Il Regno Unito è stato dominatore dei mari per quasi tre secoli, avendo costruito il più grande impero coloniale della storia, e ha lasciato proprie tracce in tutto il mondo. Escludendo il caso dei Paesi Commonwealth, sono esistite forme di dominazione molto diverse tra loro, la cui eredità può essere ancora percepita oggi in ex colonie come India ed Egitto.
How Britannia (used to) rule the waves
La corsa al controllo del subcontinente indiano ha radici antiche e moventi economici. Un immenso bacino demografico fertile e ricco di risorse diviso politicamente tra Stati in continua lotta tra loro è un bottino troppo invitante per una potenza europea in fase di espansione. La vera protagonista di questo processo fu la Compagnia delle Indie Orientali, che da impresa commerciale venne trasformata in strumento di conquista: anziché portare avanti il progetto di espansione autonomamente, il Paese si affidò ad un’impresa privata per proseguire il proprio disegno imperiale. L’enorme influenza politica ed economica guadagnata dalla compagnia ha portato col tempo la Corona a serrare il controllo su di essa, ponendola sotto il controllo parlamentare, per poi esautorarla del tutto nel 1858, quando ormai il suo ruolo si era esaurito e la madrepatria era pronta a gestire direttamente i propri domini.
Un processo simile, spalmato in un arco temporale di due secoli, produce una contaminazione culturale, politica e sociale in grado di lasciare segni duraturi. L’amministrazione indiana è stata plasmata da Westminster a colpi di atti legislativi: le basi fondanti delle istituzioni rappresentative (1861, 1909) e la loro implementazione sotto il principio di responsible government (1919) sono emanazioni di tendenze politiche presenti nel parlamento di sua maestà negli stessi anni.
L’eredità inglese in tal senso è ampiamente riscontrabile nel sistema politico indiano: la divisione amministrativa del Paese, rispetta ancora la stessa divisione di competenze tra centro e periferia stabilita nel 1919 (per quanto si tratti di una divisione abbastanza standard negli stati federali), il first-past-the-post è ancora la formula elettorale utilizzata nelle elezioni generali (anche se ha prodotto risultati ben diversi da quelli della madrepatria, creando un sistema partitico estremamente frazionato completamente diverso dal bipolarismo immaginabile). Sotto un profilo più culturale, l’uso dell’inglese come lingua franca rimane negli atti ufficiali, specialmente in riferimento alla Corte suprema.
I rapporti tra i due Paesi oggi sono condizionati dall’importanza geostrategica dell’India come vertice del contenimento della Cina. In un’ottica atlantista, la presenza di due ex-colonie inglesi nel QUAD (Quadrilateral Security Dialogue, “dialogo strategico” tra USA, Australia, Giappone ed India) dà alla Gran Bretagna un ruolo certamente rilevante come mediatore. Come anche in campo economico però, ormai la colonia preferita della Corona ha abbondantemente superato la madrepatria in termini di rilevanza strategica.
L’Egitto inglese: una vera colonia?
Agli antipodi del modello indiano, l’Egitto non sarebbe nemmeno ascrivibile nella categoria di “colonia” strictu sensu. Non è stato sottomesso a un diretto controllo e non ha subito una contaminazione socioculturale di lungo periodo. L’esigenza di esercitare influenza su questa regione è scaturita da una ragione geografica. Come ogni impero marittimo, anche la Gran Bretagna aveva necessità di controllare punti nevralgici delle rotte di navigazione. Il canale di Suez garantiva una via più breve e diretta per l’Asia (e dunque l’India), ed era irrinunciabile. Dopo la sconfitta dei nazionalisti egiziani a Tel-el-kebir nel 1882, iniziò per l’Egitto una fase di occupazione da parte delle forze inglesi (pur essendo formalmente ancora parte dell’impero ottomano) terminata con la dichiarazione di un protettorato vero e proprio all’indomani dello scoppio della prima guerra mondiale. La presenza militare inglese resterà de facto in vigore fino al 1956, quando l’esplosione della crisi di Suez e la situazione internazionale non costringeranno al ritiro.
Come facilmente immaginabile, un‘impronta del dominio inglese in questo caso è più difficile da identificare. Più che di una colonia vera e propria, nel caso egiziano si parla di una influenza (esercitata anche militarmente) mai trasformatasi in un diretto controllo amministrativo. Infatti, i due sistemi politici sono estremamente distanti: quello egiziano si presenta come una sorta di semi-presidenzialismo unicamerale, privo di quelle tipiche funzioni parlamentari di derivazioni inglese (e ovviamente con una figura presidenziale).
Regno Unito in India ed Egitto: lo sviluppo economico distorto delle ex colonie
Nel corso della dominazione britannica, le due ex colonie hanno vissuto un’evoluzione economica simile. L’intervento inglese nell’economia di India ed Egitto ha inciso soprattutto sul settore agricolo, in quanto le vaste terre dei due territori potevano offrire alla Corona inglese un approvvigionamento sicuro per le materie prime da destinare ai mercati internazionali. Il risultato è stato l’introduzione delle monocolture di indaco, cotone, juta, te e papavero da oppio in India, cotone e zucchero in Egitto, che hanno sostituito le tradizionali colture di grano e cereali, con conseguenti perdite di questi beni nel mercato interno, il loro aumento dei prezzi, e gravi carenze alimentari che hanno portato i due Paesi alla fame in più momenti.
L’economista Michael Barratt Brown ha parlato in proposito di “distorsione dello sviluppo” economico delle due aree, in quanto l’introduzione delle monocolture ha reso l’economia domestica di India ed Egitto estremamente fragile, poiché concentrata sulla produzione di questi pochi beni e dipendente dal loro export. Inoltre, Barratt sottolinea come il capitale e lo sviluppo delle imprese si siano concentrati attorno alle monocolture, abbandonando gli altri settori dell’economia locale, come quello artigianale e manifatturiero, determinandone un progressivo sottosviluppo. Questi ultimi sono stati così abbandonati dalla metà dell’Ottocento, essendo diventati poco redditizi a causa di aggressive politiche di import di prodotti manifatturieri inglesi nei territori colonizzati. Di conseguenza, si è estesa la classe di lavoratori impegnati nella produzione di monocolture, un processo esoso che ha portato all’indebitamento rurale degli agricoltori locali, incapaci di far fronte ai costi di gestione con le proprie risorse.
L’India oggi: paradigma coloniale invertito?
Con la fine del colonialismo, i destini economici dei due Paesi si sono separati. L’India ha avviato un notevole processo di industrializzazione e modernizzazione economica, tanto che nel 2019 è risultata la quinta economia al mondo, arrivando a superare lo stesso Regno Unito.
Oggi l’India rappresenta un bacino di opportunità notevole per il Regno Unito, che sin dal 2005 ha stretto numerosi accordi bilaterali in materia di commercio e finanza, ultimo dei quali annunciato il 4 maggio dopo un vertice online tra i due rispettivi premier, Narendra Modi e Boris Johnson. Secondo le stime del Dipartimento per il Commercio internazionale inglese, nel biennio 2019-2020 l’India sarebbe il secondo investitore nel Regno Unito, con 120 progetti finanziati e più di 5000 nuovi posti di lavoro creati. Di contro, gli inglesi sono il sesto Paese per investimenti diretti esteri in India, concentrati nei settori chimico, farmaceutico, automobilistico , delle telecomunicazioni e dei servizi. Questi dati ben si sposano con la tesi del politologo Anthony Giddens, secondo cui i processi di globalizzazione avrebbero portato alla ribalta dei Paesi un tempo considerati sottosviluppati, capaci di influenzare oggi lo sviluppo di quelle che un tempo erano le potenze colonizzatrici occidentali. Di fatto, durante il summit dello scorso 4 maggio, il premier Johnson ha sottolineato come la ripresa economica del Paese dopo i duri colpi del Covid sarà rilanciata dalla nuova partnership con l’India, volta a creare più di 6.500 posti di lavoro, cui primi beneficiari saranno le famiglie e le comunità.
L’Egitto si riforma e cresce
L’Egitto si sta affermando come Paese leader nell’economia del continente africano, grazie alle importanti riforme del governo in materia di bilancio, investimenti e occupazione, iniziate nel 2016 con il supporto del Fondo monetario internazionale nella misura di $12 miliardi allocati in tre anni. Secondo il rapporto UNCTAD 2020, queste riforme hanno creato stabilità macroeconomica e instaurato fiducia negli investitori stranieri, primo dei quali è il Regno Unito. Nei fatti, un ruolo fondamentale nella crescita del Paese è stato giocato dai Foreign Direct Investments (cioè investimenti diretti all’estero), concentrati nei settori delle risorse energetiche, delle telecomunicazioni e dei beni primari. Nel 2019, l’Egitto è la prima meta di FDI nel continente africano, con $11 miliardi saggiamente utilizzati per supportare attività economiche in contrazione, attraverso sussidi e programmi dedicati volti ad accrescere la capacity-building delle aziende.
Chi ha bisogno dell’Europa?
Il Regno Unito ha formalizzato con entrambe le ex colonie importanti partenariati commerciali nel lungo periodo, come la Roadmap 2030 con l’India e lo UK-Egypt Association Agreement, che offrono canali sicuri per l’export inglese, con tariffe agevolate e approvvigionamento di beni vantaggiosi prodotti in questi Paesi, come le componenti elettroniche in India e le risorse energetiche in Egitto. Questa strategia permette agli inglesi di affrontare con maggiore serenità le perdite economiche derivanti dalla Brexit, testimoniate dal calo dell’export inglese nell’Ue di ben il 40,7% nel solo mese di gennaio 2021. La Gran Bretagna sta ripescando il proprio passato, per sostituire il mondo a cui ha rinunciato nel 2016.
Testo a cura di Giulia Isabella Guerra e Lorenzo Taraborrelli
Questo articolo è parte di una raccolta sull’eredità dei grandi Imperi coloniali. Leggi anche “Ciò che resta dell’impero: la Francia e le ex colonie oggi“.