Il disegno di legge contro l’omobitransfobia è stata oggetto di critiche, in particolare da parte della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e della principale associazione lesbica italiana, Arcilesbica. Noi di Orizzonti Politici abbiamo chiesto al deputato Alessandro Zan di esprimersi in merito al ddl Zan.
Le unioni civili tra coppie omosessuali in Italia non godono di tutti i diritti e doveri del matrimonio, come l’adozione congiunta e la stepchild adoption. Crede che questa differenza nasconda una qualche forma di discriminazione o sia motivata?
La legge Cirinnà è stata la legge che in quel momento si è riusciti a portare a casa con quel determinato Parlamento e con quella situazione politica. È chiaro che stiamo parlando di una disparità di trattamento. Già chiamare le unioni civili con un nome diverso rispetto al matrimonio significa avere un atteggiamento di disparità tra le coppie omosessuali e le coppie eterosessuali. La nostra Costituzione non parla di matrimonio tra uomo e donna. Appellarsi ad essa per sancire che il matrimonio deve basarsi sulla cosiddetta “famiglia naturale” è sbagliato. Il concetto di famiglia evolve nel tempo. Sicuramente bisognerà prossimamente mettere mano alla legge sulle unioni civili e arrivare in Italia al matrimonio egualitario con gli stessi diritti e doveri di tutte le altre coppie.
L’adozione di minori da parte di coppie omosessuali è tema molto dibattuto tra gli esperti, sia in Italia che all’estero. A riguardo, il presidente della Società italiana di pediatria Giovanni Corsello ha dichiarato che “vivere in una famiglia senza figura materna o paterna potrebbe danneggiare i figli”. L’opinione pubblica italiana sembra essere d’accordo: secondo il Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes, solo il 31% si dichiara a favore dell’adozione da parte di coppie omosessuali. Come controbattere alla dichiarazione del pediatra e l’opinione del 70% degli italiani?
Questo è falso perchè studi scientifici ormai decennali dimostrano che i bambini all’interno di una coppia omogenitoriale crescono esattamente con lo stesso equilibrio psicofisico degli altri bambini. Anzi, uno studio accademico australiano ritiene addirittura che, proprio perché in una famiglia omogenitoriale non vi sono dei ruoli preconfezionati di genere legati alla tradizione patriarcale, retaggio culturale ancora presente in Italia, il bambino cresce ancora più libero e sereno, sviluppando maggiormente il suo talento. Questo studio può essere anche contestato. Tuttavia, di base gli studi scientifici sulle famiglie omogenitoriali dimostrano che i bambini crescono esattamente come in tutte le famiglie. C’è purtroppo un pregiudizio ancora molto radicato nella nostra società che va sconfitto con l’insegnamento, la cultura del rispetto e molta pazienza, spiegando alle persone che appunto le famiglie omogenitoriali già esistono, i bambini che vivono in famiglie omogenitoriali ci sono già ma purtroppo non hanno gli stessi diritti degli altri bambini. Bisogna assolutamente lavorare in questo senso. Io sono fiducioso che nel tempo, spero non lontanissimo, questa situazione cambierà. Muteranno anche la percezione e l’opinione pubblica. Probabilmente dieci anni fa solo il dieci per cento era a favore.
Cosa risponde alle critiche della Cei, in base alle quali si tratterebbe di una legge ridondante e che potrebbe condurre a “derive liberticide”?
Il ddl Zan in esame in Commissione Giustizia è una legge integrata. Introduce delle sanzioni in ambito penale, ma anche politiche e azioni positive. Nell’ambito penale ricalca una legge già collaudata, la legge Mancino-Reale, che punisce solamente l’istigazione all’odio e alla violenza, non certo le libere espressioni e le libere opinioni. Dunque invocare il pericolo di una legge liberticida, secondo me, nasconde in realtà il tentativo di far fallire, ancora una volta, una legge necessaria. Stiamo assistendo quotidianamente a fatti di cronaca che prefigurano una spirale di violenza nei confronti di persone che la subiscono semplicemente per ciò che sono. Una spirale di violenza e odio che dobbiamo assolutamente fermare. Non dimentichiamo poi che questa è anche una legge contro la misoginia e il sessismo. L’Unione Europea, in una direttiva del 2012, istituisce norme minime non solo per la tutela delle persone LGBT, ma anche delle donne in generale, indicando anche queste ultime tra le persone vulnerabili alle discriminazioni. Per cui è una legge che dà una tutela rafforzata contro i crimini d’odio per misoginia, tra le altre cose.
Come dimostrano i dati dell’OCSE e di Gay Help Center, le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere sono ancora attuali. Ritiene che il suo ddl Zan potrebbe condurre, nel concreto, a rimuovere queste diseguaglianze o saranno necessari ulteriori provvedimenti?
Questa è una legge contro i crimini d’odio, non una legge omnibus che interviene su altre questioni. Sarebbe sbagliato avere un approccio di questo tipo, è una legge contro l’omotransfobia e la misoginia. È chiaro che oltre ad avere una forte deterrenza sul piano penale, con un’azione penale, con un’aggravante qualora si faccia un’azione di istigazione all’odio o con un’azione di violenza, motivate da orientamento sessuale, identità sessuale e di genere, ha anche degli effetti positivi. Vi è tutta una parte legata alla protezione delle vittime, con la creazione di centri antidiscriminazione e case rifugio e l’attivazione della strategia LGBT presso l’UNA, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni, con politiche di prevenzione, campagne, sensibilizzazione nelle scuole, ecc. Di conseguenza ha anche un impatto culturale, perché ogni legge fa cultura in un Paese. Dunque quando si approva una legge contro l’omotransfobia si da un messaggio. Le istituzioni sono assolutamente contro ogni forma di odio e di violenza. Soprattutto perpetrato nei confronti delle persone che vengono aggredite per la loro condizione personale. Non è che vengo aggredito perché ti offendo, ma semplicemente perché sono gay. È una cosa assolutamente non degna di un paese civile. Ecco perché questa legge oltre ad avere degli effetti reali ha anche un impatto culturale molto importante. Come l’ha avuto la legge sulle unioni civili nel paese. Quando tu organizzi ricevimenti, inviti genitori, parenti, amici, che celebrano con te quest’unione d’amore è chiaro che ha un effetto positivo moltiplicatore nel paese.
Condivide l’opinione dell’associazione Arcilesbica secondo la quale l’autocertificazione di sesso (la facoltà di presentare, una mediante dichiarazione sottoscritta, l’indicazione del proprio sesso) sia contraria ai diritti delle donne e chiede pertanto la sostituzione della locuzione “identità di genere” col termine “transessualità”?
Assolutamente non la condivido. Intanto introducendo il termine “transessualità” in una legge che si occupa di crimini d’odio introdurremmo una discriminazione al contrario. Nella legge Mancino-Reale non si legge “razza nera” o “religione ebraica”. Si legge “è vietata ogni forma di istigazione all’odio motivata da razza, etnia, nazionalità e religione”. Sarebbe dunque incostituzionale inserire la parola “transessualità”. L’identità di genere non riguarda solo le persone trans. Con identità transessuale rischieremmo di escludere tante altre persone che non sono in transizione. È un concetto legato al diritto di vivere serenamente la propria identità di genere, sancito da una sentenza della Corte costituzionale. È un termine radicato nel nostro ordinamento nazionale e internazionale. Pensiamo alla Convenzione di Istanbul, che vieta ogni forma di discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere.
La stragrande maggioranza del mondo del femminismo è favorevole al ddl Zan. Sul Manifesto è stata pubblicata una lettera di 200 femministe, tra cui molte donne lesbiche, che diceva “difendiamo l’identità di genere perché abbiamo combattuto per anni il fatto che l’anatomia non è un destino. Il mio dovere come legislatore è fare una legge che impedisca che delle persone vengano discriminate per ciò che sono. Sostituire il termine “identità di genere” con “transessuale” sarebbe uno sfregio verso la comunità trans che al suo interno è molto plurale. Ne fanno parte persone intersex, binary, non-binary. “Identità di genere” consente ai giudici di avere un ampio spettro d’intervento qualora sia posta in essere una discriminazione motivata da una condizione personale.
Testo a cura di Elena D’acunto e Eleonora Ferrari