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Yemen: storia silenziosa di conflitti senza fine

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Lo Yemen è un Paese  che negli ultimi anni è stato sconvolto da una sanguinosa guerra civile che sembra non volgere al termine. Spesso dimenticata dalle grandi testate internazionali, la storia di questo Paese però presenta uno scenario segnato dall’assenza di pace che ormai dura dall’inizio degli anni ‘60. In questo breve approfondimento, cerchiamo di descrivere gli sviluppi degli ultimi sette decenni della storia yemenita, per provare a capire come siamo arrivati al conflitto attuale.

Nel 1962, nella parte settentrionale dello Yemen avviene una rivoluzione che scoppia in una guerra civile. Lo scontro vede da una parte il Consiglio del Comando Rivoluzionario, appoggiato da URSS, Siria ed Egitto, che nello stesso anno annuncia la repubblica, e dall’altra parte i monarchici, aiutati dai Sauditi attraverso finanziamenti iniettati grazie alle risorse petrolifere. In questa guerra entra anche il presidente americano Kennedy che inizialmente interviene come mediatore, ma finisce poi per riconoscere la repubblica, insieme alle Nazioni Unite ed altri 50 paesi. Guardando le potenze straniere coinvolte in questo conflitto possiamo subito capire una caratteristica di questi ultimi anni di storia yemenita: i destini di pace e di guerra di questo paese si sono sempre intrecciati e tutt’ora si intersecano con due realtà contemporaneamente, ossia quella del contesto regionale medio orientale, e quella dello scenario internazionale, che coinvolge principalmente Onu e Stati Uniti.

Dopo la rivoluzione del 1962, “all’imam si sostituisce un presidente laico”, come scrive Farian Sabahi, nel suo libro “Storia dello Yemen”. Questo rappresenta un punto di svolta fondamentale nella storia del Paese, tanto che esso non viene accettato dai monarchici, che nel 1968 assediano la capitale Sana’a. Tuttavia, da questo conflitto escono vincitori i repubblicani, che nel 1970 proclamano la prima costituzione della storia yemenita. L’anno successivo infine, avvengono le prime elezioni nazionali.

Il periodo degli anni ‘70 vede due conflitti procedere parallelamente. Da una parte le tribù e i conservatori, che non hanno ancora accettato la spinta repubblicana, si oppongono alla spinta dei “modernisti”, ossia una generazione di giovani yemeniti che ha avuto l’opportunità di studiare all’estero, e che ricerca fortemente una serie di riforme economiche e istituzionali volte a “occidentalizzare” il paese. Dall’altra gli scontri tra Yemen del Nord (Repubblica Araba dello Yemen), di orientamento politico di destra, e Yemen del Sud (Repubblica Democratica Popolare dello Yemen), socialista, marxista e maoista, che sfociano più compiutamente in due guerre di confine, la prima tra il 1972 e il 1973, e la seconda nel 1979.

Il 1978 è un anno cruciale per le sorti dello Yemen: vengono uccisi i due presidenti, del nord e del sud. Emerge quindi in questo contesto la figura di Saleh, un governatore militare che diventa presidente della repubblica del nord. Il suo primo decennio è contraddistinto da una forte spinta economica, che si affianca ad un’attività di pace nei rapporti con lo Yemen del Sud e che porterà, il 22 maggio del 1990, all’unificazione. Non che questo processo sia stato del tutto pacifico: infatti, all’inizio degli anni ‘80 le tensioni tra governo del nord e il Fronte nazionale democratico  (movimento creatosi nel 1976 al sud per rivendicare le istanze socialiste e marxiste e associato al governo del sud) si esplicitano ancora sotto forma di lotta armata. In questo contesto inoltre, nonostante i miglioramenti operati da Saleh, la condizione economica del Paese rimane difficile, in quanto il sistema yemenita è basato fortemente sugli aiuti internazionali e sulle rimesse dei lavoratori yemeniti emigrati in Arabia Saudita e in altri paesi del Golfo.

Il processo di unificazione viene facilitato da due fattori esterni: nel 1988 finisce la guerra tra Iran e Iraq, che porta ad un momentaneo riallineamento della politica araba nell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa), e nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, finisce l’era dell’Unione Sovietica, che per decenni ha sostenuto il governo marxista del sud dello Yemen. Finiti gli aiuti economici e militari al sud, l’unificazione avviene quindi in maniera pacifica.

In un paese che sembra intravedere un futuro forse meno tormentato, nel 1994 scoppia invece un’altra guerra civile. Questo conflitto può servire da “proxy” (modello di paragone) per capire le divisioni principali di questo paese: al conflitto ideologico tra i leader di Sana’a (a nord del paese) e i secessionisti del sud, si aggiungono scontri identitari e settari, ma anche una tensione sul piano economico che risulta fondamentale. Infatti, alla distribuzione diseguale del petrolio, situato per più dell’80% al sud ma canalizzato tutto verso la capitale Sana’a al nord, si aggiunge all’inizio degli anni ‘90 una crisi economica, derivata dalla Prima Guerra del Golfo tra Iraq e Kuwait. Questa porta al rimpatrio più di un milione di yemeniti, espulsi dall’Arabia Saudita dopo che lo Yemen, che nel 1991 è presente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, si astiene nell’imporre sanzioni economiche all’Iraq. Il conseguente calo delle rimesse risulta essere un danno gravissimo per l’economia yemenita, e agisce come fiammifero sulla benzina, facendo scoppiare un’altra, sanguinosissima, guerra civile.

Finita la guerra, nel 1998 la Banca Mondiale elenca lo Yemen tra i paesi più poveri dell’area MENA. A questa situazione economica gravissima si associa l’intensificarsi della minaccia terroristica: nel 2000 infatti, un attentato terroristico ad Aden, nel sud dello Yemen, perpetrato da un gruppo legato ad al-Qaeda, mostra in maniera evidente che anche questo problema non può essere ignorato. Inoltre, al latente scontento del sud secessionista si somma l’inizio del conflitto con gli Houthi nel nord del paese.

Gruppo di rito sciita zaidita, scontenti dalla discriminazione economica e politica attuata dal governo di Sana’a, e avanzando rivendicazioni religiose, dal 2004 al 2010 gli Houthi intraprendono una guerriglia contro il presidente Saleh che contribuisce ad aggravare la stabilità del Paese.

L’inizio delle primavere arabe nel 2011 sembra capitare a pennello per l’ascesa degli Houthi. Infatti, durante questo clima di rivolta generale che attraversa tutta l’area MENA, essi espongono con forza le loro istanze di cambiamento. Nel tentativo di tranquillizzare il clima nel paese, il 27 febbraio del 2012 Saleh lascia il potere al suo vicepresidente Hadi. Tuttavia, questo sforzo risulta inefficace, tanto che nel settembre del 2014, gli Houthi prendono la capitale Sana’a, costringendo Hadi a scappare prima al sud e poi in Arabia Saudita, dove si trova tutt’ora in esilio forzato. È proprio questa la data convenzionale di inizio di una nuova guerra civile.

Per capire il grado di complessità dell’attuale conflitto, che non trattiamo qui nello specifico, basta elencare i principali attori coinvolti. Gli Houthi vengono sostenuti internazionalmente dall’Iran, per la vicinanza religiosa di parte sciita. Le forze “lealiste”, ovvero il governo di Sana’a riconosciuto internazionalmente con a capo formalmente Hadi, sono sostenute da una coalizione internazionale capeggiata dall’Arabia Saudita a cui partecipano anche Stati Uniti, Kuwait, Egitto, Giordania. Riad continua la sua lotta per l’egemonia nella regione contro Tehran, facendo così emergere la dimensione della continua tensione religiosa tra sunniti (Arabia Saudita) e sciiti (Iran). Nel sud le istanze di secessione non si sono fermate, e infatti si è formato il 4 aprile del 2017 il Consiglio di Transizione del Sud, che cerca di sfruttare l’indebolimento del governo centrale da parte degli Houthi per promuovere le sue istanze di indipendenza. I secessionisti sono a loro volta sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti. Infine, gruppi terroristici come IS e al-Qaeda sono presenti nel territorio, e portano avanti la loro lotta jihadista.

In poco più di tre anni la guerra civile tra Houthi e governo ha dilaniato il Paese, e tutt’ora sta causando la più grande crisi umanitaria del mondo. Dal 2015, 85 mila bambini sotto i cinque anni sono morti per malnutrizione o malattia, ed oggi più di 8 milioni di yemeniti soffrono la fame. La cosa più stupefacente riguardo a questo conflitto  è la sua assenza nel dibattito odierno nello scenario internazionale. Nei telegiornali o sulle testate nazionali, raramente si dedica spazio allo Yemen, che è poi di fatto un Paese non così lontano da noi. Così, mentre il mondo va avanti, questa guerra si infiamma sempre di più, e, in maniera silenziosa, consuma una delle più grandi crisi umanitarie della storia recente dell’umanità.

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Luca Zanotti
Nato in Romagna nel 1999. Studio Scienze Politiche all’Università Bocconi e ho passato un semestre all’università di Princeton, negli Stati Uniti. Mi interesso di economia e politica, ma la mia vera passione rimane una sola: l’Inter.

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