Il cittadino-elettore e il vento della modernità
Le moderne democrazie liberali sono tempi sorretti da molte e indispensabili colonne: tra questi vi è il cittadino-elettore. Egli contribuisce a plasmare il governo del paese attraverso l’espressione delle proprie preferenze alle urne, così come sancito dalla nostra Costituzione, che recita nell’art 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Ma l’uomo cambia al mutare dei tempi, e con sé l’elettore maturato nella propria coscienza politica. Nei primi cinquant’anni di repubblica possiamo individuare due mastodontici cambiamenti che hanno orientato l’elettore al voto tra gli anni ‘40 e ‘90: il primo, la fine del fascismo e l’avvento della repubblica, il secondo, la disillusione di Mani pulite e Tangentopoli.
Il voto tra gli anni ‘40 e ‘70: il bene della comunità
Città in macerie, periferie affamate, e una grande nazione, gli USA, che si preoccupa di finanziare le potenzialità di rinascita dell’Italia, non senza condizioni. La priorità è stabilizzare l’economia, ma anche la società. Come affermano diversi esperti, tra cui i politologi Pasquino e Parisi , tra gli anni ‘40 e gli anni ‘70, il cittadino-elettore é assimilato all’interno di una precisa area socioculturale che si traduce nell’identificazione con la forza politica radicata nel suo territorio, dunque si manifesta un comportamento elettorale stabile nel corso del tempo. Si vota per il bene della comunità, sulla base di valori identitari. Non a caso, sul ring politico troviamo sempre tre principali forze: democristiani, comunisti e socialisti.
I primi, ben radicati nel nord e sud Italia, portano a casa oltre un terzo dei consensi ad ogni tornata elettorale, con l’annus mirabilis del 1948, conquistando di fatto la metà dei consensi elettorali nazionali. Un voto che ha una forte connotazione identitaria di stampo cattolico, che dunque vince nelle vaste aree agricole del sud quanto del nord Italia, e fa colpo tra le élite cittadine grazie al saldo controllo della burocrazia italiana, politiche di privatizzazione e una favorevole condotta atlantista ed europeista.
PCI e PSI invece si tengono saldi gli elettori del centro, dominando in particolare Toscana, Emilia Romagna e Marche. Sono queste le regioni storiche della Resistenza, ma anche il nuovo impianto industriale fondato sull’artigianato e sulla piccola e media impresa, divise in distretti in base al settore: conceria e pelletteria, siderurgia, estrazione e lavorazione dei materiali da costruzione. Sono quei territori che necessitano di un partito stabile nel tempo capace di garantire continuità al reticolo economico, portando le istanze del territorio a Roma, al Parlamento. L’elettore di quegli anni vuole stabilità: si vota secondo logiche di reti familiari (il voto si decide a tavola, su stimolo del capofamiglia), pragmatismo (lavoro e sviluppo economico-sociale) e identità (conservatori o progressisti).
Il voto dagli anni ‘80 al 2000: isolazionismo e autonomia
Una nuova ventata di modernità, a fine secolo, avrebbe modificato questa peculiarità italiana, invertendo i termini del comportamento elettorale nostrano. Come sostiene Caciagli, modernità in politica ha significato scelte elettorali fondate su “motivazioni razionali”, non più sentimentali, su base identitaria. Oggetto d’esame dell’elettore divennero i temi concreti dell’offerta elettorale, ossia le proposte di policy più vicine agli interessi dei singoli elettori. Le famiglie smisero di votare in stormi sulla base di inamovibili fedeltà a forze partitiche tradizionalmente legate al territorio e l’autonomia dei singoli alle urne portò, come sottolinea Caciagli stesso (2017:349), a «frequenti oscillazioni verso l’astensionismo».
Il boom economico, l’accesso a più alti livelli d’istruzione e un mondo che piano piano si apre e diventa globalizzato, sono tutti elementi che formarono una nuova generazione politica, quella dei giovani nati a partire dagli anni ’80. Inglehart ha studiato a lungo il fenomeno e reso popolare il termine che sintetizza questa trasformazione: si vota su stimolo di valori post-materialistici. Sono gli anni in cui compare una mobilità sociale differente dalle precedenti, si scindono i legami con la terra, si popolano le principali città italiane e i giovani votano per se stessi: più ampi orizzonti culturali e sociali, svecchiare le comunità, favorire nuove forme di intrattenimento e di libertà d’espressione. In questi anni nascono le associazioni dedicate all’ambiente, ai diritti delle comunità LGBT+, si rafforza la lotta femminista e si mette in pratica la liberà sessuale per cui si era marciato negli anni precedenti. I dati parlano chiaro: i partiti tradizionali sono ancora i detentori del potere, ma le quote si modificano, DC e PC si contendono un terzo della popolazione ciascuno mentre nuovi partiti rosicano le quote storiche.
Accade poi che gli scandali politici dei primi anni ‘90 disilludono gli italiani sulla protezione dei partiti storici al territorio: tangenti, appalti truccati, opache relazioni dietro la macchina dello Stato fanno cadere delle teste. Le elezioni politiche del 1994 sanciscono uno spartiacque nelle preferenze elettorali degli italiani, e cade la Prima Repubblica. Calise, Nevola e altri studiosi parlano di un tramonto dei partiti tradizionali, oscurati da nuove forze politiche che nascono da zero, come il partito di Silvio Berlusconi, Forza Italia, o prendono forma dalle scissioni della DC e di altri partiti storici.
Gli scettici anni ‘2000
Il voto nelle ultime tre elezioni politiche – 2008, 2013 e 2018, rivela la confusione e i timori nella mente del cittadino-elettore medio. Una crisi economica globale straziante, lo spread che entra in casa degli italiani e resta un parolone ancora poco chiaro ma con cui confrontarsi ogni giorno, i debiti del passato da saldare e infine un’offerta politica nuova il cui impatto mediatico non lascia scampo a nessuno.
Silvio Berlusconi aveva inaugurato la prima campagna elettorale per televisione, parlando per ore e ore quasi in carne ed ossa nei salotti degli italiani collegati. Beppe Grillo apre un blog nel gennaio 2005, prima di Chiara Ferragni, e nel 2009 con la nascita delle “liste civiche a 5 stelle” prima e del Movimento 5 Stelle dopo, diventa il primo blog di partito in Italia. I social diventeranno poi campo d’azione della Lega, in particolare di Matteo Salvini, che tra il 2012 e il 2013 inaugura il contatto diretto con gli elettori tramite Facebook, prima, e Instagram, dopo, per poi sbarcare recentemente su Tik Tok. I partiti iniziano poi non solo a fare campagna elettorale sui social, bensì a filtrare le notizie per i propri elettori e fare informazione unilaterale. Ogni elettore italiano viene quindi bombardato da continui discorsi circa la politica nazionale su ogni media, e questo contribuisce ad allontanare dalle urne i disillusi delle promesse elettorali, e a radicalizzare quelli che decidono di puntare su un solo partito, uno specifico leader, una sola fonte di informazione circa la vita politica ed economica del Paese.
Non dimentichiamo poi che il voto si struttura anche in base alla vicinanza o distanza dei partiti rispetto all’Unione Europea. L’Italia vanta la posizione tra i fondatori dell’Ue, eppure secondo i dati dell’Eurobarometro, nell’ultimo decennio la fiducia degli italiani verso l’Unione sta scemando, in particolare dal 2013 in poi, quando le politiche di austerità hanno sortito i loro effetti sociali sul Paese. In questo articolato quadro, i partiti italiani hanno reinterpretato le proprie proposte di policy alla luce di un controverso binomio fra la scelta di restare fedeli al sogno europeo, contribuendo a creare un’integrazione politica a tutti gli effetti, e quella di porre le esigenze della nazione dinanzi a quelle della comunità europea nel suo complesso. Il risultato è un caotico dilagare di euroscetticismo ed euroentusiasmo, le cui idee sono organizzate più attorno ai dibattiti mediatici che ai programmi di governo. Nelle elezioni europee del 2019 a trionfare in Italia sono stati i partiti euroscettici: la Lega aveva raggiunto il 34,3% dei voti, contro il 6% ottenuto nel 2014, mentre Fratelli d’Italia il 6,5%. Al contrario, un partito europeista come il PD è arrivato al 22,7%, mentre +Europa-Italia in Comune ed Europa Verde rimasero esclusi, per non aver superato la soglia di sbarramento del 4% (a stento arrivati rispettivamente al 3% e 2%).
Un sistema che cambia verso l’anti-sistema
Gli italiani sono cambiati, possiamo affermarlo di certo: meno attenti ai sentimenti identitari e più legati a scelte di voto razionali, ma sono anche estremamente sensibili alle strategie di comunicazione. Meno centristi di un tempo, gli elettori italiani sono sempre meno attratti dalle urne e prestano orecchio all’eco di forze anti-sistema che promettono un rinnovamento della macchina statale. I governi (tecnici e non) che hanno guidato il Paese per anni orientandosi verso il centro – Democrazia Cristiana, Partito Democratico, Forza Italia – sono stati additati come responsabili del declino economico del Paese, o come incapaci nell’arginare i problemi e poi rispondervi.
Di conseguenza, il sistema partitico italiano, espressione degli atteggiamenti e valori degli elettori, si è trasformato, con il tramonto dei grandi partiti tradizionali che hanno guidato la repubblica per cinquant’anni – DC in primis, ma anche PCI e PSI, e l’ascesa di forze nuove, con pochi moderati di centro – PD e FI – e molti anti-sistema – M5S, FdI, Lega.
I sondaggi per le elezioni del 25 settembre rendono materiale l’idea che un partito anti-sistema, Fratelli d’Italia, possa vincere le elezioni o quanto meno carpire una grossa fetta di Parlamento. C’è chi teme un retrocedere della democrazia, eppure bisogna ricordare la vittoria inaspettata e plateale dei Cinque Stelle alle elezioni politiche del 2013: il sistema politico non è imploso, e nel tempo le correnti più estremiste del movimento si sono scisse o sono state tagliate via in favore di un approccio più centrista. Il Movimento è stato domato nella sua essenza anti sistema e perfettamente inquadrato nelle strutture istituzionali del Paese. Potrebbe succedere nuovamente alle correnti più estremiste di FdI in caso di vittoria.
O potrebbe darsi che il cittadino-elettore non smetta di evolversi: le serie conseguenze del conflitto russo-ucraino e i postumi del Covid sull’Italia potrebbero smuovere sentimenti elettorali sepolti, e sancire magari un ritorno alla moderazione d’ispirazione centrista e democratica. Di certo, la stabilità è quanto di più agognato dagli italiani: saranno in grado di dimostrarlo alle urne ?