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Non solo Ilva: tutti i progetti di transizione ecologica in Ue 

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Di certo, nella storia recente dell’ex Ilva di Taranto, c’è solo l’ingresso dello Stato. 400 i milioni che hanno assicurato all’agenzia statale Invitalia un posto al fianco dei franco-indiani di Arcerol Mittal; altri 600 da mettere sul tavolo per la maggioranza entro il 2022. Il resto – retorica a parte – è avvolto in una nebulosa. C’è la volontà di trasformare il polo siderurgico nell’impianto green più grande d’Europa. E ci sono le incognite: soldi e tempo. Lo ha spiegato in un recente intervento televisivo il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani. “Le strade per la transizione non sono facili, ci vuole tempo e bisogna fare in fretta”, ha affermato, parola d’ordine al seguito: decarbonizzazione. Da attuare attraverso la trasformazione del più grande degli altiforni dal consumo a carbone a quello ad elettricità. Prima dell’auspicato passaggio – già vagheggiato dall’ex premier Giuseppe Conte – all’idrogeno. Ma cosa c’è nel mezzo?

Emissioni industria, Photo by Robin Sommer on Unsplash

I progetti per la transizione ecologica dell’ex Ilva

Le prospettive di transizione ecologica dell’ex Ilva passano anzitutto da un piano di investimenti. Un miliardo, grossomodo, la cifra che dovrebbe ricavarsi per Taranto con il Recovery Plan e il Just Transition Fund, fondo destinato a sostenere la decarbonizzazione dei siti in Ue in larga parte dipendenti da combustibili fossili. In Italia, in pole, c’è Taranto, dove la produzione dell’ex Ilva si fonda sul circuito cokeria-agglomerato- altoforno

In buona sostanza, la produzione dell’acciaio si basa su tre elementi: carbone, minerale di ferro e calcare. Il carbone fossile trattato ad alte temperature diviene carbon coke, più resistente, poi miscelato con il minerale di ferro e calcare in un impianto di agglomerazione che prepara la miscela da caricare negli altiforni. Qui, mediante un flusso di aria calda, si forma la ghisa, a sua volta portata nei convertitori dove un flusso di ossigeno la trasforma in acciaio. Il tutto con la liberazione di sottoprodotti inquinanti e cancerogeni, come la diossina. Soprattutto nei passaggi dalle cokerie agli altiforni. Per questo, già da tempo, l’opzione sul tavolo è quella del preridotto: un semilavorato che andrebbe caricato negli altiforni per ridurre il consumo di coke e, di conseguenza, l’inquinamento. Era questo il meccanismo già proposto dagli ex commissari Ilva Enrico Bondi ed Edo Ronchi nel lontano 2013, appena passato lo shock del disastro ambientale e l’apposizione dei sigilli agli stabilimenti. Otto anni dopo il nodo scorsoio della storia sembra restringersi nello stesso punto. 

Il piano di Invitalia, oltre all’ammodernamento dell’altoforno 5, prevede infatti un ciclo produttivo ibrido, con la realizzazione di un forno elettrico e tre impianti di preridotto, per una riduzione dell’inquinamento sul territorio e una produzione crescente che miri alle 8 tonnellate entro il 2025. Questi i primi passi per la transizione ecologica dell’ex Ilva, per cui sono al vaglio anche altre alternative. Nuove soluzioni potrebbero arrivare dall’intesa tra Danieli e le partecipate pubbliche Leonardo e Saipem. Obiettivo è la decarbonizzaizone degli stabilimenti siderurgici italiani, per una produzione sostenibile e un abbattimento delle emissioni di Co2. Come? Con la sostituzione del processo produttivo basato sugli altiforni con un nuovo processo che utilizzerà forni ad alimentazione elettrica ibrida integrati a impianti di riduzione diretta del minerale di ferro, spiegano le tre aziende. Allo studio ci sarebbe dunque l’utilizzo di una miscela di metano e idrogeno per ottenere un acciaio green con emissioni limitate. Ipotesi al vaglio anche in altri stabilimenti europei, dove l’idrogeno appare la strada da percorrere per un giusto compromesso tra produzione e salvaguardia di ambiente e territorio, come da impegni convenzionali assunti in sede europea e internazionale. 

La transizione ecologica dell’ex-Ilva passa dall’idrogeno? Gli esperimenti in Ue

Il futuro, dunque, dice idrogeno. Lo ha ribadito lo stesso Cingolani: “La transizione si realizza con l’idrogeno. A tutti piace l’idrogeno verde che si ricava con tecnologie rinnovabili che non producono anidride carbonica, ma ci vuole tempo”. Tempo che l’Europa ha provveduto a scandire, in linea con l’Accordo di Parigi: il 2050 è il termine per il raggiungimento della neutralità climatica; il 2030 quello intermedio per ridurre le emissioni serra del 55%. Il che significa accelerare anche nei processi di decarbonizzazione. Ci sta provando in Germania la Thyssenkrupp, con un piano di conversione degli stabilimenti siderurgici a Duisburg. L’azienda guarda alla possibilità di usare l’idrogeno come agente riducente negli altiforni tradizionali, sostituendo il coke e diminuendo le emissioni alteranti. L’obiettivo è di sostituire tutti gli altiforni entro il 2050. 

Lavoro in fabbrica, Photo by Ant Rozetsky on Unsplash

Un orizzonte esplorato anche in Svezia, dove la sostituzione del carbone con l’idrogeno è alla base del progetto pilota di Hybrit, lanciato nel 2018 e vero apripista delle sperimentazioni europee nel campo della siderurgia sostenibile. L’esperimento di produzione di acciaio green nella città di Lulea ha dimensioni contenute e dovrebbe terminare nel 2024. Nel frattempo, però, è già pronto il passo successivo: un’acciaieria a idrogeno per una produzione su scala industriale. Il progetto è della startup H2 Green e vale 2,5 miliardi di euro. Le date cerchiate in rosso sul calendario sono il 2024 – anno in cui si prevede l’entrata in funzione – e il 2030, quando dovrebbe raggiungersi la piena produzione. Intanto, in Austria la giapponese Mitsubishi Heavy Industries costruirà la più grande acciaieria a idrogeno al mondo, il cui test degli impianti è in programma per quest’anno. E in Italia, a Dalmine, nella bergamasca, si prevede una riconversione parziale dell’acciaieria, con l’installazione nel siderurgico di un elettrolizzatore per produrre idrogeno e ossigeno. 

Bergamo, la prima acciaieria green d’Italia?

È proprio Bergamo, in Italia, a fare da pioniere nella sperimentazione di tecnologie green per la produzione dell’acciaio. La sfida è lanciata da Tenaris, Edison e Snam con un accordo teso a convertire il siderurgico di Dalmine all’idrogeno. Parzialmente, al momento. Intanto, sarà installato un elettrolizzatore per produrre idrogeno e ossigeno da introdurre nei meccanismi di produzione al posto del gas naturale. Passa da qui la conversione degli stabilimenti siderurgici in Italia, divenuta oggi prospettiva concreta e sfida dirimente con cui le agende della politica devono fare i conti. Confrontandosi anche – sembra il caso di dirlo – con evergreen come i rischi sul versante lavorativo.

Non è ancora chiaro, infatti, quale sarà l’impatto della transizione ecologica a livello occupazionale. C’è da immaginare – come fa la Commissione europea – una riduzione di unità lavorative nei posti legati ai processi di produzione che si tenta di superare. Per questo sarà necessario definire un programma di welfare e di ricollocazione della manodopera interessata, salvo evitare che il costo della transizione lo paghino i lavoratori, con buona pace del superamento dell’alternativa salute-lavoro. È quello che hanno chiesto anche i sindacati. In primis la Cgil, che ha avanzato le proprie perplessità sul costo occupazionale della conversione, chiedendo al contempo un impegno serrato di politica e istituzioni. Rassicurazioni su questo fronte sono giunte dal premier Mario Draghi, che ha tenuto a precisare come, se fatta bene, la transizione non mieta ai lavoratori, ma generi occupazione. 

Dubbi a parte, sul fronte ambientale in Europa qualcosa si muove. E l’Italia, esempio ne è Dalmine, non pare esserne esclusa. E Taranto? “Ci vuole tempo’’, ha detto Cingolani. ‘’Dipende da quanto siamo bravi”. E quanto saranno bravi?

*immagine in evidenza: photo by Jacek Dylag on Unsplash

Pierfrancesco Albanesehttps://orizzontipolitici.it
Nato a Galatina (Le) nel 1998. Dalla prima caduta le testate fanno parte della mia vita: soprattutto quelle giornalistiche. Collaboratore di Leccenews24 e Piazzasalento, studio Giurisprudenza presso l'Unisalento.

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