La Cina e il PCC, dittatura o modello innovativo?
Fondato negli anni ’20 e portato al potere dal “Grande Timoniere” Mao Zedong, il PCC riunifica la Cina nel 1949 e tenta di modernizzarla a tempi record, con una serie di politiche economiche definite come “Il grande balzo in avanti”.
Alla morte di Mao, nel 1976, in Cina c’è bisogno di rinnovamento. La dottrina marxista-leninista-maoista non è in grado di gestire l’enorme mole economica del paese, ma soprattutto l’esperienza maoista ha dimostrato la necessità di un governo più collegiale, in cui il potere non risieda nelle mani di un uomo solo. Sono quindi introdotte, durante le amministrazioni successive, numerose riforme per decentrare il potere. In particolare, viene rimossa la figura di Presidente del PCC, sostituita da quella di Segretario, con minor poteri e con più controlli da parte dei membri del partito.
Nei decenni successivi, sotto l’infuenza politica – esercitata dietro le quinte – dal “piccolo timoniere” Deng Xiaoping, il governo cinese si apre all’economia di mercato. La crescita diventa rapidamente esponenziale, parte la “locomotiva cinese”. Il partito viene strutturato in tre organi a livello centrale, il Comitato Centrale, il Congresso Nazionale e la Commissione centrale per l’Ispezione disciplinare. Nessuno dei membri dei tre organi è eletto dal popolo.
Dietro il boom economico, si nota la mano onnipresente del PCC e dei suoi dirigenti. In questi anni il partito rinuncia ad ogni tipo di culto personalistico del Segretario, governando collegialmente. Sono indette elezioni locali e i distretti più meritevoli e innovativi vengono presi a modello dall’intero paese. Dal 1992 si impone, addirittura, un limite di due mandati per il Segretario, sul modello occidentale e statunitense.
Il PCC rimane comunque l’unico partito legittimato a governare, ma viene permessa la fondazione di altri partiti, seppur solo con ruolo di cooperazione e non di opposizione. Il sistema sembra stabile e generalmente apprezzato dalla popolazione, anche in considerazione del fatto che gli sparuti focolai di protesta negli anni ’80 (i fatti di Piazza Tienanmen del 1989 e la “primavera democratica cinese”) vengono duramente repressi. Nessuno però è in grado di prevedere la vertiginosa ascesa della nuova stella della politica cinese, che nel giro di 20 anni diventerà a tutti gli effetti un dittatore, Xi Jinping.
Dai primi incarichi alla dittatura di Xi Jinping
Xi Jinping nasce a Pechino nel 1953, figlio di uno degli eroi della Lunga Marcia, Xi Zhongxun. Egli è dunque un Taizi, un “principe rosso”, la cui famiglia era direttamente a contatto con Mao. Proprio questa linea diretta con l’ex dittatore è oggi uno dei tratti più rimarcati dalla propaganda di regime. Dopo aver intrapreso studi di ingegneria, Xi entra nel PCC nel 1974 e inizia la sua scalata al potere. Dopo numerosi incarichi dirigenziali in varie province, diventa membro del Comitato Centrale nel 2002 e segretario del partito a Shanghai nel 2007. Durante questo periodo viene notato dall’allora Segretario del partito, Hu Jintao.
Il rapporto tra i due cresce nel corso dei mesi e molti già vedono in Xi Jinping il successore designato al segretariato del partito. Nel 2008, grazie a forti pressioni del suo mentore, Xi diventa vicepresidente della Repubblica. Nei suoi anni da vice, si mette in evidenza per la gestione delle Olimpiadi di Pechino 2008 e per la sua abilità di tessere relazioni internazionali soprattutto con paesi in via di sviluppo. Il suo segreto è offrire a questi governi una prospettiva nuova sul futuro, guidata dalla Cina e non dagli Stati Uniti.
Alla fine del 2012, Xi viene eletto dal Congresso Nazionale Segretario del PCC e Presidente della Commissione Militare, oltre che Presidente della Repubblica.
In soli sei anni, il nuovo Segretario cambia radicalmente la rotta della politica cinese con una serie di misure liberticide e incentrate sul culto della sua personalità e sul nazionalismo cinese, oltre a un rinnovato controllo del partito sull’esercito cinese.
Molti analisti suppongono che la prossima mossa di Xi sarà la ricostituzione del ruolo di Presidente del Partito, già appartenuto a Mao Zedong e che renderà ancora più evidente la posizione di dittatore di Xi Jinping. Oggi la Cina si trova nella metà bassa di tutte le classifiche di democrazia. E’ considerata 136esima su 179 da V-Dem, appena tre posizioni sopra l’Iran. Totalizza un Polity Score di -7 (in una scala da -10 a +10, che cresce insieme alla democrazia) e un punteggio di 3.32 su 10 secondo il World Democracy Report.
Le riforme e la limitazione delle libertà civili
Il nuovo Segretario decide di dare un taglio al passato. Il suo non sarà un governo del partito, bensì un regime degli individui al suo interno, tra cui figura anche l’enigmatica sorella maggiore, Qi Qiaoqiao.
Nel 2013 inaugura una spietata campagna anticorruzione, con l’evidente obiettivo strumentale di epurare i suoi oppositori interni e sostituirli con uomini fidati. L’operazione è un successo e Xi oggi può considerarsi in pieno controllo sia del Comitato sia dell’Assemblea.
Dall’anno successivo è il turno di Internet, che viene posto rigidamente sotto il controllo del governo. Uno dopo l’altro i giganti del social media vengono esclusi e rimpiazzati da versioni locali, che permettono di visualizzare solo contenuti censurati. Dal 2017 il governo cinese ha iniziato a sponsorizzare fortemente l’app di WeChat, la cui varietà di funzioni ha consentito al regime di utilizzarla come uno dei più potenti strumenti di controllo sulla società, con una censura onnipresente e molto rapida, come testimonia questo articolo della BBC. Qui si legge come l’autore, dopo aver affrontato su WeChat alcuni temi scomodi per il governo, abbia ricevuto un blocco temporaneo dell’account per “aver diffuso pettegolezzi maliziosi”. Una volta esaurita la penalità, all’autore è stato richiesto di inserire una sua foto per continuare a usare l’applicazione.
Sempre nel campo delle applicazioni, il governo ha lanciato nel 2018 un’ app di propaganda, Xuexi Qiangguo, letteralmente “studiare per rendere forte la Cina”. In questa applicazione, obbligatoria per tutti gli studenti, sono contenuti numerosi dei messaggi propagandistici del regime. Gli utenti sono anche segnalati al Comitato nel caso l’app non sia aperta e approfondita più volte al giorno.
Dal 2013 il potere degli ufficiali pubblici è stato aumentato. E’ ora vietato per chiunque denunciare un pubblico ufficiale o un’agenzia governativa per truffa o gravi abusi riguardanti i diritti umani o la salute. Il 9 luglio 2015, su ordine di Xi Jinping, più di trecento avvocati rappresentanti i diritti umani sono stati incarcerati o posti sotto sorveglianza, in quello passato alla storia come “l’incidente 709“.
Altre repressioni sono avvenute nei confronti di cittadini cristiani e musulmani, con scarso rispetto della libertà di culto.
Il governo cinese ha anche imposto a tutte le compagnie estere un controllo diretto del governo sul Consiglio di Amministrazione, e non sono garantiti in nessun modo i diritti sulla sicurezza dell’investimento, in particolare per coloro provenienti da una nazione in competizione con la Cina, come Giappone o Corea del Sud.
Nel 2018, il Segretario ha ottenuto con schiacciante maggioranza la possibilità di eliminare la regola dei due mandati, assicurandosi potenzialmente una posizione di controllo fino alla morte. Ha anche ottenuto il privilegio di avere il suo pensiero economico aggiunto alla Costituzione del paese, il terzo a riuscirci dopo Mao e Deng.
Il disegno di Xi Jinping e il sogno cinese
Il dittatore cinese ha più volte rimarcato la necessità di fornire un’alternativa al futuro americano e occidentale. Questa visione è spesso definita il “sogno cinese”, il Chinese dream, i cui contenuti appaiono di incerta definizione, come emerge ad esempio dal dichiarato rispetto delle libertà personali (“Rule of law”) e la già citata scarsa attenzione per i diritti di difesa e le libertà religiose.
In particolare, sono due le grandi iniziative che il governo cinese sta promuovendo nello scenario mondiale per realizzare il sogno di Xi Jinping. La prima è la corsa per l’Africa, dove i cinesi investono fortemente, spesso a credito, ottenendo enormi concessioni nel caso in cui il debito non sia ripagato, come nel celebre caso del porto di Hambantota, Sri Lanka. La seconda è la celebre One Belt One Road, di cui Orizzonti Politici si è già occupata nell’approfondito articolo della nostra Francesca Squillante.
Un grande supporter europeo delle iniziative cinesi nel mondo sembra essere proprio l’Italia, che è stata più volte criticata dai paesi occidentali per le eccessive concessioni al governo di Pechino, recentemente l’accordo proprio sull’iniziativa della nuova via della seta all’inizio del 2019.
(Articolo originariamente pubblicato l’1 agosto 2019)