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Gli USA, Trump e l’incubo della guerra civile

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Lo scorso 6 gennaio è ricorso il primo anniversario dell’assalto al Congresso statunitense. Nella memoria collettiva, rimangono indelebili le immagini dei sostenitori di Donald Trump che fanno irruzione nelle aule dell’edificio; fomentati dalle parole dell’ex presidente infatti, i manifestanti cercarono di impedire la certificazione della vittoria di Joe Biden, che successivamente definì la vicenda come un “assalto alla democrazia”. Un anno dopo però, la situazione non sembra essere cambiata ed i sondaggi provano ancora l’esistenza di una spaccatura interna agli Stati Uniti:  il 56% degli elettori americani, infatti, ritiene sia stata commessa un frode nelle elezioni presidenziali del 2020. La narrazione trumpiana della “grande bugia” non accenna quindi a spegnersi ma anzi, sembra essere più viva che mai. L’attacco a Capitol Hill era quindi solo l’inizio?

Il ritorno di Trump: “Truth” e altre tecniche di persuasione

Donald Trump torna a parlare in pubblico dal palco del piccolo villaggio di Florence, in Arizona. I sostenitori dell’ex presidente sono ancora tantissimi, soprattutto donne e uomini tra i quaranta e i sessant’anni, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti meridionali. “Nel 2024 noi ci riprenderemo la Casa Bianca”: anche se il tycoon non annuncia neanche questa volta la propria candidatura ufficiale alle prossime presidenziali, ogni sua parola fa credere che la sua corsa alla Casa Bianca sia già iniziata. Nelle due ore di comizio, Trump attacca Joe Biden, la sua gestione della pandemia e le sue strategie di politica internazionale. Soprattutto però, l’ex presidente appare incapace di digerire la sconfitta dello scorso anno, tornando a parlare di voti rubati e difendendo ancora una volta quei manifestanti che attaccarono il Campidoglio, andati a Washington solo per “rivendicare i propri diritti”.

Trump quindi, non solo ripropone i consueti temi del passato ma anche quella retorica che, secondo alcuni, gli garantì la vittoria nel 2017. “The Donald” sembra quindi  ripercorrere le proprie orme, appoggiandosi ancora una volta alla propria strategia comunicativa, basata sul coinvolgimento emotivo dell’audience e su tecniche di persuasione che, ancora oggi, riescono a fomentare le folle. All’alba del lancio di “Truth”, la piattaforma social trumpiana che si pone come sostituto di Twitter e Facebook dopo il bando dell’ex presidente, molti studiosi hanno individuato in essa lo strumento per tentare la nuova scalata alla Casa Bianca. Il timore condiviso è che, potendo diffondere la propria propaganda senza censure, il tycoon possa di nuovo spingere i propri sostenitori ad un’insurrezione, così come successe lo scorso anno a Capitol Hill.

Gli Stati Uniti sono sull’orlo di una guerra civile?

La narrativa diffusa in questo ultimo anno è quindi riuscita a far presa su una parte consistente dell’opinione pubblica, la quale ora condivide con Trump lo stesso rancore per il cosiddetto “establishment”. Ciò che viene a crearsi è quindi una “crisi di legittimità” per cui qualsiasi elezione americana, il cui risultato non è quello auspicato dai sostenitori dell’ex presidente, potrebbe essere considerata fraudolenta. E questo, come già è successo, porterà alla violenza, alla ribellione: “diventeremo una nazione che accetta la violenza politica come norma?” ha chiesto Biden all’intera nazione ricordando gli eventi del gennaio scorso. Una domanda che testate del calibro del New York Times e del Washington Post . Per farlo, i due quotidiani prendono in esame l’approfondita analisi di Barbara F. Walter, politologa e membro della task force per l’instabilità politica della CIA, contenuta nel libro intitolato How Civil Wars Start, in uscita il prossimo anno.

In esso la Walter passa in rassegna diversi fattori di rischio presenti attualmente nella società americana. L’analista, al termine del suo studio, non esclude che la situazione possa degenerare drammaticamente in occasione delle elezioni presidenziale nel 2024 ed avverte che gli Stati Uniti sono “più vicini alla guerra civile di quanto chiunque di noi vorrebbe credere”. Infatti, osservando la crescita del frazionismo in America, un elemento ricorrente nello sviluppo di guerre civili di molti Paesi, la studiosa crede che la democrazia americana sia già passata attraverso la fase di “pre-insurrezione” e si trovi ora in un vero e proprio “conflitto aperto”.

Ma chi sarebbe in grado di iniziare una guerra civile? Secondo la dottoressa Walter, i fomentatori della violenza civile tendono ad essere gruppi precedentemente dominanti, non più soddisfatti dello stato delle cose che, pur di rivendicare il proprio status, scelgono di usare la violenza. Ciò che preoccupa il mondo intellettuale è che questa definizione descrive perfettamente le frange più estreme a supporto di Trump, a tutti gli effetti delle milizie paramilitari di destra: gli Oath Keepers e i Proud Boys, ad esempio.

Perché si parla di “slow motion coup”

Anche Noam Chomsky, il linguista ed attivista politico più influente degli Stati Uniti, si dice preoccupato per l’escalation di violenza che si sta verificando nel Paese. In una recente intervista, l’intellettuale analizza l’attuale crisi americana affermando che “ciò che ci indebolisce e potrebbe provocare il declino degli Usa è la profonda spaccatura culturale”. Secondo lo studioso infatti, a seguito della polarizzazione politica e sociale in atto, le organizzazioni repubblicane avrebbero dichiarato guerra alla democrazia, cercando di far approvare norme e legislazioni che permettano al Grand Old Party di controllare i risultati delle prossime elezioni. L’idea che Trump e i suoi sostenitori si stiano muovendo nell’ombra per prepararsi al grande evento nel 2024, è in realtà condivisa da molti. Le testate internazionali hanno perfino coniato un’espressione per definire questo particolare fenomeno: “slow motion coup”, un colpo di stato al rallentatore.

Le prove a sostegno di questa tesi sono molte: diversi candidati repubblicani, che ancora negano la sconfitta elettorale di Trump, sono ora in corsa per aggiudicarsi posizioni chiave dalle quali inclinare a proprio piacere l’ago della bilancia nelle prossime elezioni. Non solo: nell’ultimo anno sono stati almeno 19 gli Stati americani a guida repubblicana a varare provvedimenti restrittivi volti a limitare il diritto di voto: ad esempio riducendo le tempistiche per richiedere il voto per corrispondenza o rendendo più complicato l’accesso ai seggi. A fare le spese, sebbene nessun provvedimento legislativo citi direttamente alcuna categoria, sono sicuramente le minoranze razziali, i poveri e gli anziani, così come denunciato dallo stesso presidente Biden.

E se così non fosse? Ecco gli scenari alternativi ad una nuova guerra civile

L’ipotesi dello scoppio di una guerra civile americana è quindi condivisa da gran parte del mondo intellettuale: un recente contributo a sostegno di essa è stato dato dello studio dello scrittore canadese Stephen Marche che, nel suo libro The Next Civil War: Dispatches From the American Future, afferma: “gli Stati Uniti stanno già arrivando all’epilogo”. Tuttavia, anche se esistono diversi punti di vista sulla questione, anche coloro che respingono l’idea di una nuova guerra civile non negano però la crescita di un clima di tensione e divisione potenzialmente pericoloso. Fintan O’Toole, un giornalista irlandese, nella propria recensione del libro di Marche, afferma che sebbene riconosca la reale possibilità che gli Stati Uniti possano andare in pezzi e che ciò possa verificarsi in modo violento, egli crede non si debba inquadrare questa possibilità come inevitabile. Al di là delle personali opinioni in merito, uno sguardo generale sulla vicenda è sufficiente per comprendere che il solo speculare su una possibile guerra civile nella più grande democrazia del mondo, sia già di per sé un chiaro segno di crisi civica.

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