di azione più scientifico possibile, sono efficaci, semplici e molto utili, ma rispecchiano la necessità di studiare oggettivamente una parte del fenomeno per agire di conseguenza sulla base di conoscenze certe, mentre non descrivono complessivamente ciò che stiamo cercando di comprendere. Per questo è importante non fare confusione e non scambiare i modelli con cui semplifichiamo la realtà con la realtà stessa.