Il rinvio
Proseguono le audizioni dei candidati commissari della nuova Commissione europea a seguito del mancato via libera sulla romena Rovana Plumb, l’ungherese László Trócsányi e la francese Sylvie Goulard. La bocciatura delle candidature da parte del Parlamento europeo ha condotto a una richiesta di rinvio per l’insediamento della Commissione. Sarebbe infatti dovuto avvenire il prossimo 1° novembre. Le ragioni sono da ricercarsi nel conflitto d’interessi per i primi due e in legami a vicende poco chiare di natura finanziaria per la terza.
Pur non essendo vincolante, il parere del Parlamento europeo ha una grande influenza sulla scelta dei candidati. È il Parlamento a esprimere il voto di fiducia sull’intera Commissione. Il rischio della mancata sostituzione di un candidato sul quale il Parlamento ha espresso il suo non gradimento potrebbe far sì che venga sfiduciata l’intera commissione.
La prassi prevede l’emissione di un parere preliminare da parte della commissione Giustizia. Questo è seguito da una valutazione su ciascun candidato da parte dalla commissione che si occupa della sua delega.
È stata proprio la commissione Giustizia a pronunciarsi sfavorevolmente alla candidatura di Plumb e Trócsányi.
Le ragioni dietro alla bocciatura
Dalle indagini svolte sulla candidata romena, indicata per il portafoglio dei Trasporti, è emersa la sussistenza di un prestito di un milione di euro. Il problema sorge dalla mancata dichiarazione e dal fatto che non sia stato giustificato su alcuna base concreta. Prima delle audizioni infatti, la commissione giuridica del Parlamento europeo esamina le dichiarazioni finanziarie dei commissari.
Più intricata è la questione Trócsányi, cui sono stati attribuiti poco chiari legami con la Russia e conflitti d’interesse tra il portafoglio di Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato offertogli e lo studio legale che ha fondato e sovrintende in Ungheria.
Prevedibili la prima e la seconda bocciatura in ragione dei ben noti problemi di corruzione in Romania e della natura autoritaria dello Stato ungherese. Ha disorientato, invece, quella della francese Goulard proposta da Macron. È stata infatti la prima candidatura presentata dalla Francia a essere respinta nella storia della Commissione europea.
Nominata Ministro della Difesa nel suo governo nel 2017, Goulard è stata costretta a dimettersi pochi mesi dopo, a seguito di uno scandalo legato all’uso dei rimborsi parlamentari. È stata proprio questa questione a essere ribadita dalla commissione Giustizia. Sono emerse, inoltre, perplessità derivanti da uno stipendio mensile da 10mila euro. Goulard, infatti, l’ha percepito dal 2013 al 2016, mentre era parlamentare europeo, da parte di un centro studi americano.
Il quadro d’insieme
26 candidati Commissari, uno per Stato membro. Sono esclusi il Regno Unito, che si è rifiutato di nominarlo nella speranza che la Brexit si concluda entro fine ottobre e la Germania, che esprime von der Leyen.
La Commissione è l’organo esecutivo dell’Unione Europea, i commissari hanno competenze paragonabili a quelle dei ministri (Commercio, Ambiente, Salute, Occupazione e così via). Ogni commissario è preposto a uno specifico dipartimento ed è indicato dai singoli Governi nazionali. I commissari non sono rappresentanti né del proprio Paese, né del partito politico di cui fanno parte, ma dell’intera Unione.
L’insediamento avviene tradizionalmente il primo giorno del mese. Sebbene la data resti ad oggi incerta, è plausibile che sia slittato dal 1° novembre al 1° dicembre.
Il Parlamento Europeo avrebbe dovuto approvare la commissione von der Leyen nella seduta plenaria del 21-24 ottobre. In uno degli ultimi comunicati dell’ufficio stampa del Parlamento è stato però dichiarato che non c’è tempo a sufficienza per tenere le audizioni dei candidati commissari individuati in sostituzione di Goulard, Plumb e Trócsányi. La Francia, peraltro, non ha ancora indicato ufficialmente a Von der Leyen il sostituto di Goulard, al contrario di Romania e Ungheria.
È probabile che le audizioni si tengano nelle settimane immediatamente successive alla plenaria del 21-24 ottobre. Il voto finale potrebbe tenersi in una delle due sedute plenarie di novembre. Von der Leyen entrerebbe così in carica il 1° dicembre.
Il commissario italiano
Il candidato commissario indicato dal Governo Conte II è Paolo Gentiloni, ex Presidente del Consiglio. A lui von der Leyen ha proposto l’assegnazione del portafoglio per gli Affari economici e monetari. Per prassi, il Presidente della Commissione, al momento della presentazione del suo team al Parlamento europeo, delinea in maniera puntuale nella lettera di missione i compiti, nonché gli obiettivi di ciascun commissario.
In un’ottica di celere adattamento al frenetico mutare climatico, tecnologico e geopolitico, von der Leyen sancisce un principio-guida: la collaborazione tra Stati, Governi e istituzioni europee.
A Gentiloni in particolare non ha lasciato carta bianca, le regole rimangono intatte: egli ha “il massimo di flessibilità consentita dalla legge”. Il fine è quello di realizzare un contesto economico europeo teso allo sviluppo e alla crescita. Si evince dunque una sorta di “fine che giustifica i mezzi”: a Gentiloni è concesso, entro i limiti normativi, di lasciare più o meno ampi margini di discrezionalità agli Stati membri con poca capacità di spesa. Essi avranno così spazio di manovra se finalizzato a registrare un incremento delle principali grandezze economiche. A Gentiloni dunque l’arduo compito di bilanciare le richieste di flessibilità dei Paesi in questione e il rispetto del perimetro normativo.
Incarichi
Specifico compito affidato a Gentiloni è quello di garantire l’applicazione del Patto di stabilità e crescita. Si tratta di un quadro di complesse norme fiscali che contiene il limite del 3% di deficit sul PIL, al fine di stimolare gli investimenti pur salvaguardando la responsabilità fiscale.
Dovrà contribuire a che il semestre europeo (il ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nell’ambito dell’UE, che rientra nel quadro della governance economica dell’Unione europea) integri gli obiettivi dello sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Tra gli altri compiti affidatigli troviamo quello di incrementare la resistenza agli shock economici e assicurare stabilità in caso di recessione; redigere lo schema di un sussidio europeo anti-disoccupazione per tutelare i cittadini e ridurre la pressione fiscale in caso di shock; coordinare il futuro lancio di un programma d’investimenti europei che contribuisca a raggiungere gli obiettivi generali della Commissione, tra cui principalmente il basso impatto climatico e la transizione digitale; implementare, infine, il piano europeo d’investimenti sostenibili.
Si veda qui la lettera d’incarico per intero.
Risvolti per l’Italia
Da un lato è da tenere in conto che Gentiloni, una volta commissario, avrà un margine d’azione limitato. Ciascun commissario infatti è posto sotto la guida di uno tra gli otto Vicepresidenti, che, a capo di un project-team, si occupano di dirigere e coordinare il lavoro dei commissari, in configurazioni modellate a seconda degli obiettivi da perseguire. Il vicecommissario in questione è Valdis Dombrovskis, già Commissario per euro e dialogo sociale. Oltre al fatto che è la Commissione europea nella sua interezza, come organo collegiale, a prendere le decisioni, in particolare sui conti pubblici degli Stati membri, per poi passare al vaglio dei Ministri delle Finanze di ciascuno Stato.
Posto che Gentiloni sarà tenuto ad applicare il Patto di stabilità e crescita, si richiama però il riferimento alla “massima flessibilità nel rispetto della legge” di cui alla lettera di missione: le regole esistenti prevedono che l’obiettivo di deficit (PIL < 3%) possa essere aggiustato nel caso di “output gap”. Si fa riferimento a una situazione in cui le risorse di un Paese non sono utilizzate in maniera efficace (scorretta o oltre le proprie capacità). Situazione che s’intende evitare perché precondizione di un potenziale aumento della disoccupazione, calo delle importazioni e dell’inflazione.
Dal 2015 la uscente Commissione Juncker aveva formalizzato alcuni criteri per concedere maggiore flessibilità. Ciò in presenza di riforme strutturali, per investimenti o emergenze (disastri naturali, crisi migratoria, ecc.). Ecco perché l’Italia, tra il 2015 e il 2017, ha ottenuto dalla Commissione europea flessibilità per più di 24 miliardi di euro di spesa pubblica, pari all’1,4% del PIL nazionale.
In un’ottica di bilanciamento dei vari interessi e finalità configurate da von der Leyen, resta dunque aperta la possibilità che venga concesso un margine di flessibilità all’Italia come accaduto in precedenza.