In un mondo in cui gli equilibri si trasformano e le fazioni si riposizionano costantemente, l’Europa è costretta a iniziare a parlare il linguaggio delle grandi potenze per diventare a sua volta una potenza geopolitica in grado di formulare una strategia propria che le permetta di difendere i propri interessi e proteggere i propri valori sulla scena internazionale.
C’è da dire che l’idea di un’Europa potenza non è nuova: Von der Leyen nel 2019 ha definito la nuova Commissione, di cui fu nominata presidente, come “geopolitica” e lo scorso 3 maggio, il Presidente del Consiglio Mario Draghi, in un discorso di fronte al Parlamento Europeo a Strasburgo, ha difeso la necessità di un “federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso, dall’economia, all’energia, alla sicurezza” per creare “un’Europa più forte, coesa, sovrana, capace di prendere il futuro nelle proprie mani”.
Gli elementi della “potenza europea”
Innanzitutto, per valutare la grandezza politica dell’Europa, bisogna sottolineare che la potenza si misura su elementi di natura economica, industriale e militare. Ora, essa dispone del secondo PIL mondiale, possiede la seconda moneta più utilizzata a livello internazionale dopo il dollaro statunitense, ed è la seconda potenza commerciale per importazioni ed esportazioni. Per quel che riguarda il terzo elemento sopracitato, le spese militari degli Stati membri costituiscono in media l’1.5% del PIL europeo, un valore piuttosto ridotto e che richiama un’altra questione, quella dell’Europa della difesa, da sempre onnipresente nel dibattito sull’integrazione europea, ma che è ancora solo un’aspirazione.
La spiegazione è semplice: un’Europa sovrana, ad esempio in ambito militare, calpesterebbe secondo molti la sovranità dei singoli Stati membri. Inoltre, la necessità di aumentare le spese militari europee e dare vita ad una difesa comune si scontra con lo spirito fondatore dell’Unione, nata per stabilire la pace e lasciarsi alle spalle lo spettro delle guerre mondiali attraverso la promozione del multilateralismo.
Questo ha fatto in modo che l’Unione Europea tentasse di imporsi soprattutto attraverso il suo eccellente soft power : è una potenza diplomatica, che sa negoziare, esprimersi e difendere le proprie posizioni e i propri valori (liberali, democratici). Tuttavia, come ha affermato Federica Mogherini, Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza fino al 2019, l’idea che l’UE sia solamente una potenza normativa, una potenza “civile” o ancora, come afferma provocatoriamente il politico tedesco Steinmeier, “un erbivoro geopolitico in un mondo di carnivori geopolitici” non basta più in una realtà che mette l’unità e la pace comunitaria a dura prova. Le circostanze del mondo attuale quindi lo esigono: anche l’Europa deve parlare il “linguaggio della potenza” senza però nascondere la sua carta vincente, la “grammatica della cooperazione” (Clément Beaune, Segretario di Stato francese per gli affari europei).
Come dimostrano le tensioni geopolitiche nel vicinato orientale dell’Europa, e alla luce delle posizioni sempre più instabili degli attori internazionali, l’Unione è costretta, e lo sarà ancor più in futuro, a trovarsi in situazioni in cui deve agire in autonomia. Basti pensare alla completa inazione, ad agosto 2021, davanti alla ritirata unilaterale e inaspettata dell’esercito statunitense dal suolo afgano, una decisione a cui gli europei hanno dovuto allinearsi. La subordinazione agli Stati Uniti, che orientano spesso l’azione comunitaria e da cui l’Europa dipende in materia di difesa (l’articolo 42.7 del Trattato sull’Unione Europea stabilisce che la difesa europea è una competenza della NATO, che rappresenta per gli Stati membri “il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa”), costituisce una grande fragilità per l’UE.
Il rallentamento dell’Europa della difesa e più in generale dello sviluppo dell’hard power europeo rivela quindi paradossalmente il valore più ammirevole dell’Unione, la promozione della pace, e al contempo una delle sue più grandi debolezze, la mancanza di forti strumenti difensivi propri che le permettano di affermarsi come potenza a tutto tondo.
La potenza europea: reale ma incompleta. A che punto siamo?
L’Unione sta diventando più geopolitica e la sola cooperazione economica multilaterale è ormai senza dubbi superata. In particolare, da un punto di vista istituzionale, possiamo parlare di una “politica estera europea”, elaborata dal Consiglio e dalla Commissione. Inoltre, l’Unione Europea è dotata di testi strategici (come la Strategia globale per la politica estera e di sicurezza, 2016) pensati per far fronte a numerose minacce, quali il terrorismo, la proliferazione nucleare, la criminalità organizzata o ancora i conflitti regionali e più recentemente il cambiamento climatico e la salute.
In particolare, gli obiettivi europei si articolano intorno alle tensioni derivanti dall’importanza di difendere al contempo i propri interessi e i propri valori, e di trovare un equilibrio tra l’apertura verso le altre potenze e l’autonomia strategica, ovvero la capacità di agire in maniera indipendente nella gestione delle crisi.
Se ci fermiamo a questo punto dell’analisi, l’Unione Europea potrebbe dirsi una potenza simile a uno Stato. Tuttavia, bisogna tenere presente che dietro all’azione comunitaria, vi è sempre l’individualità degli Stati membri che, in materia di politica estera, votano all’unanimità. Le divergenze politiche degli Stati hanno spesso contribuito a creare una risposta comunitaria frammentata e poco uniforme, come lo dimostrano i risultati di varie azioni europee: i successi della politica migratoria sono stati piuttosto limitati in mancanza di una risposta coesa da parte degli Stati e in particolare a causa delle reticenze del gruppo di Visegrád. Anche in Medio Oriente, la guerra in Iraq del 2003 divise gli Stati membri e la crisi libica del 2011 fece lo stesso. In nessun caso l’UE ha saputo affermarsi come voce politica influente.
Al contrario, quando i paesi membri trovano un comune terreno d’intesa, la comunità riesce ad agire in modo molto efficace e ad imporsi agli altri attori della scena internazionale. Basti pensare al ruolo dell’E3 in Iran, che ha portato ad un accordo sul nucleare nel 2015; all’ottima influenza diplomatica ed economica che l’azione europea ha avuto nella regione dei Balcani grazie ad una buona cooperazione interna; o ancora alla posizione comune assunta dall’Unione nei confronti della Russia, soprattutto in seguito agli eventi recenti.
I prossimi passi per un’Europa geopolitica: la necessità di un cambiamento istituzionale
Se da un lato l’Europa ha già iniziato a parlare il linguaggio di una potenza politica, dall’altra i freni sono ancora numerosi. Come ha sostenuto il Presidente del Consiglio Mario Draghi, il primo passo per l’affermarsi di un’Europa geopolitica è il passaggio alla maggioranza qualificata in materia di politica estera, uno dei pochi ambiti in cui il voto si realizza ancora all’unanimità. Seppur rifletta il pilotaggio intergovernativo dell’UE, il diritto di veto di cui dispone ogni Stato membro rallenta l’azione dell’Unione e ne mette a repentaglio la coesione economica e sociale, calpestando i suoi progressi come potenza.
Abbandonare l’unanimità non vuol dire mettere a tacere la voce dei singoli Stati ma permettere all’Europa di essere portavoce di una strategia uniforme. Come ha affermato Isabelle Jégouzo, capo della rappresentazione della Commissione Europea in Francia, “quando l’Europa parla con un’unica voce, si fa sentire”, un’affermazione sostenuta dai fatti (la centralizzazione del mercato europeo ha reso l’Europa una delle più grandi potenze commerciali a livello mondiale).
Tutto questo è possibile solo mettendo da parte le esigenze necessariamente eterogenee degli Stati membri in nome di un filo condiviso, fatto degli stessi valori, delle stesse priorità e di un’identità comune, che vuole aggiungersi, e non sostituirsi, a quella nazionale al fine di evitare ogni deriva nazionalista che riporti l’Europa indietro nella storia. Dalla maggioranza qualificata all’Europa della difesa o ancora all’approfondimento, senza limitazioni di sovranità, delle relazioni geopolitiche con le altre regioni del mondo, le strade sono tante per rendere l’Europa autonoma e permetterle di essere protagonista sul palcoscenico internazionale delle grandi potenze.