Articolo pubblicato su Business Insider
Con l’arrivo del Coronavirus, il termine smart-working è entrato a far parte della nostra quotidianità. Secondo il report di Istat ad hoc, il lavoro agile a fine maggio era stato “introdotto o esteso dal 18,3% delle microimprese” fino ad arrivare al 90% per le grandi imprese. E potrebbe diventare una realtà stabile anche nell’era post-Covid: da un’indagine condotta da Demia, l’84% dei top manager prevede un inserimento permanente dello smart-working alla fine di questa crisi. A guadagnarci sarebbero sia il lavoratore, risparmiando sugli spostamenti, che l’azienda, con una maggiore produttività.
L’incentivazione del lavoro agile sta avendo effetti tangibili sulle nostre città e potrebbe in futuro modificarne l’assetto urbanistico. Con lo smart-working, non è più necessario far conciliare il luogo di residenza con quello lavorativo. Ciò si sta traducendo in un parziale allontanamento delle persone dalle metropoli, in favore delle periferie e delle zone rurali. In più, molti di quelli che si erano in precedenza trasferiti al Nord in cerca di maggiori opportunità lavorative hanno ora la possibilità di tornare nelle città di origine, mantenendo al contempo il proprio impiego.
Le nuove tendenze del mercato immobiliare
Secondo uno studio di Casa.it, “il lockdown ha generato una nuova domanda di case: oltre il 10% degli intervistati afferma che l’esigenza di cambiare casa è stata scatenata dal lockdown”. Passando più di due mesi chiusi tra le mura del proprio appartamento, gli italiani hanno rivalutato l’importanza del giardino privato (essenziale per il 58% degli intervistati) e degli spazi più grandi. Il 62% prenderebbe infatti in considerazione, a parità di costo, una casa più spaziosa in periferia.
Così, il mercato immobiliare sta assistendo ad una nuova tendenza. Mentre prima del lockdown il 34,1% delle ricerche di abitazioni nel nostro paese riguardavano immobili situati nei capoluoghi, da quando siamo entrati in questa situazione emergenziale la percentuale è scesa al 30,9%.
Contemporaneamente, le richieste per le case in campagna in Italia hanno visto un aumento del 29% rispetto al periodo pre-Covid. Il fenomeno, secondo lo studio di Idealista, si starebbe verificando in oltre l’80% dei capoluoghi italiani. Il picco è stato raggiunto a Viterbo, con la domanda per abitazioni nelle periferie verdi incrementata del 123%. Seguono il trend opposto, un aumento di ricerche per le abitazioni in città, solo 10 dei 106 grandi centri abitati italiani presi in considerazione nello studio.
Secondo Idealista, “possiamo interpretare questo calo diffuso delle ricerche in città rispetto alla provincia come il segnale di un trend che sta per iniziare. Nei prossimi mesi questa tendenza potrebbe consolidarsi e aumentare in virtù del fatto che molte aziende aderiranno in massa alla modalità smart-working come condizione permanente. I dati mostrano che durante la quarantena, molti italiani hanno capito che vivono in una casa che non gli piace e che preferirebbero vivere in aree lontane dai grandi centri urbani in cambio di case indipendenti, più spaziose, con giardini e terrazze”.
Il fenomeno del “south working”
La diffusione del lavoro agile sta impattando sullo spostamento delle persone in Italia anche attraverso il fenomeno del “south working”. Dall’inizio della quarantena, la nostra nazione ha visto molti cittadini con sede al Nord tornare dalle loro famiglie nel Meridione e continuare a lavorare a distanza. Quello che sembrava inizialmente un fenomeno legato esclusivamente al lockdown sta invece persistendo dopo l’estate, con l’obiettivo di sfruttare le opportunità lavorative del Nord senza dover abbandonare la propria città.
Il termine “south working” è stato coniato da un team di giovani di Palermo, che, attraverso il progetto “Lavorare al Sud”, stanno studiando i benefici del fenomeno. L’associazione si pone come obiettivo quello di stimolare l’economia del Sud, senza dover rinunciare al proprio lavoro. Per non perdere la socialità che si va a formare negli uffici fisici, il gruppo sta inoltre costruendo una mappa interattiva degli spazi per il lavoro agile in giro per l’Italia, come coworking e biblioteche.
Le città dell’era post-Covid
Con il ritorno di molti nelle proprie città natali sia per la possibilità di lavorare che di seguire i corsi universitari a distanza, le città del Nord si stanno svuotando. Metropoli come Milano, che negli ultimi 20 anni aveva guadagnato circa 100mila residenti da altre regioni, stanno vivendo un momento di incertezza e dovranno forse reinventarsi.
Il teorico americano di Urbanistica Richard Florida prevede che le metropoli subiranno un forte processo di riorganizzazione territoriale, ma sopravviveranno alla crisi mondiale. A supporto della tesi, Florida fa notare come le città nella storia siano sempre state l’epicentro delle pandemie, ma che si siano poi ripopolate alla fine di ogni ondata per una nuova domanda di lavoratori in centro.
Anche secondo l’esperto di economia urbana Enrico Moretti lo scenario futuro più plausibile vede una ripopolazione delle città a lungo termine. Come ha dichiarato Moretti durante il Festival dell’Economia, infatti, “le imprese richiederanno [ai lavoratori] di tornare in ufficio permettendo qualche giorno di telelavoro”, al fine di stimolare la creatività con incontri faccia a faccia. La diffusione dello smart-working porterebbe ad una diminuzione del traffico e della congestione urbana, con l’effetto di maggiore vivibilità delle città.
Un secondo scenario, secondo Moretti più improbabile, prevede cambiamenti più radicali. Se la diffusione dello smart-working rimanesse alta anche a lungo termine, in quanto vantaggioso sia per i lavoratori che per le imprese, “una parte rilevante della forza-lavoro potrebbe spostarsi” dalle metropoli a città più piccole o aree rurali. In questo modo i lavoratori manterrebbero lo stesso stipendio ma vedrebbero un gran risparmio sul costo della vita. Le città vivrebbero un momento di crisi sia per un cambiamento di tendenza nel mercato immobiliare che per una perdita dell’indotto generato dagli impiegati nelle città (con impatti soprattutto nei negozi e nella ristorazione). Le periferie e le zone rurali, negli ultimi anni sempre più abbandonate, attraverserebbero invece un processo di riabilitazione e rivalutazione.
In tutti e due i casi, quindi, le città come le intendiamo noi oggi saranno ripensate. Forse sarà l’occasione giusta per riequilibrare il rapporto tra le zone urbane e quelle rurali. Lo spopolamento delle zone più periferiche potrebbe invertirsi, abbassando gli affitti di metropoli come Milano. Potremmo aspettarci, quindi, città meno congestionate e un nuovo rinascimento per la provincia italiana.