L’appetito coloniale francese
Verso la metà del 1500, la grande potenza europea si espande nel Nuovo Mondo: gli Stati colonizzati più cruciali dell’area sono il Canada e la Louisiana. Dopo l’America settentrionale e le Antille, la Francia punta ad ottenere possedimenti in Asia, riuscendo a colonizzare Vietnam, Laos e Cambogia nel 1887. Infine, nel XIX secolo, la Francia si radica anche nel continente africano: durante la cosiddetta “spartizione dell’Africa” fra le potenze europee, essa ottiene Algeria, Marocco, Tunisia e buona parte del Sahel centro-occidentale che comprende Stati come Niger, Ciad e Mali.
Via MapChart
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, in queste regioni nascono dei movimenti anticolonialisti, che la Francia cerca di sedare istituendo l’“Unione francese”, una partnership politica ed economica formale in quanto inserita nella stessa Costituzione francese del 1946, finalizzata a mantenere un solido legame con le proprie colonie. Il termine “françafrique” fa riferimento alla rete di rapporti che legano le ex colonie africane alla Francia, la quale spesso cerca di conservare i propri vantaggi economici e politici dell’area. Per meglio comprendere questo fenomeno è necessario approfondire la storia di alcuni Paesi africani, primo dei quali l’Algeria.
Il binomio algerino: fra indipendenza politica…
Dopo più di un secolo da colonia francese, nel 1945 la nazione algerina si è battuta per la propria indipendenza e, per ben sei anni, il Fronte di Liberazione Nazionale algerino (FLN) si contrappone alle milizie coloniali francesi, entrambe macchiandosi di terribili crimini di guerra. Per migliorare i rapporti tra i due Paesi, nel luglio 2019 Macron commissiona allo storico algerino Benjamin Stora un rapporto sulla memoria della colonizzazione e la guerra d’Algeria. Stora evidenzia quanto la posizione dell’Eliseo rispetto allo scontro con l’ex colonia cambi a seconda del diverso atteggiamento dei presidenti in carica: la prima generazione di politici francesi, come Charles de Gaulle e François Mitterrand hanno preferito il silenzio, al contrario i presidenti Jospin e Chirac si sono impegnati a far riconoscere la definizione di “guerra d’Algeria” e a inaugurare un memoriale nazionale che ricordasse i soldati caduti. Oggi Macron, pur rifiutando di scusarsi per gli avvenimenti tragici accaduti durante il dominio francese, ha optato per alcuni “atti simbolici” di riconoscimento: tre giornate di commemorazioni e la promessa di pubblicare gli archivi di guerra ancora segretati.
L’Algeria dunque sembra vivere una duplice realtà: da una parte rivendica la propria indipendenza dalla Francia e si batte per ottenere riconoscimenti per le atrocità sofferte; dall’altra però è ancora economicamente ancorata a Parigi.
… e dipendenza economica
L’economia domestica dell’Algeria conta sull’export degli idrocarburi, che annualmente ammonta per un terzo del suo PIL e circa il 96% delle entrate totali tra il 2014 e il 2017 stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il mercato algerino è strategico per la Francia, in quanto essa è il primo paese per volume di import in Algeria, primato invariato dagli anni ’60, che ha per di più registrato un sostanzioso aumento dal 1992 al 2017.
L’Algeria è il più grande paese africano per estensione, ma 4/5 del territorio sono impraticabili per l’agricoltura, pertanto importa dalla Francia soprattutto prodotti agricoli, animali da macello, ma anche prodotti farmaceutici, componenti elettroniche, chimiche e materiali utili ai processi di lavorazione degli idrocarburi. Nel complesso, un proficuo mercato da $4,2 miliardi nel solo 2017, che nel 2011 ha registrato il picco di $7,1 miliardi.
Di contro, l’Algeria non è partner privilegiato dei francesi. La Francia si rivolge alle ex colonie soprattutto per l’import di risorse energetiche, ma l’Algeria è solo il sesto paese per volume di idrocarburi esportati nell’ex madrepatria, e il terzo per import di gas naturale, preceduto da Norvegia e Russia. Ciò si spiega nella strategia di diversificazione che consente all’Eliseo di adottare una politica estera forte, senza timore di ricatto dai partner commerciali, soprattutto dopo i tumulti della guerra d’indipendenza algerina.
La Francia in Sahel: dietro le quinte della presenza militare
Di françafrique si parla anche a proposito del territorio del Sahel, che si estende dall’Oceano Indiano al Mar Rosso, coprendo nove Stati. La dominazione francese dell’area ha inizio nel 1800, ma soltanto un secolo dopo viene scoperto il potenziale della regione in materie prime come metalli, diamanti e uranio. Raggiunta l’indipendenza nel 1960, le aspirazioni di questi Paesi a sviluppare migliori condizioni sociali ed economiche è declinata: dalle ceneri dell’impero coloniale francese sono infatti nati Stati fragili, che non hanno saputo rispondere alla comparsa negli anni di diverse organizzazioni terroristiche di matrice jihadista. Così, nel 1988 nasce in Mali il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (MNLA) e in Nigeria nel 2002 nascono le milizie di Boko Haram.
Questa complessa situazione minaccia le partnership strategiche fra le ex colonie e la Francia; per questo essa fornisce supporto aereo e terrestre all’esercito maliano, coadiuvata da altre potenze europee nell’Operazione Serval. Nel 2014 Parigi promuove il G5 Sahel, una forma di cooperazione tra Burkina-Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger per rispondere alla diffusione del terrorismo nell’area. Al loro fianco l’esercito francese guida l’Operazione “Barkhane” che dispiega più di 3000 unità. Il quartier generale viene localizzato a N’Djamena, capitale del Ciad, lo Stato più attivo del Sahel nella lotta ai jihadisti. Nell’aprile 2021 il presidente Idriss Déby Itno viene ucciso durante la lotta ai ribelli nel Nord del Paese. Macron, che presenzia al funerale, lancia quindi il messaggio simbolico di sostegno al successore di Déby, sorvolando sulle circostanze turbolente in cui il nuovo presidente è stato nominato, sperando nella continuità delle azioni militari del Ciad.
Il regime finanziario delle ex colonie
La Francia ha promosso la creazione di un’area di libero scambio nella regione del Sahel, cui membri sono 14 Paesi che hanno adottato come moneta il Franco Cfa (Franc de la Comunauté français d’Afrique), nel dicembre 1945.
Si tratta di un’unione monetaria in cui esistono due valute che pur non essendo intercambiabili, circolano liberamente assieme ai capitali fra le due regioni geopolitiche dell’area franco: l’Unione Economica e Monetaria dell’Africa occidentale, e la Comunità Economica e Monetaria dell’Africa centrale. Nel complesso, il franco Cfa si basa su un sistema di cambi fissi che in origine era stabilito rispetto al franco francese, mentre oggi, dall’ingresso della Francia nell’eurozona nel 1999, il riferimento è l’euro.
La Francia si è assunta l’onere di intervenire sui mercati valutari delle ex colonie per sostenerne il tasso fisso e garantire la convertibilità della valuta. In cambio di questo impegno, sino al dicembre 2019 tali paesi era tenuti a depositare il 50% delle proprie riserve valutarie su un conto fruttifero presso la Banca di Francia.
Tira la moneta: pro e contro del franco Cfa
I più critici guardano al franco Cfa come ad un mezzo che perpetua la sudditanza finanziaria delle ex colonie verso la madrepatria. In realtà, la Francia s’impegna a intervenire illimitatamente a favore degli altri componenti, una garanzia più forte rispetto a quella che un singolo paese può darsi unilateralmente, e che rappresenta per essa un rischio in termini di costi. Inoltre, la Banca di Francia non può utilizzare queste risorse per finanziare il tesoro francese, dunque non esiste alcun “furto”, essendo peraltro l’adesione al sistema volontaria.
I paesi aderenti hanno due principali vantaggi:
- nella condivisione delle riserve, in quanto garantisce loro la stabilità del cambio senza l’obbligo di tenere un ammontare di riserve uguale alla base monetaria in circolazione;
- nei depositi presso la Banca di Francia, remunerati ad un tasso superiore a quello di mercato.
La maledizione delle risorse nelle ex colonie e il difficile equilibrio di interessi con la Francia
Le ex colonie dell’impero francese hanno reagito in modi estremamente diversi al raggiungimento dell’indipendenza, ma sembra ancora non esserci un equo punto di incontro tra gli interessi delle due parti. Da un lato, si sono sviluppati Stati fragili ben inquadrati nella teoria della “maledizione delle risorse”, per cui il possedimento di materie prime che hanno grande valore sul mercato non produce benefici sullo sviluppo umano, poiché si registra la tendenza a sviluppare regimi non democratici e un quadro economico fragile in quanto dipendente dall’estero.
Dall’altro, la Francia stessa sembra divisa nella mediazione tra gli interessi economici delle sue imprese impegnate nella regione e una politica estera volta a sostenere la stabilità politica e lo sviluppo umano nelle ex colonie, affiancata da una forte azione militare. Certo è che la politica non è mai un processo neutro, in quanto influenzato dagli interessi dei molteplici attori che concorrono a definirla. Pertanto, il futuro delle ex colonie d’Africa dipende dalla forza con la quale esse riusciranno a imporre le proprie priorità sugli interessi francesi, nonché dall’abilità con la quale riusciranno a usare gli strumenti di crescita e le opportunità di partnership offerti dalla Francia stessa.
Testo a cura di Giulia Isabella Guerra e Gaia Pelosi