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Foreste e guerra: gli effetti dal Messico alla Liberia

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Le foreste e l’essere umano sono stretti in legami multiformi, ma fragili. I conflitti dimostrano di nuocere tanto ai civili quanto alla flora e la fauna locali nelle zone interessate dalla guerra: dalla Colombia al Messico, dal Myanmar alla Thailandia passando per Congo e Ruanda, vediamo come scontri armati, guerrilla, migrazioni coatte e oneri delle finanze pubbliche abbiano distrutto i polmoni del pianeta. C’è poi chi sostiene che la guerra dia respiro alle foreste, interrompendo le attività di sfruttamento: si tratta solo di un miraggio o la storia ha le sue eccezioni?

Foreste e conflitti, da secoli un pericoloso legame

Che le foreste abbiano un valore inestimabile per la vita sulla Terra è indubbio: producono ossigeno, assorbono CO2 e garantiscono livelli di umidità ottimali per le creature terrestri, umani compresi. Ma i polmoni del pianeta sono da sempre anche una risorsa economica non indifferente, grazie alle ingenti quantità di legname che riescono a garantire. Il commercio del legname frutta cospicue quantità di denaro ai governi che detengono la sovranità territoriale sulle grandi foreste, per questo soprattutto in tempo di guerra le attività di disboscamento si intensificano allo scopo di riempire l’erario pubblico o per fini agricoli. A questo proposito, se già in circostanze di pace paesi come il Brasile ricorrono allo sfruttamento intensivo delle foreste per l’agricoltura, in tempo di guerra è quanto mai necessario sfamare l’esercito – spesso a scapito della popolazione – perciò ogni ettaro strappato ai boschi diventa terreno fertile da coltivare. 

Per di più, storicamente le foreste sono un magazzino di armi. Dagli alberi tagliati si ricavano non solo le basi per costruzioni, imbarcazioni e impalcature a scopo difensivo, bensì anche materiali come le resine, da cui un tempo si ricavano prodotti infiammabili come il celeberrimo fuoco greco, usato dai bizantini tra il VII e l’XI secolo per incendiare le imbarcazioni nemiche.

I custodi della vita e il caso Ruanda

Per quanto le foreste siano indispensabili alla vita degli esseri viventi, anche gli umani hanno dimostrato di essere utili alla natura. L’istituzione di aree protette in regioni come il Sud America e l’intero continente africano hanno infatti garantito la conservazione della biodiversità e la protezione delle specie animali autoctone. Così, quando i conflitti della seconda metà del XX secolo hanno tenuto lontani i custodi dalle foreste, queste hanno sofferto moltissimo a causa dell’incuria. Gli animali selvatici, in particolare, hanno sofferto la carenza di cure specifiche, mentre ampie porzioni boschive sono state illecitamente rase al suolo in assenza di chi aveva l’autorità per fermare, o quanto meno limitare, il disboscamento. Il Sud America e il continente Africano offrono numerosi esempi di questo fenomeno.

La guerra civile in Ruanda tra il 1990 e il 1994 ha visto la deforestazione di oltre 80 km2 di area protetta, a causa delle sfortunate orde di rifugiati – le stime ufficiali parlano di 750.000 persone – in cerca di cibo e riparo. La necessità di fare spazio ai campi profughi portò alla devastazione del Parco Nazionale del Virunga, nella vicina Repubblica Democratica del Congo, mentre la fauna locale venne decimata per la necessità di sfamare le famiglie. Nella sola regione dello Zaire, il nome del Congo dal 1971 al 1997, il Governo ha stimato che in 3 settimane  sono stati persi 3758 ettari di foresta, ossia 37 km2, equivalenti a una città italiana come Como. 

Distruggere le foreste per annientare i ribelli

Le guerre civili non mietono solo vittime umane. Infatti, in Paesi come Thailandia, Myanmar, Sri Lanka e Colombia il problema della guerrilla ha portato a drastiche azioni di disboscamento da parte dei governi centrali, nel tentativo di stanare i ribelli spesso nascosti in rifugi tra le fronde più fitte dei boschi. 

Nella metà degli anni ‘90, nello stato del Chiapas, Messico del Sud, la foresta di Locandon ha subito l’impatto degli scontri armati tra i militari governativi e le forze ribelli del comandante Marcos. Situata nel Parco Nazionale Sierra del Locandon, la foresta è incastonata tra Guatemala e Messico, in un fertile territorio che include anche il Parco Nazionale Laguna del Tigre, sotto la giurisdizione guatemalteca, e la Reserva de la Biosfera Montes Azules, sotto quella messicana. Si tratta di aree che influenzano fortemente la cultura locale, e diverse comunità coesistono con i ritmi e le esigenze delle grandi foreste da tempo immemore. Ma già dagli anni ‘70, la comunità autoctona del Locandon lotta per i propri diritti ancestrali sul luogo, i cui confini abitativi sono stati sempre più ristretti dal governo centrale per appropriarsi delle fertili terre agricole

Ma la guerra può danneggiare le foreste anche in modo indiretto: spesso nel corso delle guerriglie, i gruppi ribelli prendono di mira installazioni petrolifere, oleodotti e strutture minerarie che possono trovarsi in prossimità delle riserve naturali. Le fuoriuscite di petrolio e sostanze chimiche nel corso degli attacchi possono avere gravi conseguenze ambientali, inquinando corsi d’acqua e avvelenando la fauna selvatica. Ad esempio, l’oleodotto Caño Limon-Covenas nella Colombia orientale è stato attaccato centinaia di volte dalla fine degli anni ‘80 sino al 2019, con ingenti danni alla fitta rete idrica della zona e, non da ultimo, oltre l’85% della popolazione locale sfollata.

Eccezioni nella storia sono possibili?

Esistono poi curiose eccezioni al negativo impatto della guerra sulle foreste. Una di queste è la Liberia, dove la guerra civile scoppiata nel 1997 tra il regime dispotico dell’allora presidente Charles Taylor e le sollevazioni popolari pose fine alla pratica del governo centrale di danneggiare le foreste pluviali per venderne i beni e coprire il debito pubblico. 

Non solo: lo scoppio dei conflitti ha indotto gli investitori stranieri a lasciare il Paese, ponendo fine ai finanziamenti per lo sfruttamento delle risorse naturali boschive. Stesso fenomeno in Mozambico nel corso della guerra civile tra il 1977 e il 1992.

Tuttavia, si è trattato di brevi parentesi: sempre in Liberia, nel 2012, la presidente Ellen Johnson Sirleaf ha concesso licenze ad aziende private per abbattere il 58% di tutta la foresta pluviale primaria rimasta nel paese, attirando critiche internazionali che sono servite a cancellare molti di quei permessi, ma non tutti. 

Non solo gli stati: informazione e cittadini

I casi affrontati dimostrano che indipendentemente da regione geografica e arco temporale, la guerra marca profondamente l’equilibrio delle foreste, sia quando gli uomini agiscono in modo diretto, ad esempio disboscando a scopo militare o economico, sia quando le cause sono indirette, come l’avvelenamento dei corsi d’acqua dopo esplosioni nelle vicinanze. Dal proprio canto, i governi degli stati che detengono la sovranità territoriale su porzioni di foreste non sembrano tutelare a sufficienza i grandi spazi verdi del pianeta, perciò il lavoro della comunità internazionale dovrebbe focalizzarsi sulla sensibilizzazione del tema, che coinvolge non solo le popolazioni nelle aree incriminate ma ogni abitante del pianeta. Tanto più in un panorama educativo poco presente sull’argomento, infatti troviamo poca informazione sul legame tra conflitti e foreste: per lo più studi e ricerche spesso inaccessibili al grande pubblico. 

Informare e sensibilizzare l’opinione pubblica porterebbe certo ad azioni più consapevoli da parte dei rappresentanti politici e, chissà, più diffuse ed efficaci già nel breve termine. Un’utopia o uno scenario realistico?

*Credits foto: Specna Arms da Pexels.com

Giulia Isabella Guerra
Studio il mondo per capirlo e renderlo comprensibile agli altri. Laureata in Studi Internazionali presso l'Università di Trento, frequento Corporate Communication a Milano. Nel tempo libero scrivo, leggo classici, curo il giardino e coccolo i miei gatti.

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