Sebbene la storia americana e quella europea siano diverse, esse sono estremamente legate. Inoltre, alcuni aspetti, caratteristiche del sistema economico dei paesi sviluppati, sono stati decisivi nell’ originare quella che viene oggi definita “grande recessione”, riprendendo il termine assegnato alla crisi economica globale che ha contraddistinto il periodo alla fine degli anni Venti all’inizio degli anni Trenta. Tra le tante ragioni che hanno portato allo scoppio della crisi finanziaria negli Stati Uniti, possiamo qui descriverne alcune.
Sicuramente, una di queste è stata la creazione di una vera e propria bolla immobiliare a partire dall’inizio degli anni 2000. I prezzi delle case si erano alzati tantissimo, creando una “bolla speculativa”, ovvero una situazione dove il valore di un bene dettato dal mercato non rispecchia il reale valore del bene stesso. Questo è stato favorito dalla politica monetaria della Fed (Federal Reserve), che ha mantenuto il livello di tassi di interesse molto basso fino al 2004, rendendo il denaro “economico” per chi necessitava di mutui ipotecari, creando così maggiore facilità ad acquisire liquidità per comperare una casa. E’ quindi conseguita una crescita della domanda per le abitazioni, che ha portato ancora un aumento del valore degli immobili, innescando un circolo vizioso. In questo contesto, il prestito per agenti considerati “a rischio”, ovvero con una prevista difficoltà nel pagare indietro il denaro ricevuto dalle banche, è aumentato in maniera considerevole.
Anche le agenzie di rating hanno giocato un ruolo importante: incapaci con i loro modelli di giudicare in maniera adeguata i prodotti e anche per la chiara presenza di conflitti di interessi, esse hanno contribuito ad ingigantire la bolla dei cosiddetti “mutui subprime”. Infine, dopo lo scoppio di quest’ultima, avvenuto dopo che la Fed aveva ricominciato ad alzare i tassi di interesse, aumentando così il costo dei mutui da ripagare e i casi di insolvenze di numerose famiglie, gli effetti si sono riversati sull’economia reale: sia negli Stati Uniti che in Europa si è registrata una drastica caduta nei livelli di reddito e di occupazione. In Europa inoltre, questa crisi ha causato la creazione delle basi per la crisi del debito sovrano, scoppiato con la rivelazione del debito greco nell’autunno del 2009.
Un’eccessiva quantità di debito mondiale e di credito e liquidità nell’economia, la creazione di una bolla speculativa e la scarsa capacità di tenere il mercato informato nella corretta maniera da parte degli operatori (agenzie di rating incluse) sono da annoverare tra le maggiori cause della crisi globale che abbiamo visto esplodere dieci anni fa. La domanda che oggi ci poniamo è se esistono, guardando alla situazione globale attuale, segnali simili, che mirano nella stessano direzione. L’edizione del 11 ottobre 2018 de The Economist intitolava “The Next Recession”, ovvero “La prossima recessione”. Scritto senza punto interrogativo, la testata inglese non mette in discussione l’avvento di una “prossima recessione”, che viene anche annunciata come vicina. La stessa linea è stata seguita nei mesi scorsi da numerosi funzionari del FMI (Fondo Monetario Internazionale), che stanno profondamente cercando di mettere in guardia i governi nazionali e le istituzioni internazionali della necessità di un’azione coordinata per attrezzarsi ad affrontare l’avvento del prossimo stop dell’economia globale. Sebbene molti economisti riconoscono che i segnali del sistema economico rimangono positivi per il 2019, essi sono tutti volti a cercare di capire gli attuali rischi per trovare ora le misure preventive per una recessione che si prevede arrivare nel futuro.
Il primo fattore da considerare è che la crisi, specialmente in Europa, che è derivata anche e soprattutto per una quantità di debito eccessiva, è stata curata, in maniera “omeopatica”, con la creazione di ulteriore debito. I governi hanno nei recenti anni implementato politiche fiscali espansive per stimolare l’economia, cercando di sviluppare crescita e occupazione, e anche le banche centrali hanno compiuto politiche monetarie a loro volta fortemente espansive, sempre tentando di marciare nella stessa direzione, oltre a cercare di salvare numerosi stati dalla crisi del debito sovrano. Infatti, in Europa, nel 2015 il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha lanciato l’inizio del quantitative easing (QE), ovvero un’azione straordinaria che prevede l’acquisto massiccio di titoli di stato da parte della BCE. Questa politica monetaria non convenzionale ha aiutato a fronteggiare la crisi all’interno dell’Eurozona, ma essa sta giungendo al termine, e la normalizzazione della politica monetaria rappresenterà una grande sfida per i paesi europei. E’ quindi chiaro come ci troveremo presto ad affrontare lo stesso problema già vissuto in precedenza, ovvero un’eccessiva quantità di debito nell’economia mondiale da cercare di ridurre con i vari strumenti a disposizione.
Un secondo aspetto da tenere in considerazione è il prezzo generale degli asset nell’economia oggi. Come scritto in articolo sul Financial Times dell’11 settembre 2018, “asset prices: most are frothy, if not in bubble territory”, sottolineando come si stia nuovamente creando una bolla speculativa nel mercato finanziario. Ancora una volta, il mercato sembra essere privo delle misure di sicurezza necessarie che possano rendere esso più facile da comprendere, riducendo l’asimmetria informativa fra aziende e investitori e creditori.
Il terzo fattore da tenere in considerazione riguarda invece le potenziali crisi che potrebbero scoppiare o che sono recentemente esplose, sia geopolitiche, che nelle relazioni internazionali, che nei rapporti commerciali. L’esempio più eclatante è certamente il conflitto protezionistico tra il presidente americano Trump e il leader cinese Xi Jinping. In particolare, la grande volatilità degli atteggiamenti del primo contribuisce a rendere lo scenario politico internazionale sempre più difficile da analizzare, creando una crescente incertezza nei mercati, i quali si trovano spesso a reagire in maniera eccessiva ad azioni dell’amministrazione americana. Oltre a questo, la crisi del Regno Unito nel fronteggiare la Brexit e le difficoltà riscontrate dall’Italia nel negoziare una manovra sul debito italiano rendono anche il futuro dell’Unione Europea pieno di interrogativi, viste le sempre più vicine elezioni di maggio.
Appare quindi chiaro da questa breve descrizione che lo scenario che ci prepariamo ad affrontare non sia identico a quello che vivevamo dieci anni fa, ma presenta comunque dei punti comuni. In questo periodo numerosi economisti stanno alzando le loro voci, cercando di suggerire le migliori politiche per poter prevenire ancora una possibile recessione. Quello che questo breve articolo vuole cercare di proporre e consigliare è quello di avere un poco di “memoria storica”: se è vero che alcune sfide si presentano a noi oggi completamente nuove, alcune altre sono già state affrontate in passato. Possiamo quindi guardarci indietro, analizzare gli eventi avvenuti un decennio fa e cercare di evitare che la stessa crisi scoppi. Questo vale sia a livello micro che macro economico. La realtà si raffigura come molto complicata, ma a volte la risposta può essere nell’avere la capacità di osservare. Come la fiducia, che viene spesso citata come elemento fondamentale nelle dinamiche del mercato, forse anche la “memoria” può giocare un ruolo sostanziale per l’economia globale. Sta solo a noi ora, e specialmente alla nostra classe dirigente, girare la testa indietro e capire il sentiero che abbiamo percorso per trovare la strada giusta verso cui proseguire.