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Un’Ucraina che non ce l’ha fatta? Storia della Cecenia

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La storia della Cecenia può essere descritta con tre parole: guerra, repressione e ribellione. Una popolazione montanara nell’area caucasica settentrionale che per secoli è stata la spina nel fianco della Russia, che fosse zarista, sovietica o federale. La conquista di tale regione ha portato fiumi di sangue e si è conclusa dopo due secoli con la migliore risoluzione per la Russia: uno stato confederato capitanato da un seguace fedele a Putin, Ramzan Kadyrov. Un alleato che recentemente non ha esitato a muovere guerra verso l’Ucraina a sostegno della Federazione, obliando quei sogni di indipendenza che per generazioni sono appartenuti alla stessa Cecenia e per cui migliaia di persone sono morte. Ecco la storia della Cecenia.

Ceceni: un popolo diviso

Considerando la regione nella sua totalità, insieme a Georgia, Azerbaijan e Armenia, il Caucaso è poco più grande dell’Italia e la Svizzera messe insieme, ma all’interno della quale, per secoli, vi hanno proliferato molteplici tradizioni ed etnie radicalmente diverse tra loro.  Tuttavia, soprattutto nella regione settentrionale, gli autoctoni hanno avuto come tratto comune l’adesione tardiva ma maggioritaria all’islam sunnita, in contrapposizione al cristianesimo ortodosso delle etnie russe. Tale islamizzazione fu il pretesto di Pietro il Grande per intervenire nella regione nel 1722, a sostegno dei cristiani nel Caucaso meridionali desiderosi di sottrarsi alla dominazione musulmana. Nondimeno, il desiderio di russificazione della regione era dettato senz’altro anche dalla politica espansionistica zarista che puntava a garantirsi un accesso diretto alle acque calde del Mar Caspio e del Mar Nero, ed estendere così le cosiddette “zone cuscinetto”.

Ceceni: un popolo di guerrieri

A sorpresa di Pietro Il Grande prima, e di Caterina II poi, le truppe russe dovettero affrontare una feroce resistenza locale fin dall’inizio della storia della Cecenia, e confrontarsi con insurrezioni varie, come quella dello Sceicco Mansur Ushruma nel tardo 1700 e di Imam Shamil a metà del 1800. Tali guerre posero la base della cultura locale, ben descritta e ammirata da Lev Tolstoj nel libro Chadzi-Murat per l’incredibile e indissolubile resistenza alle forze dello zar. Il conflitto con la Russia fornì inoltre motivi di coesione, evidenziando i punti comuni tra le popolazioni cecene, ossia la fedeltà alla religione islamica, la brama di indipendenza e un idioma comune che permetteva una migliore comunicazione nella resistenza.

Allo stesso tempo, la frammentarietà delle culture permise ai russi di perseguire la politica del divide et impera e l’annessione all’impero nel 1873. In ogni caso, la popolazione non rinunciò alla sua sete di libertà, tanto che anche durante l’instaurazione del regime sovietico si registrarono nuovi tumulti. La questione cecena fu sedata, in seguito, da Stalin con l’operazione Lentil del febbraio 1944, in cui circa 500.000 mila persone furono deportate in condizione disumane nelle lande dell’Asia Centrale, accusate di aver collaborato con il nemico nazista. La realtà è che l’invasione tedesca diede il pretesto per eliminare una popolazione inaffidabile e restia ad accettare la sovietizzazione.

Vento della storia: Dudaev e l’indipendenza 

Solo con Kruscev, nel 1956, i ceceni furono perdonati per una colpa mai commessa e permesso loro di ritornare nelle loro terre. Tuttavia, in loro assenza, il defunto presidente aveva spinto i cittadini russi a insediarsi nel Caucaso e costruito strade con le lapidi dei cimiteri, con l’obiettivo di sminuire i sogni di indipendenza dei ceceni. Nonostante alcune tensioni e scontri, si raggiunse velocemente una “normalità” in cui la memoria della deportazione era vivida ma di cui era vietato parlarne. Soltanto con la libertà di espressione, reinserita con la Perestroika negli anni Novanta, si accese un dibattito su quanto accaduto. Fu proprio in questo frangente, tra la nuova consapevolezza delle proprie libertà e la caduta dell’impero sovietico, che ascese Dzhokhar Dudaev, primo Presidente nella storia della Cecenia. 

Negli anni antecedenti alla caduta, Dudaev aveva fatto carriera nel militare arrivando a ricoprire importanti cariche come il comandante della base di Tartu, Estonia –  un fatto sorprendente se si considera che la stessa persona era nata durante l’atroce e innominabile deportazione dei ceceni. Tali origini non sembravano essere mai state d’impiccio finché il vento della storia non fornì nuove opportunità, così che Dudaev tornò a casa e divenne il leader politico che affermò, in un referendum del 1991, l’indipendenza della Repubblica cecena e la sua carica di presidente. L’anno seguente, il territorio si divise dall’Inguscezia, che decise di riconfluire con la Federazione.

La prima guerra cecena 1994-1996: Eltsin vs. Dudaev 

Se quando gli Stati satelliti si staccarono dalla sfera di influenza della Russia Boris Eltsin, primo presidente della Federazione, non prese provvedimenti, lo stesso non poteva permettersi con la Cecenia. Già ai tempi degli zar, il Caucaso ricopriva infatti una valenza strategica e, con l’aggiunta dei gasdotti di petrolio che attraversavano il territorio collegando Baku a Novorossiysk, sarebbe stata una perdita economica e militare troppo importante per la neo-Federazione. Così che, già all’annuncio dell’indipendenza della Cecenia, Eltsin mandò le sue truppe in una fallimentare operazione che non lasciò l’aeroporto di Grozny.

Al fine di prepararsi a uno scontro e consolidare la propria posizione, Dudaev fece leva sui ricordi e la paura di una nuova deportazione, aumentando i dissapori contro i cittadini di etnia russa e le sue istituzioni. Si venne a formare un gruppo di opposizione che richiese l’intervento di Mosca e che nel 1994 mosse finalmente guerra in “un’operazione lampo”. Al contrario, la resistenza cecena fu sorprendente come in passato e, soprattutto, feroce, congiunta a diversi attacchi terroristici in cui non vennero risparmiati i civili. Michail Gorbachiov definì la guerra “una vergognosa avventura sanguinaria”, a seguito dei pesanti bombardamenti sulla capitale cecena che portarono anche molti oppositori di Dudaev tra le sue file. La guerra si concluse nel 1996 con un nulla di fatto, tra la polvere e il sangue di ceceni e russi, e la crescente impopolarità di Eltsin.

Seconda guerra cecena 1999-2009: il pugno duro di Putin 

Il disagio, la rabbia e la distruzione del primo conflitto furono delle premesse fondamentali di quello che seguì solo tre anni dopo. La “pace” raggiunta portò il ritiro delle truppe di entrambe le fazioni dalle città e lasciarono allo sbaraglio i cittadini con quello che ne era rimasto. La Cecenia divenne luogo di proliferazione del crimine organizzato e dell’estremismo islamico wahhabita, che sfruttò il conflitto storico con la Russia in funzione di una nuova jihad e la costituzione di uno Stato Islamico del Caucaso.  

È in questo frangente in cui entrò Vladimir Putin, nel 1999, appena presentato dal presidente Eltsin al Cremlino, e con una Russia che cercava di recuperare dal default dell’anno precedente e da una guerra interna che aveva lasciato il governo sconfitto. La scusa per una rivalsa venne offerta da un attacco ceceno in Daghestan. Putin mise in atto una nuova “guerra lampo”, che risultò più lunga della prima e che provocò più morti della guerra in Afghanistan. Nonostante l’annessione della Cecenia alla Federazione nel 2000, la guerra proseguì sul piano terroristico. I fondamentalisti ceceni non si risparmiarono in attacchi eclatanti, come nella tragedia del teatro Dubrovka a Mosca (2002) della scuola di Beslan (2004), occasioni in cui venne impartita la dura lezione del Cremlino: nessuna negoziazione con i terroristi neanche per salvare i civili. Anna Politkovskaja fu una delle voci coraggiose che misero a nudo le atrocità inflitte anche dalle forze federali contro i ceceni in quegli anni. La sua voce fu, poi, brutalmente spenta in un omicidio ancora oggi irrisolto.

Diversamente da Eltsin, però, Putin riuscì a ottenere la fiducia di alcuni ceceni contrari al wahhabismo, in particolare Akhmat Kadyrov, a cui succedette il figlio Ramzan alla sua morte prematura, e che furono incaricati di ristabilire l’ordine nell’area. I kadyrovtsy, letteralmente gli uomini di Kadyrov, sono bande armate che usarono (e ancora oggi usano) l’intimidazione e l’eliminazione fisica degli oppositori politici oltre che dei fondamentalisti. Dal 2005, la storia della Cecenia cambiò e la guerra si fece tra gli stessi abitanti della regione, da cui ne uscì vincitore il Kadyrov figlio, e in parte anche Putin. 

Vladimir Putin con Ramzan Kadyrov [crediti foto: Dipartimento di stampa del Cremlino CC BY 4.0]
Vladimir Putin con Ramzan Kadyrov [crediti foto: Dipartimento di stampa del Cremlino CC BY 4.0]

La Cecenia di Kadyrov: soldato e influencer 

Oggi la Cecenia vive in una forte gerarchia imposta dal suo presidente, Ramzan Kadyrov.  La fedeltà a Putin, a cui garantisce la stabilità nella regione, gli ha conferito moltissime libertà e risorse economiche, che sfrutta sia personalmente che per investimento nella sua regione. Tale ordine è garantito non soltanto con l’uso della forza dei suoi kadyrovtsy, come nelle persecuzioni delle comunità LGBTQ+, ma anche dal personaggio che si è creato attraverso i social.

Kadyrov è, infatti, un signore della guerra e influencer e sfrutta le sue apparizioni pubbliche e piattaforme social per diffondere sia una retorica battagliera, di uomini forti e ligi islamici di tipo non wahhabita, che di uomo di popolo e di successo, condividendo post giornalieri della sua vita quotidiana mentre accarezza animali esotici e pericolosi. Un fenomeno dei social che ha un seguito pari al doppio della popolazione cecena e una forza militare non indifferente.

Cecenia: il braccio militare nella guerra in Ucraina 

Nonostante la situazione apparentemente stabile e ottimale per il Cremlino, probabilmente la più pacifica dalla caduta dell’Urss, la storia della Cecenia insegna che i sogni di indipendenza della regione insorgono quando ne hanno l’opportunità. Tuttavia, per la conformazione politica che vige oggi sul territorio, sembra lontana una seria ribellione nel prossimo futuro. Anzi, il supporto di Kadyrov alla guerra in Ucraina è stato immediato, e al contempo il suo diario sui social annuncia giornalmente i progressi delle fazioni russe e cecene sul territorio. Proprio pochi giorni fa, Euronews ha riportato un video di soldati ceceni a Mariupol che festeggiavano la presa della città.

Da soldati indipendentisti a estremisti islamici, oggi la storia della Cecenia ha registrato un brutto cambio di rotta diventando il cane da guardia di Putin. Se sarà in grado di mantenere questo equilibrio di favori con il signore della guerra, Kadyrov, Putin ha la possibilità di impartire la stessa lezione della Cecenia ad altri paesi “ribelli”, come l’Ucraina.

 

*Da destra, i profili di Dzhokhar Dudaev, Ramzan Kadyrov e Vladimir Putin [crediti foto: Dmitry Borko CC BY-SA 4.0, ufficio stampa del Cremlino CC BY 4.0, ufficio stampa del Cremlino CC BY 3.0]
Chiara Manfredi
Il mondo è troppo vario per avere un solo punto di vista e poche passioni. Laureata in International Relations tra MGIMO e LUISS Guido Carli, sono alla constante ricerca di nuove esperienze per appagare la mia curiosità, che sia dentro un libro o in un viaggio avventuroso.

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