In risposta alla pandemia di Covid-19, la Cina ha implementato uno stringente sistema di restrizioni di confine e di quarantene obbligatorie, con l’obiettivo di sradicare del tutto il coronavirus. Ora però, mentre altre nazioni con strategie Zero-Covid come Australia, Nuova Zelanda e Singapore cominciano a rilassare le loro politiche, la Cina rimane saldamente convinta dell’efficacia del suo piano.
La politica Zero-Covid della Cina prevede di tenere fuori la maggior parte degli stranieri, quarantene rigorose, impiego massiccio di personale sanitario, applicazioni tecnologiche per il tracciamento meticoloso dei casi sospetti, intense chiusure nelle aree in cui il virus viene trovato e frequenti test di massa.
La Politica Zero-Covid in Cina: cosa implica?
Allarmate dalla diffusione della variante altamente contagiosa, ma con sintomi lievi, Omicron, le autorità cinesi hanno esortato la popolazione a limitare i loro spostamenti per i festeggiamenti del nuovo anno lunare e supportato lockdown localizzati nelle città più a rischio. Gli esperti della sanità pubblica cinese infatti, hanno emesso un avvertimento poco più di due settimane prima dell’inizio delle Olimpiadi invernali, al fine di mantenere la stretta aderenza del paese alla sua politica Zero-Covid.
Dall’inizio della pandemia, la Cina ha attuato misure di controllo dei confini, garantendo meno visti agli imprenditori, lavoratori e alle loro famiglie. Per gli stranieri è praticamente impossibile entrare nel paese per brevi permanenze dato che sono previste fino a tre settimane di quarantena obbligatoria all’ingresso. Per gli spostamenti domestici, test virali e controlli di identificazione sono obbligatori. Ogni nuovo caso fa scattare nuovi lockdown localizzati. L’episodio di ottobre a Disneyland Shanghai è paradigmatico: più di trentamila persone vennero bloccate all’interno dopo la scoperta di un singolo caso. La città portuale di Tianjin, dopo due casi di Omicron, ha dato inizio ad un round di test per 14 milioni di cittadini. Nella provincia dell’Henan, invece, due soggetti positivi hanno portato alla chiusura forzata di scuole, vietando incontri pubblici e festeggiamenti per il capodanno lunare. Pechino ha, inoltre, ordinato ai governi locali di costruire rapidamente strutture di quarantena.
Lo stesso Presidente cinese Xi Jinping non ha lasciato il paese per due anni. L’ultima visita ad un Capo di Stato straniero risale a Marzo 2020 a Pechino, quando Xi incontrò il Presidente pakistano. L’atteso incontro con il Presidente americano Joe Biden, appunto, è avvenuto per videoconferenza.
Quali fattori da considerare?
In primis, il rinnovato impegno della Cina nella politica Zero-Covid è, in parte, un riflesso del suo programma vaccinale. Lo sviluppo e la somministrazione a velocità record dei vaccini Sinopharm e Sinovac è un vanto nazionale. Al picco, la Cina ha somministrato più di 22 milioni di dosi al giorno. A livello domestico, circa l’86% della popolazione è vaccinata. Questa, però, è la storia di un successo iniziale.
I vaccini cinesi, che utilizzano tecnologia tradizionale, dove l’agente patogeno è inattivo, producono risposte immunitarie più deboli, soprattutto alle varianti Delta e Omicron, rispetto ai vaccini occidentali sviluppati con RNA messaggero, Moderna e BioNTech/Pfizer. Uno studio dell’Università di Hong Kong sostiene che tre dosi di Sinovac producano una scarsa risposta anticorpale a Omicron. Nonostante ciò, il vaccino BioNTech è ancora in attesa di approvazione, seppure l’azienda tedesca abbia una partnership con la cinese Fosun Pharma. Il 12 Febbraio la Cina ha approvato l’utilizzo della pillola anti-Covid Paxlovid, prodotta da Pfizer, solo per le emergenze.
Il virologo Jin Don-yan sostiene che i regolatori cinesi stiano aspettando un vaccino domestico a mRNA, affinché la Cina non debba affidarsi a vaccini importati dall’occidente. La società biotech Suzhou Abogen Biosciences sta attualmente testando un vaccino a mRNA, ma il successo non è garantito. Infatti, Moderna e BioNTech hanno impiegato anni per affinare le loro tecnologie alla frontiera.
Secondo fattore, le carenze del sistema sanitario cinese. Per giustificare le politiche Zero-Covid, i leader cinesi richiamano un influente studio del Chinese Center for Disease Control and Prevention pubblicato a novembre dove viene analizzato uno scenario di aperture seguendo il modello americano. Lo studio stima 637.155 nuovi casi giornalieri, dei quali circa 10.000 presenterebbero sintomi gravi, causando un impatto devastante sul sistema sanitario. La spesa medica come percentuale del Pil in Cina è circa il 5%, mentre è in doppia cifra nel Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Il paese ha 20 dottori per ogni 10.000 abitanti, più del doppio dell’India, ma al di sotto della media OCSE di 34. Il numero di letti in terapia intensiva, dato cruciale per i pazienti infettati, è un quarto dei paesi OCSE. Le aree rurali, dove risiede circa un terzo della popolazione, presentano situazioni allarmanti, con metà dei dottori e letti disponibili.
Effetti economici: export e consumi
La rigida strategia pandemica ha contribuito a un più ampio rallentamento economico, frenando la spesa dei consumatori. Nonostante le politiche Zero-Covid, però, le vendite al dettaglio e le esportazioni hanno recuperato dal nadir del 2020.
Il surplus commerciale cinese ha raggiunto un nuovo record, 676 miliardi di dollari, 26% più alto del valore dell’anno precedente. Data la persistente espansione delle esportazioni, l’export cinese nel 2021 è aumentato del 30% rispetto all’anno precedente. I dati sottolineano il dominio cinese del commercio globale durante la pandemia. L’industria manifatturiera cinese, infatti, ha beneficiato dello spostamento della domanda globale dai servizi ai beni di consumo.
Inoltre, le supply chains cinesi hanno retto meglio del resto del mondo. Le chiusure puntuali della Cina sono state meno dirompenti per le sue fabbriche rispetto alle restrizioni a tappeto di rivali di produzione come il Vietnam. La battaglia cinese per contenere la diffusione di Omicron, però, ha ricadute anche sulle catene di approvvigionamento globali. Ad agosto, la parziale chiusura del porto di Ningbo-Zhoushan, uno dei più trafficati al mondo, ha aggiunto pressione alle rotte internazionali di navigazione.
Le restrizioni in Cina stanno testando le capacità delle multinazionali di rimanere operative nel fronteggiare un clima di incertezza senza precedenti. Per Ambrose Conroy, direttore esecutivo presso Seraph, le aziende appaiono oggi più preparate per lockdown brevi, mentre per Didier Chenneveau, partner McKinsey, la situazione è preoccupante data la tensione già manifesta delle supply chains. Volkswagen e Toyota hanno chiuso le loro sedi di produzione a Tianjin, mentre Samsung sta fronteggiando una carenza di forza lavoro a causa dei molteplici lockdown.
Xi Jinping e il Partito: come vengono giustificate e percepite le politiche zero-Covid in Cina?
La stabilità politica è cruciale per il Partito e Xi, soprattutto mentre il paese è sotto i riflettori per le Olimpiadi invernali. Diana Fu, analista per Brookings Institution, afferma come la crisi sanitaria sia una crisi politica che mette alla prova la legittimità e le capacità del Partito. L’obiettivo perseguito da Xi per mezzo della politica Zero-Covid è quello di proiettare un’immagine di successo, domesticamente e all’esterno, di fronte a un panorama di politica estera sempre più ostile. La narrazione maoista di una guerra prolungata contro il virus implica che l’unica vittoria possibile sia dichiarata quando il virus non circolerà più.
Le politiche Zero-Covid inoltre sono basate su un generalizzato supporto popolare. Questo è dovuto alla convinzione profondamente radicata che le libertà individuali debbano essere sacrificate per il bene collettivo, come da tradizione confuciana. Xiao Qiang, esperto della UC Berkeley, sostiene che la pandemia abbia rafforzato l’apparato di propaganda e monitoraggio di Pechino, sopprimendo il dissenso sui problemi di salute pubblica.
Secondo Wu Liangyou della Commissione Nazionale della Sanità, la Cina giustifica la sua posizione dato che la pandemia è continuata ad alti livelli nelle nazioni circostanti e in tutto il mondo. Il controllo della pandemia è anche diventato inestricabilmente legato alla credibilità politica del Partito Comunista. Il bilancio ufficiale della Cina è inferiore a 5.000 morti, rispetto ai 750.000 degli Stati Uniti. Mentre gli Stati Uniti parlano di diritti umani, il partito comunista cinese sostiene di aver veramente difeso i suoi cittadini.
Il trend regionale: verso la convivenza con il virus?
La maggior parte dei paesi della regione che avevano tentato programmi Zero-Covid sta ora accettando una convivenza con il virus. Inizialmente, Hong Kong non ha avuto infezioni da metà agosto, nel 2020 Taiwan ha contato appena 12 morti e l’acclamata Nuova Zelanda solo 27. Secondo il tracker di eccesso di mortalità dell’Economist, le nazioni con restrizioni Zero-Covid hanno visto meno morti in generale che in un anno tipico. Le varianti Delta e Omicron, però, hanno messo in crisi le politiche Zero-Covid nella regione.
Dunque, i paesi dell’Asia-Pacifico, Cina esclusa, sembrano aver scelto un’altra strada. Singapore è stato il primo paese a svoltare con l’82% della popolazione vaccinata. Il primo ministro australiano Scott Morrison ha annunciato ad agosto il rilassamento delle restrizioni covid una volta raggiunto l’80% di vaccinazione. A fine settembre, il Vietnam ha abbandonato la strategia Zero-Covid mentre a inizio ottobre la prima ministra neozelandese Jacinda Ardern ha riconosciuto la difficoltà di perseguire queste politiche, revocando le restrizioni in atto. Anche le autorità della sanità thailandese hanno annunciato un piano annuale per arrivare al trattamento del virus come endemico.
Scenari futuri: cosa aspettarsi dalla Cina nel breve periodo?
Con 3 miliardi di dosi somministrate, il dato più alto a livello globale, la persistenza delle politiche Zero-Covid desta qualche dubbio sull’efficacia di questi ultimi. Per Simon Powell, direttore di ricerca presso Jefferies, la Cina sembra non avere alcuna intenzione ad aprirsi. Sicuramente, accettare il virus come endemico implicherebbe un cambiamento di tono.
Il paese appare impreparato ad attuare aperture basate sull’ipotesi dell’immunità indotta da vaccino, come sostengono i paesi occidentali. L’ex capo redattore del Global Times Hu Xijin, testata molto vicina al Partito, ha pubblicato a novembre un articolo in cui attacca i media occidentali, i quali hanno preso di mira la strategia cinese, suggerendo un approccio “sbagliato quanto il loro”. Per Hu convivere con il virus implicherebbe costi molto più elevati rispetto all’attuale strategia.
Dopo le Olimpiadi invernali, si terranno l’Assemblea Nazionale del Popolo, a marzo, e il Congresso del Partito, a novembre, eventi pubblici di estrema rilevanza politica. Per Gideon Rachman del Financial Times, le restrizioni potrebbero estendersi ben oltre il 2023.
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