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Gerd: la diga della discordia che divide Etiopia, Egitto e Sudan

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Da inizio 2021 i negoziati tra Etiopia, Egitto e Sudan in merito alla realizzazione e al funzionamento della Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), in costruzione sul Nilo Azzurro, stanno attraversando una nuova fase di impasse

La disputa sulla diga Gerd vede contrapposti i Paesi a valle (Egitto e Sudan) da una parte e l’Etiopia (Paese a monte) dall’altra e finora tutti i tentativi di mediazione – l’ultimo dei quali condotto a Kinshasa lo scorso 8 maggio dal capo di Stato congolese e presidente di turno dell’Unione africana (Ua), Felix Tshisekedi – non hanno avuto successo. Data la complessità del quadro politico attuale, la prospettiva di un accordo risolutivo appare remota.

Una nuova fase di crisi tra Addis Abeba e l’asse Cairo-Khartoum 

La Gerd è una diga a gravità sul fiume Nilo Azzurro in Etiopia, in costruzione dal 2011. Si trova nella parte occidentale del Paese, circa 15 km a est rispetto al confine con il Sudan. La diga, con una potenza installata di 6,45 gigawatt, una volta completata, sarà la più grande centrale idroelettrica in Africa, nonché la settima più grande al mondo.

Lo scorso 23 maggio l’Etiopia ha confermato la propria intenzione di avviare la seconda fase di riempimento del bacino idrico della diga, provocando le proteste di Egitto e Sudan e avviando una nuova fase di crisi che, allo stato attuale, risulta di difficile soluzione a causa della mancanza di opzioni negoziali percorribili con il consenso di tutte le parti.

Il Ministro degli Affari Esteri etiope Demeke Mekonnen, in un comunicato stampa diffuso poco dopo i colloqui di Kinshasa dello scorso maggio, aveva incolpato l’Egitto e il Sudan per la mancata intesa e aveva ribadito il suo impegno nel lavorare per la conclusione dei negoziati trilaterali. Ciononostante, aveva comunque affermato che il secondo riempimento sarebbe stato portato avanti come programmato. 

Ad oggi, i governi del Cairo e di Khartoum sostengono che il piano dell’Etiopia di aggiungere al bacino della diga 13,5 miliardi di metri cubi di acqua il prossimo luglio rappresenti una minaccia per la loro sicurezza idrica. L’Egitto e il Sudan sono quindi intenzionati a voler raggiungere un accordo internazionale in maniera tale da regolare la quantità di acqua minima che l’Etiopia sia obbligata a lasciar defluire a valle, specialmente durante i periodi di siccità. 

Le implicazioni geopolitiche della Gerd per Etiopia, Egitto e Sudan

Oltre alle questioni tecniche relative al riempimento dei serbatoi della diga, le trattative negoziali in corso presentano problematiche di ordine politico, storico e simbolico fondamentali per le autorità dei tre Stati, i quali hanno più volte affermato come il Nilo costituisca un elemento vitale per i rispettivi Paesi e le loro popolazioni.

Gli affluenti in territorio etiope – Nilo Azzurro, Sobat e Atbara – contribuiscono alla portata idrica del Nilo per circa l’84%. Di fatto, l’Etiopia è desiderosa di sviluppare il suo vasto potenziale di produzione di energia idroelettrica per diventare un hub regionale delle esportazioni di energia elettrica. 

Per l’Etiopia, dunque, la diga è un simbolo di ambizioni geopolitiche: una mega-infrastruttura destinata a illuminare migliaia di case, assicurare rendite costanti derivanti dalla vendita di elettricità ai Paesi vicini e, soprattutto, ribadire l’ascesa politica del Paese nel contesto africano.

E’ importante sottolineare che – di fronte al rifiuto dei finanziatori internazionali, in particolare la Banca mondiale – la Gerd è stata costruita grazie a una serie di contributi richiesti alla popolazione o tramite l’emissione di titoli di Stato interni. In un Paese dove il potere centrale è fortemente contestato, con ricorrenti tensioni interne, la questione relativa alla Gerd costituisce uno dei rari argomenti in grado di rafforzare l’unità nazionale. 

Di contro, l’infrastruttura costituisce una potenziale minaccia per l’Egitto, il cui fabbisogno idrico annuo, che ammonta a 55 miliardi di metri cubi, è in larga parte soddisfatto dal Nilo Azzurro. La diga Gerd è stata infatti costruita in corrispondenza della sorgente del Nilo Azzurro, il Lago Tana, limitando così il flusso d’acqua verso l’Egitto. Se la portata del fiume dovesse ridursi per colpa di un afflusso ridotto dal Nilo Azzurro, l’Egitto si troverebbe nelle condizioni di dover fronteggiare una forte crisi idrica.

Al di là dell’importanza socio-economica delle acque del Nilo, l’Egitto ritiene inoltre di avere dei “diritti storici” su un fiume che rappresenta la culla della propria civiltà. Il Cairo afferma che in questa partita si gioca la sussistenza di milioni di egiziani.

Simili sono le preoccupazioni del Sudan, che nel corso degli anni, anche in seguito a cambiamenti politici interni, ha sostenuto prima le ragioni di Addis Abeba, e poi quelle del Cairo. Al momento, il Paese sta attraversando un periodo di transizione che vede i militari dominare la scena politica. La questione del Gerd è dunque divenuta un soggetto di controversia nazionale tra le forze militari e i civili. 

Negli ultimi due mesi, la posizione del Sudan sembra essere passata dalla precedente neutralità ad uno schieramento dalla parte del Cairo. Un allineamento diplomatico che potrebbe essere figlio delle crescenti tensioni relative alla disputa transfrontaliera in corrispondenza della pianura di al-Fashqa tra l’Etiopia e il Sudan. Il riavvicinamento dei due Paesi “a valle” della Gerd è anche testimoniato dalla recentissima esercitazione militare congiunta “Protettori del Nilo”, inaugurata lo scorso 26 maggio. 

L’esercitazione militare egiziano-sudanese è stata interpretata dall’Etiopia come una provocazione e una minaccia concreta alla delicata questione della diga, perché volta a dimostrare la potenziale capacità dei due Paesi di condurre un’offensiva contro Addis Abeba.

Le incognite sudanesi ed etiopi sul destino della Gerd

L’Etiopia intende continuare con il secondo riempimento del serbatoio della diga, e intende farlo indipendentemente dallo stato dei negoziati politici. In questo contesto di forte instabilità, vi sono dunque alcuni fattori da tener presente. 

In primo luogo, l’Etiopia ha continuato,  nonostante l’annuncio di un coprifuoco unilaterale e il ritiro dalla capitale Tigrina di Makallè, le proprie operazioni militari nella regione del Tigray nonostante la diffusa condanna da parte della comunità internazionale. Dati questi elementi, è lecito pensare che il governo etiope possa non sentirsi vincolato alle pressioni internazionali. 

La tornata elettorale del 21 giugno per il rinnovo delle assemblee federali e regionali e delle principali municipalità si è svolta quindi sotto l’occhio critico della comunità internazionale, con meno della metà dei distretti in grado di recarsi alle urne e gravi accuse di pressioni sull’elettorato, che hanno causato rivolte ulteriori nella regione orientale, occupata dall’etnia Omoro. Il primo ministro Abiy Ahmed si trova di fronte a una serie di sfide interne, comprese l’instabilità politica nella regione del Tigray e al confine sudanese. La posizione del suo governo sul Gerd non sembra apparire controversa a livello nazionale, motivo per cui è difficile aspettarsi, almeno nel breve periodo, un’inversione di marcia rispetto all’approccio fin qui mantenuto.

È possibile, inoltre, guardare alle recenti dichiarazioni politiche dei diversi Paesi coinvolti per avere un’indicazione di cosa aspettarci dall’Egitto e dal Sudan. L’anno scorso, durante il primo riempimento del serbatoio della diga da parte dell’Etiopia, alcuni funzionari egiziani dichiararono di essere pronti ad affrontare comunque la crisi. Scenario ripetutosi anche quest’anno, come testimoniato dal Ministro dell’Irrigazione egiziano Mohamed Abdel-Ati, che lo scorso 20 maggio ha annunciato un piano per affrontare il secondo riempimento della Gerd, qualora non si riesca a raggiungere un accordo legalmente vincolante con l’Etiopia prima di luglio.

Dal canto suo, il Sudan si è dimostrato molto più intransigente e meno aperto a soluzioni alternative, soprattutto in considerazione del deterioramento delle relazioni con l’Etiopia a causa dell’aumento della violenza nella contesa regione di al-Fashqa dalla fine del 2020. 

Khartoum e Addis Abeba hanno dispute territoriali di confine aperte, legate alla rivendicazione, da parte degli agricoltori della regione etiope di Amhara, dei diritti sulle terre nella pianura di al-Fashqa, che il Sudan considera sotto la propria giurisdizione. Il secondo riempimento della diga potrebbe rappresentare un’occasione per l’avvio di ulteriori ostilità contro lo Stato etiope.

Il focus dei colloqui di Kinshasa si è nuovamente spostato sulla questione di chi abbia il diritto di sovrintendere all’intero tavolo negoziale. L’Unione africana continua a voler prendere l’iniziativa di un nuovo processo, nonostante fino a questo momento non sia riuscita a ottenere un accordo. Nel frattempo, l’Egitto ha suggerito di coinvolgere una più ampia varietà di attori, tra cui l’Onu, l’Ue e gli Stati Uniti, con l’obiettivo di internazionalizzare la gestione della crisi. 

Tuttavia, la retorica bellicosa che permea da anni i negoziati quasi sicuramente non porterà ad un conflitto aperto sulle acque del Nilo. Di fatto, diversi analisti concordano nel considerare la guerra tra i tre Paesi un’eventualità per il momento ancora remota.

*Uomini al lavoro sulla diga Gerd [crediti foto: Jacey Fortin, CC BY-SA 4.0]
Anthea Favoriti
Nata nelle Marche, cresciuta in Toscana, adottata da Roma. Ho studiato Lingue Orientali (arabo e persiano) presso l’Università Sapienza di Roma e MENA Politics poi presso l’Università degli Studi di Torino. Amante dei viaggi in solitaria e dei soggiorni all’estero, passo il tempo libero a organizzare possibili itinerari e a collezionare mappe.

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