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Sud America: un secolo di dollarizzazione

Tempo di lettura stimato: 4 min.

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Articolo pubblicato su Business Insider

Una soluzione obbligata. Così potrebbe essere letto il processo di dollarizzazione nei Paesi del Sud America, avvenuto in gran parte negli anni ‘90 e 2000. Inizialmente accolta per controllare un’inflazione troppo elevata, nel corso degli anni gli effetti e le implicazioni di questa scelta sono stati diversi.

In cosa consiste?

La dollarizzazione consiste nell’adottare il dollaro come moneta ufficiale, rinunciando così alla propria valuta ed implicitamente alla sovranità monetaria, sottostando alle decisioni della Federal Reserve. Questo processo negli anni ha coinvolto principalmente i Paesi latino-americani, i quali hanno visto questa scelta come una possibile soluzione a problemi che da sempre li contraddistingue, ovvero un’inflazione galoppante e livelli alti di debito pubblico. Questi due importanti problemi, divenuti ancora più evidenti dopo il crollo del mercato borsistico brasiliano negli anni ‘80, e la crisi poi del Mercosur, hanno significato forte instabilità e di conseguenza una fuga di capitali stranieri, dubbiosi sulla solvibilità di colossi come Argentina e Brasile. La prospettiva di avere un’unione sulla falsariga di quella che proprio in quegli anni andava a formarsi, ovvero l’Unione Europea, era nella ambizioni dei leader sudamericani, ma le forti rivalità commerciali, con tariffe doganali imposte dall’Argentina al Brasile, hanno impedito il compimento di una visione unitaria da sempre sognata dai padri dell’indipendenza sudamericana.  

In questo contesto di instabilità economica e finanziaria, gli USA, da sempre molto influenti in America Latina per motivi commerciali e politici, affermano la propria leadership attraverso la politica monetaria. I tre casi emblematici sono: Ecuador, Argentina e Panamà.

In principio: il Panamà

Già nel 1904 Panamà aveva preso parte al fenomeno della dollarizzazione. L’unica entrata per il Paese era il traffico commerciale per l’omonimo canale tra Oceano Atlantico e Pacifico, che, contemporaneamente all’adozione del dollaro come valuta nazionale fu dato anch’esso in concessione agli Usa. Da quel momento il piccolo Stato del centro-america è stato considerato come esemplificazione di un modello macroeconomico in grado di dare stabilità all’economia e porre fine all’inflazione. 

Ecuador: fra Covid-19 e crisi economica 

Lo scorso 9 luglio in America Latina e nei Caraibi sono stati superati i 3 milioni di casi di Covid-19 dall’inizio della pandemia. È una delle zone più colpite dal contagio e in televisione negli scorsi mesi non sono mancate immagini macabre di corpi abbandonati in strada e fosse comuni per i cadaveri che non potevano avere una sepoltura. In quei mesi, però, Stati come l’Ecuador stavano affrontando anche molte altre difficoltà.

In primis, il governo del presidente ecuadoregno Lenín Moreno, eletto nel 2017,  era già fortemente compromesso dal punto di vista economico e politico ancor prima dell’arrivo del virus. Il presidente, infatti, lo scorso ottobre aveva dichiarato perfino lo stato di emergenza per fronteggiare le proteste contro la nuova riforma economica, che prevedeva tra l’altro l’eliminazione dei sussidi che mantenevano bassi i prezzi dei carburanti, pur di far fronte alla drammatica crisi economica in atto. Bisogna considerare, però, che dal 2000 l’Ecuador aveva anche abbandonato la propria moneta nazionale, il sucre, a favore del dollaro. Nel 1999 non era riuscito ad onorare il debito estero che ammontava a oltre 15 miliardi di dollari. Il 10 gennaio 2000, allora, il presidente Mahuad annunciò la dollarizzazione dell’economia ecuadoriana per far fronte all’iperinflazione che aveva raggiunto il 60%. Ai tempi intervenne invano anche il Fondo monetario internazionale (Fmi) e a quel punto si decise di adottare drasticamente questo tipo di approccio per fermare l’inflazione per prendere in prestito denaro a tassi di interesse più bassi. Questa manovra, da un lato, ha portato un periodo di stabilità, ma dall’altro ha significato anche che, in caso di recessione, l’Ecuador non può rispondere stampando moneta e dal momento che il Fondo monetario internazionale ha previsto per il 2020 un crollo del Pil del 6.3%, il governo di Quito è alla ricerca di liquidità. 

Un pericolo scampato… ma solo in parte 

Negli anni ’80 l’Argentina era alla ricerca di un modo per riprendersi dalla crisi rivitalizzando le casse del Paese. In questo scenario si riuscì, allora, ad imporre un modello iperliberista influenzato dalla scuola di pensiero di Chicago. Domingo Cavallo, allora Ministro per l’economia, propose un modello di dollarizzazione “parziale” basato sul cambio fisso peso-dollaro. Nel 1991, infatti, rinunciò alla propria politica economica adottando la “Legge della convertibilità” che non portò alla sostituzione completa del peso con il dollaro. Grazie a questo intervento, insieme alla libera circolazione della valuta statunitense, in Argentina avvenne un vero e proprio miracolo economico. Questa riforma, però, non fu seguita da riforme fiscali e strutturali e da un controllo rigido della spesa pubblica e ad oggi l’economia argentina è di nuovo vicina al declino. 

 

dollarizzazione in Sud America
Quali sono gli effetti sull’economia di un Paese?

Attualmente, vista la rivalità commerciale fra Cina e Usa, si è tornati a parlare di dollarizzazione. Il Segretario statunitense Pompeo ha annunciato l’intenzione di intraprendere una missione di dollarizzazione come arma contro la Cina nell’ambito della guerra valutaria in atto già da qualche tempo. 

Alla luce degli scenari presentati, la dollarizzazione può sicuramente sembrare uno strumento efficace per porre fine ad una crisi da iperinflazione. Risulta, però, in alcuni casi efficace su un orizzonte temporale di breve periodo. Tale modello, infatti, necessita di essere accompagnato non solo da riforme fiscali, strutturali e sistemi di monitoraggio del debito pubblico ma anche da un progetto di integrazione regionale per raggiungere un grado di stabilità sostenibile anche sul lungo periodo. 

 

Testo a cura di Riccardo Romano Boiani e Sveva Manfredi

 

Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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