Nel marzo 2019, l’Italia ha aderito alla Nuova Via della Seta – conosciuta internazionalmente come Belt and Road Initiative (BRI). Sono stati espressi molti giudizi, sia positivi che negativi, a riguardo del progetto. Tuttavia, a più di un anno dalla firma del Memorandum d’Intesa, i rischi e le opportunità derivanti dall’adesione sono ancora poco chiari. È giunto il momento di far luce sulla questione, e di analizzare le conseguenze della partecipazione italiana alla Via della Seta.
La Nuova Via della Seta
Innanzitutto, è necessario inquadrare l’adesione italiana al progetto chiarendo gli scopi e i tratti essenziali di quello che è stato definito come il gioiello di politica estera del Presidente cinese Xi Jinping – qui l’approfondimento di Orizzonti Politici. Secondo la Banca Mondiale, l’obiettivo della Via della Seta è “migliorare la connettività e la cooperazione su scala transcontinentale”. La dimensione dell’iniziativa è ancora in fase di definizione, ma coinvolge due componenti principali, una terrestre e una marittima, ciascuna sostenuta da un significativo piano di investimenti. Attraverso massicci investimenti infrastrutturali, Pechino mira a creare una rete di zone industriali e corridoi economici con il fine di realizzare una maggiore cooperazione economica tra i Paesi che aderiscono all’iniziativa.
L’adesione italiana
Cosa significa, dal punto di vista istituzionale, l’adesione italiana alla Via della Seta? Il documento firmato nel marzo 2019 – qui il testo originale – detta esclusivamente le linee guida e i principi generali di una generica collaborazione tra Roma e Pechino. Non essendo un trattato internazionale, non prevede obblighi né vincoli. Semplicemente, i due Paesi si impegnano a rafforzare i rapporti politici e i legami economici, e a promuovere la cooperazione e connettività fra i rispettivi popoli. L’accordo sancisce l’adesione ufficiale dell’Italia al progetto, senza però stabilire impegni giuridici. Per inaugurare la collaborazione, insieme al Memorandum sono stati firmati 29 accordi istituzionali e commerciali per un valore totale di 2,5 miliardi di euro.
Le speranze italiane
L’allora Governo Conte I ha presentato l’adesione all’iniziativa cinese come una vittoria economica e politica. Secondo Luigi Di Maio, ai tempi Ministro dello Sviluppo Economico, l’intesa avrebbe dato impulso al commercio e alle esportazioni dei prodotti “Made in Italy”, riducendo il deficit commerciale dell’Italia con la Cina e consentendo al Paese di mettersi al passo con i colleghi europei. Inoltre, l’accordo avrebbe attirato investimenti diretti cinesi, aiutando pertanto l’Italia a superare la recessione economica. Infine, le speranze del Governo Conte I miravano a rendere l’Italia un punto strategico della Via creando sul territorio hub logistici per lo smistamento delle merci in arrivo e in partenza dal continente Europeo.
I vantaggi
A quasi sette anni dal lancio dell’iniziativa, la Via della Seta è ancora nella fase iniziale del suo sviluppo – la conclusione è prevista per il 2049, nel centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Tuttavia, è possibile già ora, almeno parzialmente, analizzare i primi benefici che il progetto ha portato ai Paesi partner.
Una maggiore connettività
Gli investimenti infrastrutturali correlati alla Via della Seta hanno indubbiamente migliorato la connettività tra Europa e Asia. Secondo la Banca Mondiale, le carenze infrastrutturali nelle economie dei Paesi lungo i corridoi BRI ne ostacolano il commercio e gli investimenti esteri, e i finanziamenti cinesi potrebbero aiutare a colmare queste lacune. Molti Paesi lungo la rotta necessitano degli investimenti promossi dall’iniziativa non solo per potenziare la loro interconnessione con la Cina, ma anche quella reciproca fra Paesi vicini. Sempre secondo la Banca Mondiale, si stima che il commercio nelle economie dei corridoi BRI sia inferiore del 30% alla capacità potenziale, e che gli investimenti diretti esteri siano stimati del 70% al di sotto della necessità. I progetti della Via della Seta, dunque, potrebbero espandere il commercio di queste zone riducendone i costi, e aumentare gli investimenti esteri e la connettività.
Recuperare terreno sui partner europei
L’obiettivo italiano è quello di inserirsi in questa rete commerciale, sfruttare la migliore connettività fra Europa e Asia ed essere recipiente di investimenti diretti cinesi e accordi bilaterali. Secondo i dati del governo cinese, tra il 2013 e il 2018 la Cina ha investito più di 90 miliardi di dollari in Paesi che hanno aderito all’iniziativa. Nello stesso periodo, i treni merci cinesi-europei operativi annualmente sono aumentati da 80 a più di 6000. Negli ultimi anni, il commercio cinese con i Paesi BRI è aumentato maggiormente, in termini percentuali, rispetto al commercio estero cinese con tutto il resto del mondo. Roma punta a sfruttare la sua posizione di partner per accedere a questo mercato e a recuperare terreno sugli storici alleati europei. Fra le maggiori economie europee, infatti, l’Italia sembra essere il fanalino di coda nei rapporti economici Europa-Cina. Tra il 2005 e il 2018, gli investimenti cinesi in Italia sono stati pari a 25 miliardi di dollari, quarta destinazione europea dopo Regno Unito, Germania e Francia. Per quanto riguarda le esportazioni la situazione non è migliore: l’export italiano in Cina è pari al 2.8% dell’export totale italiano, contro il 4.2% francese, il 6.5% britannico e il 7.1% tedesco. La Via della Seta potrebbe essere una buona occasione per accorciare le distanze con gli alleati europei.
Un canale preferenziale
L’Italia è la più grande economia europea e unico Paese appartenente al G7 ad aver aderito all’iniziativa di Xi Jinping. Per Pechino, i porti italiani offrono condizioni commerciali favorevoli e un accesso più rapido ai mercati dell’Unione Europea. Soprattutto, però, l’adesione italiana ha rappresentato un successo simbolico per la Cina poiché è stata vista come il primo e vero endorsement occidentale. Pechino potrebbe aver considerato la partecipazione di Roma come un’opportunità per spianare la strada ad accordi con altri Paesi dell’Unione Europea, ed esercitare pressioni politiche per allentare i meccanismi di controllo dell’Unione Europea verso gli investimenti cinesi. L’Italia, grazie a questa condizione di unicità, potrebbe essere vista come un canale preferenziale da parte della Cina: nella speranza di mostrare all’Occidente la bontà della Via della Seta, Pechino potrebbe avere un occhio di riguardo per l’Italia.
La partita dei porti
È opportuno, infine, soffermarci sui potenziali vantaggi che il partenariato strategico con la Cina ha per i porti italiani, dal momento che l’Italia sarà il punto di arrivo della componente marittima della Via della Seta. Pechino è particolarmente interessata agli scali mercantili italiani. Compagnie cinesi hanno partecipato allo sviluppo del porto commerciale di Vado Ligure, mentre altre sono interessate alla nuova piattaforma logistica del porto di Trieste. Entrambi i porti hanno fondali molto profondi – caratteristica rara nei porti mediterranei –, capaci di accogliere anche le più grandi navi portacontainer di ultima generazione, e offrono collegamenti ferroviari diretti con il resto d’Europa. Il porto di Trieste, inoltre, detiene un’esenzione unica dai dazi doganali. Secondo uno studio congiunto dell’Università di Ferrara e la Peking University, il Mediterraneo si appresta ad assumere una dimensione centrale nei commerci Euroasiatici. Secondo l’OCSE, le merci spostate lungo la componente marittima della Via della Seta saranno almeno dalle 10 alle 20 volte superiori rispetto a quelle mosse lungo la tratta terrestre. I porti italiani, dunque, hanno ampie potenzialità di sviluppo nel contesto BRI. Basti pensare che il Pireo, il porto di Atene, ha incrementato il suo traffico merci del 50% da quando la Cosco, una compagnia cinese, ne ha assunto la gestione nel 2016.
Tra rischi e opportunità
L’adesione italiana alla Nuova Via della Seta offre quindi molte potenzialità e prospettive. Ma quali sono i rischi?
Innanzitutto, il gioiello di Xi Jinping è ancora molto nebuloso, nonostante ci siano chiari elementi positivi, molti sono ancora oscuri. La Via della Seta è stata più volte considerata una debt trap, ossia uno strumento diplomatico volto a estendere il controllo politico ed economico cinese all’estero. È celebre il caso di Hambantota, porto dello Sri Lanka dato in concessione per 99 anni alla Cina in seguito all’incapacità del governo cingalese di ripagare il debito contratto con Pechino nel contesto BRI. A Roma è stato criticato il fatto che è possibile fare affari con Pechino senza doversi impegnare in un ambiguo programma geopolitico. Molti Paesi europei sono rimasti interdetti dall’adesione italiana perché preoccupati delle implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti cinesi in settori strategici come porti, energia, tecnologia e telecomunicazioni.
Inoltre, sebbene le opportunità sulla carta siano molte, la realtà potrebbe non essere all’altezza delle aspettative. È vero, l’Italia potrebbe usare a proprio vantaggio il fatto di essere la più grande economia europea e unica potenza del G7 a partecipare alla Via della Seta; tuttavia, è impensabile che giochi una partita alla pari con il gigante cinese. Rompendo ulteriormente la compattezza dell’Unione Europea, Roma ne ha messo in discussione il ruolo nella scena internazionale. L’Unione Europea può agire efficacemente e esercitare influenza nel teatro geopolitico globale soltanto a condizione che i suoi membri agiscano all’unisono.
L’Italia necessita di adottare una strategia di lungo termine per quanto riguarda la sua partecipazione alla Via della Seta. Roma dovrà aiutare a chiarire alcuni degli elementi più ambigui del progetto cinese, ma prima ancora dovrà stabilire chiaramente le sue intenzioni e i suoi obiettivi nei confronti dell’iniziativa. Soprattutto, però, l’Italia dovrà saper bilanciare i propri rapporti diplomatici tra Pechino e l’Europa, sfruttando le occasioni economiche create dall’adesione alla Via della Seta, senza però perdere di vista la sua collocazione europea.