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Perché l’Italia deve risolvere il problema dell’economia sommersa

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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Articolo pubblicato su Business Insider Italia

In Italia, dei 1.750 miliardi di euro di Pil nel 2018 il 10,8 per cento, pari a oltre 191 miliardi, è stato prodotto dall’economia sommersa, ossia l’insieme delle attività produttive legali non regolarmente dichiarate. Con una simile incidenza, il sommerso va considerato componente strutturale dell’economia italiana. Non è trascurabile poiché induce limiti e distorsioni al corretto funzionamento dell’economia e della finanza pubblica.

In primis, l’economia sommersa danneggia la fiscalità pubblica, riducendo gli introiti fiscali e quindi le risorse disponibili allo Stato per finanziarsi. Nel 2017, l’economista Silvia Gatteschi stimava per l’Osservatorio Cpi che “se l’evasione fiscale fosse stata anche solo di un ottavo più bassa di quella effettiva, le entrate pubbliche sarebbero state di almeno 1 punto percentuale di Pil più elevate di quelle effettive”. Per rendere l’idea degli ordini di grandezza in gioco: in termini di spesa, 1 punto percentuale di Pil corrisponde a quasi il 30 per cento della spesa in istruzione per il 2019, che ammontava al 3,6 per cento del Pil. Ipoteticamente, lo Stato avrebbe potuto usare le risorse addizionali per incrementare i fondi per l’istruzione del 30 per cento, investire in sanità, ridurre la pressione fiscale o ancora risparmiare questo punto percentuale di Pil per ridurre il debito pubblico. Se questo fosse stato fatto ogni anno, partendo dal 1980, avremmo ridotto il rapporto debito-Pil “a fine 2017 intorno al 70 per cento, contro un valore stimato del 131,6 per cento”, portando quindi il debito italiano vicino al 65,3 per cento della parsimoniosa Germania. Invece, l’Italia sembra imprigionata in un circolo vizioso dove l’economia sommersa riduce le entrate fiscali, contribuendo a una maggiore pressione fiscale che a sua volta induce un maggior sommerso e una minor crescita, riducendo gli introiti fiscali e costringendo lo Stato ad aumentare ulteriormente la pressione fiscale.

In quanto forma di concorrenza sleale, il sommerso danneggia anche aziende e lavoratori che si muovono nell’economia regolare, permettendo a chi paga meno contributi di offrire prezzi più bassi a fronte di costi fiscali minori. Ciò compromette la concorrenza ai danni delle aziende che operano nell’economia regolare, che sono costrette a ridurre i propri prezzi e quindi i margini di profitto, rimanendo con meno risorse per innovare. Anche le piccole aziende che operano nel sommerso soffrono di queste dinamiche, ma nella forma di disincentivi alla crescita: crescendo, la piccola azienda affronterebbe un maggior rischio di controlli da parte delle autorità e si troverebbe costretta a regolarizzarsi (o a rischiare multe salate), riducendo i propri margini di profitto rispetto ai concorrenti che evadono le tasse.

L’incentivo distorto che ne consegue riduce la crescita delle piccole aziende mentre danneggia quelle che operano nell’economia regolare, che devono competere contro aziende che, pagando meno tasse, possono proporre prezzi migliori. Entrambe rimangono quindi con meno risorse disponibili per innovare, investire e crescere, con conseguenze negative sulla crescita dell’economia italiana. Nel 2016, Emmanuele Bobbio, Senior Economist della Banca d’Italia, stimava, per ragioni analoghe a quelle che abbiamo cercato di riassumere, che “in assenza di evasione il tasso di crescita sarebbe stato l’1,1 per cento anziché lo 0,9” nel periodo dal 1995 al 2006. Una differenza rilevante per un Paese in stagnazione.

Come si muove l’economia sommersa in Italia

Benché strutturale, l’economia sommersa non è costante e tende a espandersi nei periodi di crisi e a ridursi durante le riprese. Ciò accade perché lavoratori e aziende in difficoltà ricorrono al sommerso per sopravvivere, eludendo la pressione fiscale che renderebbe troppo alto il costo del lavoro o insufficienti i ricavi nei periodi di difficoltà. Questo meccanismo è ben evidenziato da uno studio del professor Emilio Colombo dell’Università Milano-Bicocca che dimostra come il sommerso faccia da cuscinetto ed ammortizzatore sociale durante le crisi finanziarie, assorbendo parte dell’attività persa dall’economia osservata. Tuttavia, quella che stiamo vivendo oggi non è una crisi finanziaria. Secondo una tesi proposta dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, lo shock pandemico potrebbe indurre una riduzione significativa dell’economia sommersa in Italia se venissero implementate strategie di emersione mirate a rendere visibili i molti invisibili al fisco che si sono trovati in condizione di non poter accedere agli strumenti di assistenza messi a disposizione dallo Stato.

Insomma, la pandemia potrebbe portare a un cambio di paradigma. È evidente come sia necessario riuscire a trasformare l’attuale circolo vizioso in un circolo virtuoso, nel quale i cittadini si fidano dello Stato e dell’uso che viene fatto dei loro contributi. Ciò permetterebbe un maggiore spazio di manovra al governo, che avrebbe più risorse da investire in servizi, welfare o riduzione del carico fiscale. Inoltre, piccole e medie imprese che oggi hanno incentivi a non innovare pur di sfuggire ad accertamenti tributari, sarebbero spinte a investire e crescere. Per questo bisogna far leva su due fattori principali: incentivi e fiducia nei confronti del governo, elementi che sono venuti a mancare in Italia.

Possibili rimedi

Sorvegliare e punire non può costituire l’unica misura per far emergere l’economia sommersa. Con una pressione fiscale pesante e complessa come quella odierna evadere è tentazione nel migliore dei casi, ma necessità per molti piccoli e medi operatori economici. Probabilmente, intenderà muoversi in questa direzione la riforma dell’Irpef sul tavolo del nuovo governo. Lo scorso esecutivo ha inoltre introdotto misure che fanno leva sugli incentivi di clienti e commercianti a dichiarare transazioni in contante, piuttosto che sulle sanzioni ai loro danni. Si tratta di lotteria degli scontrini e cashback. La prima consiste nella partecipazione a una estrazione con premi pecuniari tramite la presentazione di scontrini, dove ogni euro speso corrisponde a un biglietto virtuale. Il secondo permette di ricevere indietro il dieci per cento della somma spesa in pagamenti elettronici sul conto corrente.

Iniziative come queste incoraggiano sia il consumatore a richiedere lo scontrino, sia gli esercenti a munirsi e utilizzare il Pos. Infine, è importante investire sull’istruzione economica al fine di rendere la popolazione più consapevole dei benefici che pagare le imposte apporta, così da cambiare la mentalità riguardo l’economia sommersa e proporre una prospettiva conveniente dell’adempimento dei doveri fiscali. Tutte queste misure potranno però essere efficaci e durature solo a condizione che il governo italiano riesca ad incanalare i contributi nello sviluppo del welfare, dimostrando ai cittadini che i loro soldi sono ben gestiti ed investiti in servizi che giovano al loro stile di vita.

Testo a cura di Sem Manna, Greta Farina, Riccardo Talini Lapi

*Crediti foto: Sol / Unsplash
Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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