I moti di protesta in Russia, tema caldo degli ultimi mesi, non sono certo un fenomeno nuovo nel Paese, sebbene molti di questi siano ormai caduti nel dimenticatoio. Senza dubbio, ad oggi è Alexey Navalny il nuovo volto dell’opposizione in Russia, un merito che ha acquisito velocemente grazie al suo linguaggio “di strada”, che lo avvicina alle generazioni più giovani, e all’incredibile successo riscontrato sul web, dove ha registrato milioni di visualizzazioni nei suoi numerosi video di denuncia al governo e a Vladimir Putin.
Il personaggio di Navalny è ormai noto anche all’estero da quando è miracolosamente sopravvissuto a un avvelenamento da Novichok, evento largamente condannato dalla comunità internazionale e che ha portato a puntare il dito contro il Cremlino. Da allora, le testate giornalistiche hanno seguito con attenzione l’espandersi delle proteste in Russia, infiammatesi ulteriormente dopo il ritorno di Navalny in patria e la sua immediata incarcerazione.
Questo fervore tra le strade, (non solo di Mosca, ma anche di svariate città del centro-est della federazione), e il grandissimo sostegno dimostrato da opinione pubblica e società civile a Navalny, lasciano presupporre che la Russia sia giunta a un punto di svolta, con il sistema di Putin che pare vacillare in vista delle prossime elezioni parlamentari.
In questo contesto, appare fondamentale confrontare l’operato degli oppositori del passato che, per quanto d’impatto, hanno fallito nel loro intento di creare un cambiamento duraturo, spesso a causa di una scarsa coordinazione e di divergenze circa le priorità degli obiettivi da perseguire. Eppure, gli errori del passato potrebbero essere una lezione importante per i dissidenti di oggi.
La “Strategy 31” (2009-2010)
“I cittadini della Federazione Russa hanno il diritto di riunirsi pacificamente, senza armi, per tenere riunioni, comizi e manifestazioni, processioni e picchetti”. Le parole dell’articolo 31 della Costituzione della Federazione russa sono semplici e cristalline, ma evidentemente sufficienti a garantire alla popolazione la possibilità di esprimere dissenso in forme non violente. La continua inadempienza da parte delle autorità russe nella protezione di questo diritto ha alla lunga stimolato una serie di proteste spontanee e non organizzate nell’estate del 2009.
All’epoca, il malcontento generale causato da un sempre maggiore controllo sui partiti di opposizione da parte del Cremlino (che al tempo temeva si potessero organizzare svariate dimostrazioni contro le sue misure anti crisi finanziaria), si andò a sommare alla delusione delle mancate riforme auspicate con l’ascesa di Medvedev nel 2008. Il risultato fu l’istituzione, nel luglio del 2009, di una forma di protesta ricorrente nota come Strategy 31, che si sarebbe poi riunita ogni 31 del mese (quando possibile) per ricordare ai cittadini russi l’esistenza del famoso articolo 31.
Eduard Limonov, l’enfant terrible
Per quanto spontanea, la Strategy 31 fu possibile perché diretta da volti importanti di attivisti anti-regime, che riuscirono a richiamare sempre più persone nelle strade. L’istigatore di tale movimento fu un personaggio del tutto sui generis: Eduard Limonov, l’enfant terrible dell’opposizione. Fondatore del partito Drugaia Rossiia (L’Altra Russia), ideò Strategy 31 con lo scopo di pianificare più marce contemporaneamente per la città di Mosca, così da impedire alla polizia di reprimere un’unica grande manifestazione.
Il tempismo di Limonov fu perfetto. Approfittando della reazione popolare alle restrizioni del Cremlino sulla vita politica, riuscì a riunire tutte le proteste in unica e costante tradizione.
La strategia di Limonov era sicuramente quella di istigare apertamente le autorità, seguendo le orme di Andrei Sakharov. Limonov era pronto a pagare a caro prezzo la libertà di protestare ma, allo stesso tempo, non erano pochi a pensarla diversamente e a giudicare in malo modo i suoi metodi e vedute estreme. È per questo motivo che dovette presto trovare degli alleati che lo sostenessero in questa lotta.
Lyudmila Alexeeva, la “fanciulla di neve”
Era quasi scontato che Limonov sarebbe andato a sollecitare la storica dissidente dell’Unione Sovietica Lyudmila Alexeeva, che sostenne a gran voce Strategy 31 fin dai primi albori, insieme al suo gruppo per la lotta dei diritti umani, il Moscow Helsinki Group. Alexeeva rappresentava un altro volto forte dell’opposizione russa, che non aveva mancato di sedersi a più riprese sul banco interrogatori del KGB dato il suo ostinato attivismo in difesa dei diritti umani, ripetutamente violati dal regime. Ad esempio, pur di manifestare a Capodanno nonostante il divieto, si travestì da Snegúrochka (La fanciulla di neve), sostenendo che, se non poteva marciare, allora avrebbe sfilato per le strade.
A differenza di Limonov, la posizione di Alexeeva era più moderata: aveva una concezione deterministica secondo cui, in realtà, prima o poi la società civile russa si sarebbe sviluppata con il tempo, e non attraverso una rivoluzione.
In un’intervista rilasciata al DW, Alexeeva aveva ribadito che i russi sono disinteressati dalla politica perché hanno poche opportunità di parteciparvi. Per questo motivo non è importante osservare le azioni del Cremlino, ma seguire come risponde la società civile. Solo dove le società civili sono forti il sistema ha l’obbligo di rispettare le opinioni dei cittadini.
Per questo motivo, Alexxeva credeva fosse meglio applicare un metodo più conciliante durante le manifestazioni di Strategy 31. Il suo linguaggio semplice ma d’impatto richiamava, in qualche modo, i discorsi incisivi di Navalny. Oggi, nel mondo, pochi parlano delle sue azioni e soprattutto delle proteste di Strategy 31, ma questo non toglie che qualcuno possa prenderne il posto.
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Strategy 31: tattica efficace o una lezione da imparare?
Il messaggio delle proteste di allora era forte e chiaro, ma come ogni opposizione, i volti che le compongono ne determinano spesso il successo o il fallimento. Limonov e Alexeeva sono stati personaggi indiscutibilmente forti, ma perseguivano obiettivi diversi: il primo era convinto che le proteste fossero un preludio alla rivoluzione; al contrario, la seconda sosteneva una linea più pacifica che mediava con la polizia. Queste differenze hanno, inevitabilmente, portato alla fine di Strategy 31. Tuttavia, nello scenario attuale, il risultato potrebbe essere diverso.
Secondo The Atlantic, Navalny è, ad oggi, l’unico ad avere una strategia coerente contro Putin. In una nota mandata alla sua amica e giornalista, Yevgenia Albats, Navalny si dichiarava sereno, fiducioso sul futuro e sicuro di aver vissuto una vita onesta. Indissolubile come Alexeeva, e pronto a tutto come Limonov, Navalny non si è fatto intimorire da una nuova condanna e tuttora lotta contro la fame per affermare i suoi diritti. Inoltre, ha sicuramente un asso nella manica che i dissidenti di Strategy 31 non hanno sfruttato a pieno: il potere di internet.
Il suo tentato avvelenamento ha fatto scalpore e ha determinato un nuovo giro di sanzioni contro la federazione. Inoltre, il ritorno in patria lo ha fatto diventare il volto della resistenza alla tirannia, non solo in Russia, ma a livello globale. I continui tentativi di Putin di attribuire il motivo delle proteste al discontento causato dalla pandemia non intaccano la verità: lo “zar” sta perdendo consensi, anche a causa dell’operato nei confronti del suo più grande critico. Finché le gesta di Navalny risuoneranno in Russia e all’estero, e altri avvenimenti non ne oscureranno i progressi, la società civile russa avrà sicuramente più possibilità di progredire, come previsto dall’Alexeeva a suo tempo.
La partecipazione dei russi, a lungo andare, sarà determinante nello stabilire quale modello prevarrà: quello del cambiamento, auspicato dai seguaci di Navalny e in generale dalle opposizioni al regime, o quello della preservazione dello status quo, difeso dagli ancora molti sostenitori di Putin. Oggi, la svolta potrebbe venire dai più giovani, sempre più coinvolti nella politica del paese e sempre più insoddisfatti. Per quanto li riguarda, il tasso di approvazione è sceso al 46%, contro il 69% dell’anno precedente. La polarizzazione tra chi sostiene il Cremlino e chi lo disapprova è ormai evidente, solo il tempo ci rivelerà quale dei due avrà la meglio.