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Dal 2014 ad oggi: le responsabilità dell’Ue nella crisi in Ucraina

Tempo di lettura stimato: 8 min.

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“Potevano scegliere fra il disonore e la guerra: hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. Questa fu la frase pronunciata da Winston Churchill, non ancora primo ministro, all’indomani del famoso “Accordo di Monaco” del settembre 1938. Con questo patto, Francia e Regno Unito cedevano alle richieste della Germania di Hitler, permettendogli di occupare i Sudeti, sacrificando di fatto la Cecoslovacchia. Benché si tratti di contesti e tempi fondamentalmente diversi, la celebre sentenza avrebbe potuto essere pronunciata anche a seguito dell’annessione della Crimea da parte della Russia avvenuta nel marzo 2014. Il disonore a cui si fa riferimento in questo caso è legato alla mancanza di significative azioni di ritorsione da parte dell’Occidente e dell’Ue in particolare a seguito dello scatenarsi della crisi in Ucraina.  Infatti, optando per sanzioni fievoli contro la Russia ed un aiuto più simbolico che concreto all’Ucraina, le democrazie occidentali sono accusate di averla di fatto sacrificata. Un sacrificio che si è materializzato in guerra il 24 febbraio 2022.

Ma in che modo l’annessione della Crimea del 2014 ha determinato la guerra scatenata da Putin otto anni dopo? L’Ue ha davvero delle responsabilità nei confronti dell’attuale crisi in Ucraina?

Prima di rispondere, bisogna evocare quattro date chiave.

Il rovesciamento del governo ucraino e l’annessione della Crimea

Il contesto nel quale ha preso forma la secessione della Crimea è quello del rovesciamento del governo filorusso di Janukovic a fine febbraio 2014 da parte del movimento rivoluzionario. Benché si trattasse di un gruppo molto eterogeneo formato da gruppi della destra nazionalista, ma anche dai tradizionali gruppi di opposizione parlamentare filo-europei di ispirazione democratica, esso ricevette grande consenso dalla popolazione, la cui maggioranza voleva destituito l’attuale governo. Lo scontento popolare nei confronti del presidente Janukovic, già accusato di corruzione ed inefficienza, si è infatti acuito a novembre 2013 quando il suo governo decise di interrompere i negoziati per l’accordo di associazione dell’Ucraina con l’Unione Europea (Ue). Un trattato commerciale che avrebbe potuto marcare l’inizio del processo di adesione dell’Ucraina all’Ue, processo che ha messo in crisi Cremlino, accusato di averne deciso l’interruzione.

L’evento, ridefinito come rivoluzione di Maidan, ha sancito l’esautoramento di Janukovic, preoccupando non poco la Russia. Rivendicando quindi la necessità di proteggere la minoranza russa presente in Crimea dalla destra nazionalista, il 28 febbraio Putin decide di occupare miltarmente la Crimea. A marzo è poi indetto un referendum, ritenuto illegittimo dal governo ucraino, così come dalla comunità internazionale, sulla base del quale la regione è annessa alla Federazione Russa. 

Oltre all’annessione della Crimea, a febbraio Putin annunciò unilateralmente il riconoscimento dell’indipendenza dei distretti del Dombass e Lugansk. Regioni dove la popolazione di etnia russa, fomentata da quella che molti esperti ritengono una sofisticata campagna di “operazioni sulle informazioni” attuata da Mosca, si era sollevata contro le autorità ucraine.

Il nuovo governo ucraino guidato dall’oligarca Petro Poroshenko, dopo aver rinunciato, su pressione dei governi occidentali, alla riconquista della Crimea, ha invece intrapreso azioni militari per riconquistare le due regioni, dando inizio ad una guerra che fino ad oggi ha causato 15mila morti e 1.8 milioni di profughi interni. Nonostante la firma degli accordi di Minsk 2 nel 2015, il conflitto non è mai stato realmente risolto data la diversa interpretazione degli accordi da parte delle due forze in campo. 

La risposta dei paesi Ue alla crisi ucraina del 2014

Viene da chiedersi come mai coloro che hanno definito l’assetto mondiale post-guerra fredda violato dalla Russia, in primis gli Stati Uniti con gli altri paesi NATO, non abbiano impedito il gesto bellico russo. Gesto considerato fino a questo gennaio come la più grave violazione dei confini europei dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Di fronte al rifiuto russo alla richiesta europea di ritirare le truppe in Ucraina e di mettere fine alla crisi, il 20 marzo i leader dell’Ue hanno effettivamente imposto un primo pacchetto di sanzioni. Esse consistevano nel congelamento di conti bancari e beni posseduti da ventuno autorità russe e crimeane, accompagnati dal divieto per questi soggetti di viaggiare in territorio europeo. Inoltre è stato deciso di interrompere i rapporti bilaterali ufficiali con il Cremlino. Dato il mantenimento dell’atteggiamento bellicoso russo, a luglio dello stesso anno, è stato adottato un pacchetto di nuove misure restrittive che comprendevano il divieto di importare ed esportare armi con la Russia ed il divieto di concedere prestiti alle cinque più grandi banche russe, a tre compagnie energetiche e a tre industrie specializzate nel settore della difesa, tutte a partecipazione statale russa.

Tuttavia, l’allora primo ministro polacco Tusk definì i negoziati in Consiglio Ue come tempestosi, data la frustrazione emersa quanto all’inabilità di imporre sanzioni più ambiziose a fronte alla crisi ucraina. Inabilità condizionata della necessità di trovare l’unanimità all’interno del Consiglio Ue. In effetti, i leader europei avevano interessi economici molto importanti in gioco. La Russia era ed è il più importante fornitore di gas in Europa e gli attori finanziari, così come i grandi gruppi industriali, non erano pronti ad iniziare una guerra commerciale con Mosca.

Ai tempi, la Germania di Angela Merkel contava investimenti da 22 miliardi di euro in Russia. Oltre a ciò, stava per essere costruita l’enorme opera infrastrutturale Nord Stream 2. Lungo 1230 km e terminato nel 2018, si tratta del più lungo gasdotto sottomarino d’Europa, il cui obiettivo era quello di raddoppiare l’importazione di gas naturale russo in Germania, e poi anche in Austria, Italia ed altri paesi d’Europa centrale. Benché di proprietà di Gazprom, controllata da Mosca, molti investitori europei, in primis austriaci, francesi e tedeschi ne hanno finanziato l’opera.

L’Italia, dal canto suo, era la più esposta in Russia nel settore bancario. L’1% dei prestiti totali delle banche italiane, un ammontare di 29 milardi di euro, si trovava in Russia. Quasi il doppio, in termini relativi, delle banche francesi ed olandesi, che  con rispettivamente 51 e 18 miliardi di euro circolanti in Russia, avevano lo  0,6% dei loro asset esposti.

Là dove era più vulnerabile la Francia era nel settore militare. C’era infatti in ballo un enorme contratto commerciale franco-russo riguardante la vendita di due portaelicotteri di classe Mistral. Contratto che, non dopo poche esitazioni, è stato interrotto da Hollande.

In ogni caso, questi forti legami economici sono sicuramente parte della spiegazione dell’inabilità europea a dare una risposta credibile alle azioni russe. Per questo motivo, l’Unione è stata fortemente criticata, sia da alcuni suoi paesi membri d’Europa centrale, sia dai suoi alleati. In prima fila, gli Stati Uniti di Obama che pure avevano introdotto sanzioni economiche alla Russia, ma la cui portata è stata sicuramente affievolita dato il sostanziale mantenimento dei rapporti commerciali Ue-Russia.

Cosa è cambiato dal 2014 al 2022?

In che modo è cambiato l’atteggiamento dei leader europei di fronte alla ben più grave e pericolosa invasione dell’Ucraina avvenuta a fine febbraio 2022?

Innanzitutto, viene da chiedersi se in questi otto anni si è lavorato per ridurre il grado di interdipendenza economica che ha impedito di intraprendere sanzioni più significative negli anni scorsi.

Secondo, Nadia Gharbi, economista della Pictet Wealth Management, benché l’Ue sia rimasto un importante investitore in Russia, ha ridotto della metà i suoi investimenti diretti dopo l’annessione della Crimea. Inoltre, Germania, Francia ed Italia hanno tutte diminuito le loro esportazioni in Russia. 

Gli sforzi intrapresi, hanno permesso di adottare oggi sanzioni economiche molto più pesanti di quelle imposte allora. A seguito dell’aggressione contro l’Ucraina, l’Ue ha infatti, tra diverse misure, vietato di effettuare operazioni con la banca centrale russa ed escluso sette banche dal sistema SWIFT. Bruxelles ha anche proibito la tenuta di conti, superiori a determinati importi, di cittadini russi in banche europee, oltre ad aver congelato i beni ad un totale di 862 persone tra imprenditori, diplomatici ed alti funzionari – ivi compresi Putin e il suo ministro degli esteri. Tra le misure commerciali più importanti sono state vietati nuovi investimenti nel settore dell’energia della Russia, l’esportazione di beni e tecnologie nei settori aeronautico, spaziale e marittimo e la riduzione di esportazione di ferro, acciaio e beni di lusso.

Queste misure non sarebbero state pensabili otto anni fa proprio per il rischio di danneggiare ancora di più le economie domestiche europee che erano molto più interconnesse con quella russa.

La dipendenza dell’Ue verso le materie prime russe

Nonostante lo sforzo intrapreso, ci sono settori laddove l’Ue è invece rimasta fortemente dipendente. Il settore energetico è uno di questi, dove, nel 2019, l’Ue aveva un tasso di dipendenza dalle importazioni pari al 61%.

A inizio 2022, l’Unione Europea riceveva il 40% del suo rifornimento di gas naturale ed il 25% delle sue importazioni di petrolio dalla Russia. Certi paesi sono più dipendenti di altri in Europa. Per quanto riguarda il petrolio, Slovacchia, Polonia, Finlandia e Lituania importano più del 65% del loro consumo dalla Russia. La Germania poco meno della metà, molto di più di Italia e Francia (12-13%). L’Italia però è al primo posto per consumo assoluto di gas russo, importandone il 24% delle esportazioni totali russe. Nonostante ciò, sebbene il gas russo copra “solo” la metà del suo fabbisogno (come in Germania), in certi paesi arriva a ricoprirne il 90% come nel caso di Finlandia, Lituania e Serbia.

La Russia è anche un importantissimo esportatore di materie prime. Rifornisce il  40% della domanda europea di palladio, necessario per la costruzione di macchine a basso consumo energetico. È anche uno dei maggiori esportatori di titanio, materiale cruciale nel settore aerospaziale, laddove l’europea Airbus è in diretta competizione con l’americana Boeing.

Riuscirà l’Ue a rendersi più indipendente dalla Russia ?

Per quanto l’Ue abbia voluto diminuire i legami commerciali con la Russia, la sua dipendenza dai carboni fossili non le ha permesso di rendersi più autonoma nei confronti di Mosca. Infatti, nonostante la Commissione Europea abbia intrapreso alcuni programmi per staccarsi dalla spina elettrica Russa, la fattibilità di indipendenza energetica nel medio e lungo termine resta poco credibile.

Ci sono anche investimenti infrastrutturali che non possono essere smantellati dall’oggi al domani. Basti pensare al gasdotto Nord Stream 2, che è comunque stato costruito e che ora aspetta solo il via libera dal regolatore tedesco. Nonostante esso abbia sospeso l’attivazione del progetto, il prezzo da pagare, oltre al costo della costruzione, ammonterebbe fino a 40 milioni di euro in risarcimenti.

L’alternativa di fronte alla crisi in Ucraina, per ora, è quella per l’Ue di continuare a sanzionare i settori altri rispetto a quello energetico e lasciare aperto il canale della diplomazia. 

Dallo scoppio della guerra in Ucraina, uno per uno, il presidente francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz, il premier italiano Draghi, hanno intavolato negoziati con Putin per capire le sue intenzioni e cercare di farlo desistere. Il problema è che per ora il presidente russo ha il coltello dalla parte del manico. Al momento la Russia è riuscita a rendersi meno dipendente dal mondo globalizzato che l’Ue dall’energia russa. Nel più lungo periodo però le cose potrebbero cambiare. Fino a quando la popolazione russa, oligarchi compresi, sopporterà l’isolamento dal mondo globalizzato e le pesanti sanzioni ad personam? 

Photo credits : Jana Leu  (Unspalsh)

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