Cosa è successo a Beirut
Pur non avendo un bilancio finale esaustivo in quanto ci sono ancora molti dispersi, si contano più di 100 morti e 4mila feriti. A questi si aggiungono 300mila sfollati che hanno visto le loro case distrutte, mentre tra i residenti chi può lascia la città per non esporsi ad aria altamente tossica, seguendo l’invito del ministro della salute. L’esplosione non ha solo devastato il porto di Beirut ma ha investito anche diversi quartieri del centro, provocando inoltre un terremoto di magnitudo 3.5 che si è sentito fino a Cipro, a circa 200 chilometri di distanza.
Per quanto riguarda l’origine dell’esplosione, ciò che è al momento certo è che questa sia legata a un’enorme quantità di nitrato di ammonio (2750 tonnellate), sostanza che si trova in commercio come fertilizzante, ma che può essere usata anche per produrre esplosivo. Questo si trovava in origine su una nave battente bandiera moldava, la Rhosus, sequestrata dalle autorità libanesi nell’ottobre 2013, spostato poi probabilmente dentro uno degli hangar più grandi del porto di Beirut e lì abbandonato. Si parla di sei lettere che, tra il 2013 e il 2017, i funzionari delle dogane avrebbero inviato agli uffici amministrativi preposti per chiedere di ordinare che tale materiale, altamente pericoloso, venisse rimosso. Non ottennero nessuna risposta e a distanza di tre anni dall’ultima lettera, il carico si trovava ancora nell’hangar.
Le dinamiche da chiarire sull’esplosione
Sulla natura dell’accaduto e sulle responsabilità si rincorrono le ipotesi. C’è chi non pensa a un incidente e ha rimandato alle recenti tensioni tra Israele ed Hezbollah, gruppo islamista sciita radicale che opera per lo più nel Sud del Libano, ipotizzando un attacco di Israele, che però smentisce. Altra coincidenza che non è passata inosservata è il tempismo della tragedia, avvenuta a ridosso del verdetto (previsto per venerdì) del processo contro le persone accusate dell’omicidio di Rafic Hariri, primo ministro libanese vittima nel febbraio 2005 di un attentato destinato a cambiare la storia del Paese.
Certa è la gravità della presenza di un materiale di tale pericolosità in una zona centrale, nelle vicinanze della quale c’era tra l’altro un deposito di fuochi d’artificio: elemento che solleva dubbi sull’assenza di gestione e attenzione della dirigenza amministrativa di uno dei porti più importanti del Mediterraneo Orientale. Aspetti per i quali qualcuno, nei prossimi tempi, dovrà sicuramente rispondere.
Come stava il Libano
Beirut è una città tristemente abituata alle difficoltà: è infatti segnata da 15 anni di guerra civile, attentati suicidi, bombardamenti israeliani e omicidi politici, ai quali si aggiunge ora quest’esplosione. Quest’ultimo accaduto si colloca però in un periodo in cui il Paese già era in ginocchio, logorato dalle violente proteste antigovernative iniziate nell’autunno 2019, sospese durante la pandemia da Covid-19 e riprese a giugno, da uno dei debiti pubblici più alti al mondo e da una povertà che comincia a colpire molti aspetti della vita quotidiana dei cittadini libanesi. Tra questi, l’accesso all’elettricità: i blackout a Beirut sono diventati infatti sempre più frequenti. Con poco cibo e poco carburante, che manda avanti le centrali elettriche, il Paese è ora impossibilitato ad importare dall’estero, come faceva per la quasi totalità dei beni, avendo il proprio porto principale distrutto. Non solo, alcune infrastrutture fondamentali quali un enorme silo che conteneva le riserve nazionali di grano del Paese sono state distrutte.
Il Libano si ritrova, quindi, con meno di un mese di riserve di grano in suo possesso, 300 mila persone senza più una casa, più di metà della capitale danneggiata, nel pieno della peggior crisi economica dalla fine della guerra civile e una crisi sanitaria mondiale in corso. L’esplosione di martedì scorso costituisce un’ennesima crisi, che potrebbe essere decisiva per un Paese già logorato dalla corruzione politica, impoverito dall’inflazione e dalla disoccupazione e condannato, dalla sua stessa posizione geografica, ad essere oggetto di giochi di poteri esterni.
Di seguito pubblichiamo la testimonianza ricevuta da Annet Henneman, fondatrice del Teatro di Nascosto, gruppo internazionale di attori che lavora su spettacoli e azioni di “Reportage teatrale” per portare le vite di coloro che vivono oppressioni, guerra e occupazione nelle aree del Medio Oriente nei paesi Occidentali.
La stazione di Volterra e l’esplosione a Beirut – L’importanza di un progetto proprio adesso…
Ero a Roma, all’ambasciata palestinese due giorni fa. Un momento bello, l’ambasciata aveva offerto il suo aiuto per trovare fondi per il progetto della sede del Teatro di Nascosto nella stazione di Volterra, un Centro Internazionale di Informazione tramite Arte sui territori in conflitto in Medio Oriente.
Camminavo felice per la città… poi alcune ore dopo, l’esplosione a Beirut. Oh dio mio, Abeer, Abeer, un’ attrice del Gruppo Internazionale del Teatro di Nascosto, anche se non è potuta più venire da quando ha un figlio. È una donna palestinese che vive a Beirut con suo marito ed il figlio di 5 anni… la cerco, mi manda un messaggio vocale, ha la voce sotto shock, mi dice che lei ed il figlio Rahif stanno bene, ma non sa se anche Ayman (suo marito) sta bene, nella casa non ci potranno più vivere. Si era trasferita lì da un mese, era felice. La notte, alle tre, mi scrive che Ayman sta bene, è ferito ma sta bene, che vuole andare via da Beirut e che non vuole che suo figlio vivrà una cosa simile, mai più. L’esplosione, la disperazione, la paura, durante e dopo, il perdere la speranza, l’essere a terra e poi doversi e volersi rialzare… mi porta a nottate passate al telefono con M di Gaza… alle bombe dell’Iraq, alla città di Mosul distrutta… alla distruzione, alla violenza che ho vissuto alcune volte da vicino durante la mia permanenza in queste terre…
Io e tutti del mio gruppo siamo vicini all’enormità della distruzione di Beirut, riviviamo altri momenti di sofferenza, bombe, morti, città distrutte… e siamo, knockout. Difficile pensare ai nostri progetti, difficile vedere, in questo preciso momento, la speranza per un futuro diverso. Difficile essere felici per un progetto come la Stazione. Adesso è la disperazione che mi spinge ad andare avanti. La disperazione perchè loro, quelli che ci devono vivere, dovranno di nuovo iniziare a ricostruire la loro città, le strade, le case, tutto… arriverà il momento che Beirut cadrà nel dimenticatoio… come è successo con Mosul, Siria il Kurdistan, Iraq, Palestina, Yemen… e così dico oggi, DEVO continuare proprio adesso a raccontare, a fare in modo che i progetti intorno alla stazione di Volterra, il festival del Teatro di Nascosto, i nostri spettacoli di teatro reportage, continuano ospitando artisti , musicisti, attori, giornalisti da quelle terre per raccontare la vita di chi vive occupazione, violenza, guerra e oppressione nel Medio Oriente…
P.S. Anni fa Ayman e Abeer mi mostravano orgogliosamente tutti i posti ricostruiti dopo la guerra a Beirut e adesso lui scrive: “Quando mio figlio sarà grande gli mostreremo come avremo ricostruito la nostra città”.
Annet Henneman
*L’esplosione avvenuta a Beirut martedì 4 agosto 2020. [crediti foto: Mojnews from Iran (CC BY-SA 4.0)]