Bisogni e interessi cinesi: la ratio del Sistema di Credito Sociale
Per capire le ragioni che hanno spinto la Cina a implementare il Sistema di Credito Sociale, incurante della prevedibile pioggia di critiche da parte dell’Occidente, è fondamentale considerare la cultura politica e il contesto sociale del Paese.
Il Partito Comunista ha infatti ereditato dalla tradizione confuciana la concezione che l’apparato statale sia responsabile non solo della produzione e implementazione di leggi, ma anche della formazione morale dell’individuo. La legislazione rappresenta quindi uno strumento che, plasmando e uniformando l’etica dei cittadini, serve a garantire la pace e l’armonia sociale. Anche l’SCS (in mandarino shèhuì xìnyòng tǐxì) dunque, secondo tali interpretazioni, potrebbe rientrare in questo quadro. Il termine xìnyòng ad esempio, tradotto semplicemente come “credito”, ha in realtà un significato ben più ampio, che si avvicina a quello di “affidabilità” e “reputazione”, sia dal punto sociale che finanziario.
A questa dimensione culturale se ne affianca una pragmatica che trapela dalle dichiarazioni ufficiali rilasciate da Pechino: quella di rispondere a problemi endemici della realtà sociale ed economica cinese, ma di difficile tracciabilità. Questioni come comportamenti fraudolenti negli scambi economici, corruzione e negligenza professionale (spesso lamentati dagli stranieri che conducono affari nel Paese) creano un gap di affidabilità che intralcia il regolare andamento dell’economia, rendendola meno sicura agli occhi di consumatori e investitori. La soluzione sarebbe quindi di tracciare questi comportamenti e valutarli attraverso un sistema di deterrenti e incentivi.
Il Sistema di Credito Sociale: che cos’è realmente?
Alla luce di tutto ciò, non stupisce che l’idea del Sistema di Credito Sociale sia nata, seppur in forma embrionale, già negli anni Novanta, in un contesto di riforme economiche avviate dall’allora presidente Deng Xiaoping per modernizzare la Cina. La prima importante svolta si ebbe però solo nel 2002, quando il segretario Jiang Zemin pose l’accento sulla necessità di introdurre un sistema che valutasse l’affidabilità creditizia delle persone fisiche e giuridiche (sulla falsariga del punteggio FICO statunitense).
Tramite l’istituzione nel 2006 del Credit Reference Centre, la Banca Popolare Cinese compì un ulteriore passo avanti, introducendo un organo inedito preposto alla raccolta dei punteggi di credito di aziende e privati cittadini. A tale raccolta contribuivano tribunali, compagnie di telecomunicazioni e istituti finanziari, tenuti a fornire al governo dati riguardanti i propri clienti. Agli albori del nuovo millennio però, quando il settore bancario non era ancora digitalizzato, e il contante costituiva il principale metodo di pagamento, la tracciabilità non era sempre garantita: nel 2012, un report completo sul credito sociale era disponibile per “soli” 280 milioni di cittadini. In quest’ottica, il recente sviluppo tecnologico globale ha senz’altro giocato a favore di Pechino.
Sulla base di precedenti esperimenti effettuati nelle province di Jiangsu, Zhejiang e Shanghai, nel 2014 Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese varò il Planning Outline for the Construction of a Social Credit System, ossia il progetto definitivo per l’implementazione – entro il 2020 – dell’SCS.
L’idea di fondo era quella di creare un sistema di sanzioni e ricompense, dove la conformità alla legge, l’affidabilità creditizia, la buona condotta e le prestazioni positive di un’azienda fossero premiate, e le mancanze o trasgressioni punite. Tuttora, l’elemento chiave dell’SCS è la sua dimensione “sociale”: grazie al coinvolgimento dei privati sia nella raccolta che nell’analisi dei dati, il sistema fa in modo che i membri della società creino incentivi reciproci ad agire in maniera virtuosa, evitando l’intervento diretto dello Stato.
Nel concreto, il Sistema di Credito sociale non è un apparato centralizzato, ma un insieme di piattaforme in cui vengono immagazzinate informazioni di carattere finanziario (estratti conto, tasse, prestiti, transazioni) e non (occupazione, istruzione, fedina penale, uso dei social). Alla loro realizzazione contribuiscono governi locali, agenzie governative e colossi industriali come Baidu e Alibaba. Quest’ultimo ha collaborato addirittura creando delle proprie banche dati, come il Sesame Credit e il Tencent Credit.
Una delle maggiori piattaforme è la National Credit Information Sharing Platform (NCISP), sviluppata dalla National Development and Reform Commission (NDRC) con il supporto di oltre un centinaio di attori pubblici e privati. Essa si compone di circa 400 dataset, di cui 261 riguardano aziende, 74 singoli individui e 65 associazioni ed enti amministrativi. Molti di essi raccolgono generalità, atte a identificare la specifica persona fisica o giuridica; 119 contengono dati più sensibili, mentre i restanti 37 sono dedicati a menzioni d’onore (es. riconoscimenti di volontariato o beneficenza).
In totale, sono tenute in considerazione 537 variabili, anche se quasi 300 misurano le prestazioni degli attori industriali e “solo” un centinaio pertengono i cittadini. Ciò però non significa che ogni abitante sia schedato attraverso cento variabili, poiché molte di queste sono in realtà applicate a interi gruppi sociali (avvocati, medici, insegnanti e così via). Circa tre quarti dei dataset sono pubblici (284), mentre alcuni relativi a reati e sanzioni non sono accessibili se non al personale autorizzato.
Sebbene a oggi l’SCS sia ancora costituito da molteplici piattaforme indipendenti prive di un vero e proprio coordinamento, l’obiettivo è quello di realizzare un’infrastruttura digitale unitaria per la valutazione del credito sociale di cittadini, imprese e governi locali. Inoltre, tra i piani di Pechino vi è quello di collaudare un sistema unico che, sulla base dell’analisi dei dati, stabilisca sanzioni e ricompense inerentemente a quattro aree: affari governativi (performance degli ufficiali statali), affari giuridici (rispetto delle leggi), attività sociali e attività commerciali. Alcune fonti parlano già di una blacklist dove sono segnati i trasgressori, a fronte di una redlist dedicata ai virtuosi.
In ogni caso, il prof. Lei Yuanmin della Shanghai University testimonia a OriPo come, secondo quanto traspare dal documento ufficiale del 2014, “i veri bersagli dell’SCS siano soggetti particolarmente ribelli e rei delle colpe più gravi. Ad esempio, aziende che non rispettano i contratti, funzionari corrotti o datori di lavoro che lasciano i dipendenti senza stipendio”. Anche i provvedimenti variano molto, spaziando da quelli più leggeri (multe, proibizione temporanea di viaggiare in treno/aereo) a quelli più severi (perdita del lavoro, divieto di accesso al credito, divieto di accesso a certe scuole od ospedali, incarcerazione).
In sintesi, più che a una sorta di Grande Fratello nelle mani del “dittatore” cinese, il Sistema di Credito Sociale è paragonabile a un concetto, che si materializza attraverso l’attivazione di molteplici e differenti sistemi di raccolta e analisi dei dati, sparsi per il territorio e amministrati da diversi attori. “Da intendersi come un supporto all’apparato giudiziario” – prosegue Lei – “l’SCS si prefigge lo scopo di incentivare l’integrità e l’onestà nel business, nell’attività governativa e nella vita pubblica, nonché incrementare efficienza, trasparenza e fiducia all’interno di tali settori”.
Reazioni e nodi critici
In generale, il feedback dell’opinione pubblica cinese sembra essere nettamente positivo. A conferma di ciò, uno studio della Libera Università di Berlino ha mostrato come l’80% dei rispondenti sia favorevole all’entrata in vigore del sistema. Non solo, ma la percentuale di approvazione aumenta proporzionalmente al livello di istruzione e sociale, ed è più alta nei centri urbani.
Dati che a prima vista sembrano un paradosso, visto che questa fascia della popolazione dovrebbe teoricamente essere quella più vicina a una sensibilità occidentale contraria a sistemi di controllo tanto invasivi. Eppure proprio questa considerazione è una delle chiavi di volta per capire come i cinesi interpretano questa riforma. La Cina ha un sistema bancario e giudiziario ancora arretrati rispetto alle vette economiche raggiunte, e le frodi a danno dei consumatori o i tentativi di truffa online sono all’ordine del giorno. In un contesto del genere questa riforma è accolta come un lungamente atteso strumento di tutela per i cittadini onesti, e non un tentativo di ulteriore controllo delle masse.
“Questo non implica che non ci siano voci contrarie: la tematica scatena forti dibattiti soprattutto sulle piattaforme online più popolari come Weibo. Una parte di opinione pubblica che si domanda se certi estremi non vadano oltre il fine perseguito” sottolinea il prof. Lei, portando l’esempio dei maxischermi che dovrebbero mostrare chi attraversa fuori dalle strisce pedonali a Shanghai – quasi in una rivisitazione tecnologica della gogna. Altri esprimono dubbi sul rispetto del diritto alla privacy e del principio di proporzionalità della pena rispetto al fatto commesso. Tutto questo senza contare l’ondata di indignazione fomentata dai commenti di esponenti del governo americano, corrente che ha portato in questa parte del mondo ad invocare l’imminente adempimento delle profezie orwelliane descritte in 1984.
Ma quello che l’analisi occidentale non riesce a cogliere sono le sfumature interne alla società e alla vita politica cinese. Come evidenzia il professor Lei ad esempio, “le maggiori preoccupazioni espresse dagli abitanti del Paese del Centro non hanno tanto a che fare con il governo nazionale, quanto piuttosto con i Congressi locali del popolo, le cui decisioni riguardo la messa in atto del nuovo sistema avranno un impatto maggiore nella vita di tutti i giorni”. A livello globale dunque, i cinesi supportano il progetto-SCS nel suo insieme, ma non si fidano ciecamente della capacità dei governanti locali di metterlo in atto.
Comprendere il contesto cinese per comprendere l’SCS
Comprendere il Sistema di Credito Sociale non è cosa semplice, sia per la scarsità di fonti, sia per la vaghezza della comunicazione politica cinese. Per questo motivo, il progetto di Pechino si presta a suggestivi paragoni letterari, di facile presa sullo scettico lettore medio occidentale, ma spesso non rappresentativi della realtà dei fatti. Sicuramente lontano dai canoni di libertà e privacy tipici della cultura europea, l’SCS è pensato per venire incontro alle necessità domestiche più impellenti della Cina, tra le quali certo non figura la ricerca di consenso elettorale. Lo stretto controllo sull’operato di aziende e governi locali ne è testimonianza. Non tutti i timori sono però infondati, dal momento che al giorno d’oggi, comunque, il monopolio dei big data resta una risorsa strategica per ogni attore geopolitico.
Si ringrazia Giulia Alessandra Foti per il prezioso contributo.
ottimo e documentato articolo …sto studiando il sistema dei crediti sociali, e mi piacerebbe avere un contatto con stefano grandi. complimenti ancora
Molto interessante l’approfondimento, ma non si fa certo fatica ad immaginare che diventerebbe uno strumento di tortura se posto, anche solo parzialmente nelle mani di qualche grezzo ed ottuso ignorante, l’applicazione all’italiana poi meglio non immaginarla che di incubi ne abbiamo già a sufficienza.
Non sono affatto ostile alla Cina e non ho alcun pregiudizio verso il PCC, anzi..
Ma questo progetto non mi convince affatto, temo ed anzi ritengo sia inevitabile che potra’ prestarsi ad ogni tipo di abuso da parte delle autorita’