L’emergenza sanitaria nel panorama attuale
Coronavirus ha completamente catalizzato su di sé l’attenzione mediatica globale: tutto quanto ad esso riconducibile occupa diverse pagine nei principali quotidiani nazionali, è un tema in evidenza in qualsiasi testata online, non manca nei titoli di ogni edizione di telegiornale. Se ci attenessimo unicamente al quadro delineato attualmente dai media d’informazione, non avremmo dubbi che la minaccia mondiale sia una sola, ovvero SARS-CoV-2.
Pochi sanno, però, che nel mondo sono in corso altre crisi sanitarie, delle quali, per l’appunto, spesso non si ha nemmeno notizia. Il bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sulle emergenze sanitarie registrate per anno, in febbraio e gennaio 2020 riporta: Sindrome Respiratoria Medio-Orientale in Arabia Saudita, Febbre Dengue in Cile, Febbre Gialla in Uganda, Febbre di Lassa in Nigeria, Ebola in Repubblica Democratica del Congo; poi, certamente, anche Coronavirus in diffusione dalla Cina.
Con condizioni igienico-sanitarie indubbiamente più compromesse, con strutture e presidi medici in numero insufficiente, con risorse economiche, tecnologiche e umane senz’altro più scarse – in definitiva, dunque, con preparazione e disponibilità di mezzi fortemente ridotti nel Terzo Mondo – la minima attenzione che queste situazioni ricevono da parte della comunità internazionale è ai limiti del paradossale.
Il Medio-Oriente e la MERS
Parlare della situazione sanitaria medio orientale permette, in prima battuta, di fare chiarezza sull’imprecisione del grande pubblico nel discutere di Coronavirus. Anzitutto, infatti, i Coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus, che devono il nome alla forma a corona delle punte delle proteine superficiali. I coronavirus sono comuni in molte specie animali e, in alcuni casi, possono causare zoonosi, cioè trasmissione virale tra animali ed esseri umani (fonte Istituto Superiore di Sanità). Fatta questa premessa, l’attuale “Coronavirus cinese” rigorosamente è SARS-CoV-2; sempre stando ai dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, questo nuovo coronavirus condivide al 79% la sequenza genetica del SARS-CoV responsabile dell’epidemia di SARS del 2003 e al 50% quella del MERS-CoV in questione.
Scoperto per la prima volta in Arabia Saudita nell’aprile 2012, da allora i casi di Sindrome Respiratoria Medio-Orientale (MERS, Middle East Respiratory Syndrome) ammontano a 2519, con 866 decessi (dati fino al 31 gennaio 2020 dall’Oms, Organizzazione Mondiale della Sanità). Ricerche scientifiche suggeriscono che la zoonosi del MERS-CoV origini dai dromedari, il che spiega la maggior incidenza del virus nei Paesi Arabi del Medio-Oriente. Se è vero che dal 2012 il virus ha interessato 27 diversi Paesi tra Medio-Oriente, Europa e Africa settentrionale, non si può parlare di veri e propri focolai al di fuori dell’area medio-orientale: i casi registrati nelle altre zone, infatti, sono riconducibili alla mobilità dei soggetti infetti. Un dato è scioccante: quasi l’80% dei casi riportati riguardano solo l’Arabia Saudita; seguono per incidenza Emirati Arabi Uniti, Giordania, Oman, Qatar, Kuwait, Iran e Libano. L’infezione da MERS-CoV risulta difficile da diagnosticare perché lo spettro clinico può ampiamente variare da situazioni asintomatiche, a casi di modesta insufficienza respiratoria, a situazioni polmonari più compromesse, fino alla morte. Sebbene si rilevi un tasso di mortalità medio stimato pari al 35%, ad oggi la ricerca scientifica non ha ancora sviluppato un vaccino in grado di fermare il contagio (fonte Oms). Di certo, l’irrisolta questione del Medio-Oriente e le precarie condizioni in cui soprattutto le aree più disagiate versano rappresentano un ostacolo non di poco conto nel diffondere pratiche di prevenzione e cura adeguate.
Febbri emorragiche tra Cile, Uganda e Nigeria
Febbre Dengue, Febbre Gialla e Febbre di Lassa fanno parte del gruppo delle febbri emorragiche virali (Fev), ovvero patologie virali con manifestazione improvvisa, acuta ed emorragica. Si tratta anche in questi casi di agenti patogeni zoonotici: per le Febbri Dengue e Gialla il vettore principale è la zanzara Aedes aegypti, mentre per la Febbre di Lassa sono i roditori Mastomys. Seppur la maggior parte dei contagiati non soffra delle forme più critiche che queste febbri possono comportare, la diffusione di queste patologie virali è impressionante.
Per la Dengue si stima che, ad oggi, la patologia sia endemica in più di 100 Paesi tra Africa, America, Sud-est asiatico e l’area del Pacifico; i casi registrati globalmente raggiungono i 3,34 milioni nel 2016 da 1,2 milioni nel 2008. Dopo una diminuzione dei casi registrati tra 2017 e 2018, nel 2019 il numero torna a salire. A preoccupare l’Organizzazione Mondiale della Sanità non è solo la nuova ondata che riguarda soprattutto i Paesi dell’Est asiatico e dell’America Latina, ma anche il potenziale rischio di contagio che incombe su nuove aree, quali l’Europa: stando all’Oms, metà della popolazione mondiale è ora a rischio.
Per quanto riguarda la Febbre di Lassa, questa è endemica accertata in Benin, Ghana, Guinea, Liberia, Mali, Sierra Leone e Nigeria. Scioccante è che in linea teorica il tasso di letalità complessivo dovrebbe essere l’1%; tuttavia, sale al 15-20% se le infezioni non vengono trattate (fonte Istituto Superiore di Sanità). La situazione nigeriana è esattamente quest’ultima: dall’1 gennaio al 9 febbraio 2020, i casi registrati sono 472, mortali 70 (tasso di fatalità del 14,8%), sparsi tra 26 dei 36 Stati in cui la Nigeria è divisa.
Le ultime notizie riguardo lo sviluppo di epidemie nel mondo parlano anche di Febbre Gialla. In particolar modo, è l’Uganda a comunicare i primi preoccupanti casi: sebbene tra novembre 2019 e febbraio 2020 le infezioni accertate siano solo 8, l’attenzione da parte dell’Oms resta alta, soprattutto visto il tasso di mortalità attestato del 50% e il rischio contagio delle zone confinanti del Sud Sudan e della Repubblica Democratica del Congo (dati Oms al 21 febbraio 2020). A differenza delle altre febbri emorragiche, esiste un vaccino efficace per la Febbre Gialla; eppure l’Oms valuta che l’immunità complessiva della popolazione non superi il 4,2%.
L’Africa e l’Ebola dimenticata
L’esempio più eclatante di un’informazione parziale è rappresentato dagli sviluppi di Ebola in Africa: è almeno tre anni che non se ne sente più parlare. Che sia stato debellato definitivamente? Tutt’altro.
Intanto, tra maggio e giugno 2017 e tra maggio, giugno e luglio 2018, la Repubblica Democratica del Congo ha subito due altre ondate di contagio da Ebolavirus, principalmente nella regione nord-orientale Equateur.
Va detto che, grazie al rapido intervento, questi due potenziali focolai sono stati contenuti: il bilancio degli infettati conta in totale 62 contagi, di cui 37 fatali. Con l’annuncio dell’Oms il 24 luglio 2018 a dichiarare la fine della nona epidemia di Ebola in Repubblica Democratica del Congo, sembra che a queste zone sia concessa una tregua dal virus che dopo decine e decine di anni resta ufficialmente incurabile. Invece, solo l’1 agosto 2018 il Paese si trova a dover fronteggiare un altro contagio, stavolta nel nord-est, tra le regioni di North Kivu e Ituri.
A parte la pronuncia Oms il 17 luglio 2019 sugli sviluppi in Congo come “emergenza internazionale per la salute pubblica” è difficile trovare ulteriori notizie pubblicate dalle principali agenzie di stampa al riguardo. Ad oggi ancora con il virus ancora in azione, è inspiegabile come 2264 morti (ai dati Oms del 25 febbraio 2020), su un totale di 3444 casi (3310 confermati e 134 probabili), non facciano notizia.
Sicuramente, si ricorderà la grande attenzione mediatica che fu concessa alla grande epidemia registrata tra il 2014 e il 2016 in Africa occidentale. Tutto inizia nel marzo 2014, quando il virus esplode in Guinea; si diffonde poi nelle vicine Liberia e Sierra Leone e, seppur in misura minore, il contagio tocca anche Mali, Senegal e Nigeria. L’epidemia ad opera di Zaire ebolavirus si arresta dopo aver fatto registrare 28 616 casi, di cui 11 310 fatali, in poco più di due anni: di questi, solo 7 sono i contagi non africani (4 negli Stati Uniti, 1 in Italia, 1 in Spagna e 1 in Gran Bretagna) e 1 solo mortale negli USA. Nel giugno 2016 l’Oms può pronunciarsi definitivamente sulla fine del più esteso e letale contagio da Ebola mai verificatosi.
Il punto, meno noto, è che dalla prima scoperta di Ebola nel 1976, le quattro forme del virus aggressive per l’uomo – Zaire, Sudan, Täi Forest e Bundibugyo – costituiscono una minaccia costante per i Paesi dell’Africa centrale, con tassi di mortalità che oscillano tra il 25% e il 90%. Se l’epidemia 2014-2016 è cristallizzata nella memoria collettiva (forse) per violenza e incidenza, da quel giugno 2016, l’attenzione mediatica è andata scemando.
Anna Gamba