La scorsa settimana alla Camera dei Deputati è stato discusso e ratificato il “Trattato del Quirinale” tra Italia e Francia. L’accordo, firmato il 26 novembre scorso dal presidente del Consiglio Draghi ed il presidente della Repubblica francese Macron, ha l’obiettivo di sancire una nuova era di cooperazione e dialogo tra i due paesi.
Quello negoziato da Roma e Parigi è un trattato molto corposo. Esso va a toccare l’intero spettro dei temi di governo: dalla politica estera e di sicurezza e difesa, alla cooperazione economica ed industriale, dalla politica europea e migratoria alla cooperazione in materia di istruzione, cultura e sviluppo sostenibile.
Esiste un solo antecedente simile in Europa, il “Trattato dell’Eliseo”, storico patto di amicizia franco-tedesco firmato nel 1963 con l’obiettivo di coordinare le rispettive politiche estere. Una cooperazione politica riuscita che è stata poi riconfermata ed ampliata nel 2019 dall’allora Cancelliera tedesca Merkel e lo stesso Macron con la firma del trattato di Aquisgrana.
Italia: dall’isolamento alla centralità europea
Ai tempi di Aquisgrana, le relazioni tra Italia e Francia invece non erano idilliache. L’allora ministro degli interni Salvini aveva definito Macron un ipocrita per le sue prese di posizione in ambito di politiche migratorie. Il ministro del lavoro Di Maio aveva pubblicamente appoggiato il movimento di protesta “Gilet Gialli” facendo infuriare il governo francese. A tal punto che, dopo lo scontro di visioni sulla gestione della crisi libica, il governo francese aveva richiamato l’ambasciatore in Italia, Masset.
Oltre alle tensioni con il cugino transalpino, cercando la sponda di governi euro-scettici come quelli ungherese e polacco, la penisola si trovava in una situazione di isolamento europeo ed internazionale che il governo Conte aveva cercato di alleviare approfondendo il rapporti con la Cina di Xi Jinping.
Nel giro di due anni invece, complice la Brexit e la pandemia globale, lo scacchiere europeo ha preso tutt’un altro assetto, ridando centralità all’Italia di Draghi.
Francia grande vincitrice
La pandemia ha reso necessario un massiccio intervento statale nell’economia, ridefinendo, a volte non senza costi associati, molti dei modelli economici dei paesi europei, ma non quello francese, da sempre caratterizzato da un forte intervento statalista.
Inoltre la Brexit ha stabilito che partisse un attore molto influente delle istituzioni Ue, un attore che ha saputo imporre un’impronta particolarmente liberale a certe politiche europee, spesso scontrandosi con le visioni francesi, da sempre a favore di politiche economiche più attive.
Senza l’antagonista inglese e con una legittimità rafforzata in Ue (è ormai l’unico paese Ue con un posto permanente al Consiglio di sicurezza Onu), la Francia ha ora, più che mai, il potere di imporre la sua visione di Unione Europea. Per fare ciò però ha bisogno del supporto di altri paesi membri perché per quanto sia solida e sinergica la cooperazione franco-tedesca, rimangono attuali le divisioni a proposito di due temi politici centrali come la riforma delle regole fiscali europee e la creazione del debito pubblico Ue.
Ecco che l’Italia, con Mario Draghi a capo del Consiglio dei ministri, è passata da vicino scomodo a figura di alleato perfetto.
La spesa del governo francese è la più alta, per percentuale del Pil, tra i paesi Eu
Si tratta solo di Draghi?
Non è il solo cambiamento di governo ad aver avvicinato così tanto Macron all’Italia. I presupposti per un’alleanza politica più approfondita sono molteplici ed alcuni hanno radici antiche.
Due Stati interventisti
I modelli economici francesi ed italiani sono molto simili tra di loro. Possono essere definiti modelli di capitalismo pubblico caratterizzato da un forte intervento statalista nell’economia e un numero molto elevato di partecipate statali. In Francia, nel 2019, le società detenute maggioritariamente dallo Stato erano 1.702, dando lavoro a circa 778 mila impiegati. Nel 2018 le unità economiche a partecipazione pubblica in Italia erano di più, 8.510, però con un numero comparabile di addetti: 924 mila.
Commercio e filiere produttive integrate
In entrambi i paesi il commercio ammonta a quasi la metà del prodotto interno lordo. Nel 2019, esso contribuiva al 45% del pil francese ed al 50% di quello italiano.
La Francia è il secondo partner commerciale dell’Italia, mentre l’Italia è il terzo per la Francia. Non si tratta solo di scambi commerciali di prodotti finiti, ma anche e soprattutto di componenti di catene logistiche che rendono i due paesi interconnessi e dipendenti l’uno dall’altro. Particolarmente integrate sono le filiere produttive dell’automotive, dell’agro-alimentare e del lusso.
Francia ed Italia sono i rispettivi più importanti partners commerciali
Grandi progetti industriali comuni
La complementarietà dei rispettivi tessuti produttivi ha sicuramente favorito lo sviluppo di grandi progetti industriali comuni.
Un primo esempio di successo è quello della joint venture italo-francese ATR, nata nel 1981 da un’idea di Renato Bonifacio, presidente di Aeritalia (oggi Leonardo SpA) e Jacques Mitterand presidente di Aérospatiale (oggi EADS) con l’obiettivo di rivoluzionare il mercato del trasporto aereo regionale. Oggi ATR è leader mondiale nel settore.
Risale al 1987 invece la creazione di STMicroelectronics, un’azienda italo-francese, per la produzione di componenti elettronici a semiconduttore che oggi rappresenta una delle industrie più strategiche del panorama europeo. Infatti, i semiconduttori, – o chips – sono fondamentali per l’innovazione tecnologica, tra altri, di televisori, smartphone ed automobili, la cui domanda è cresciuta esponenzialmente con l’avvento della pandemia. Oggi la domanda è di gran lunga superiore all’offerta, creando delle dipendenze e, conseguenti tensioni, geo-strategiche molto importanti tra le potenze mondiali che hanno innescato una corsa mondiale alla produzione di semiconduttori.
Altro caso di successo è la recente Stellantis, joint venture nata dalla fusione tra il gruppo francese PSA e quello italo-statunitense di Fiat Chrysler Automobiles, che oggi rappresenta il quarto leader mondiale di produzione di autoveicoli.
Tensioni politiche e ripercussioni
Date queste premesse, viene da chiedersi il perché un avvicinamento politico tra Italia e Francia non sia avvenuto prima (data l’antichità del precedente accordo franco-tedesco).
Una risposta può essere trovata nei fattori stessi che accomunano così tanto i due vicini. L’elevato grado di partecipazione pubblica nell’economia e la specializzazione negli stessi settori, infatti, ha anche causato l’insorgere di grandi frizioni politiche ed industriali.
Un clamoroso caso è quello suscitato dal tentativo, poi riuscito, di EDF di acquisire la società Edison di proprietà della partecipata italiana Enel. EDF è il più grande produttore energetico francese ed è anch’esso di proprietà statale. È nel quadro della liberalizzazione del mercato energetico della fine degli anni novanta che EDF prende il controllo di Edison, quando lo Stato Italiano decide di togliere il diritto di voto nel consiglio d’amministrazione ai francesi per l’assenza di reciprocità di apertura del loro mercato energetico. Il caso si è finalmente risolto dopo dieci anni, ma ha lasciato lo Stato italiano molto diffidente nei confronti dei cugini transalpini.
Questa diffidenza si è manifestata nel 2006, quando Alitalia ed Air France-KLM intavolano le negoziazioni per una possibile fusione, dopo quelle fallite del 1993 e 1997. Essa si è rivelata, ancora una volta, un fallimento a causa dell’elevata politicizzazione del caso, che ha anche contribuito alla caduta del governo Prodi.
Ultimo emblematico caso è quello del tentativo fallito di acquisizione da parte della partecipata Fincantieri dei cantieri navali di Saint Nazaire (Stx). La manovra aveva ricevuto la benedizione del presidente francese Hollande, ma non quella di Macron. Dopo aver messo in discussione l’accordo, infatti, ha voluto che lo Stato francese rimanesse azionario principale di Stx.
Riuscirà il trattato del Quirinale a normalizzare le relazioni tra Italia e Francia?
È evidente che la portata del trattato firmato da Italia e Francia va oltre la sola politica europea. In gioco ci sono molti dossiers industriali a difesa dei quali gli attori economici dei due paesi chiedono chiarezza e trasparenza da parte delle istituzioni. Il primo passo è stata la conclusione del trattato, adesso bisogna aspettare la ratifica da parte dei rispettivi parlamenti. In seguito, dovrà essere monitorata l’effettiva implementazione. In effetti, se i governi di Italia e Francia si impegnano ad onorare le disposizioni del trattato, potrà verosimilmente arrivare la normalizzazione dei rapporti politici. Oltre a ciò, potranno accelerare i progetti industriali congiunti. Essi necessitano infatti principalmente di stabilità politica e diplomatica, perché le condizioni economiche sono come abbiamo visto, particolarmente favorevoli.
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