Le proteste in Italia
Nelle ultime settimane l’Italia è stata teatro di numerose proteste anti-lockdown in quasi tutto il territorio nazionale. Da Catania fino a Treviso, le manifestazioni hanno toccato molte città in cui ristoratori, commercianti ed altre categorie colpite direttamente dall’ultimo Dpcm sono scese in piazza per esprimere il proprio dissenso, o semplicemente per dare sfogo a una situazione molto difficile. Alcune dimostrazioni sono state pacifiche, come quella a Treviso, dove si è registrata comunque un’elevata partecipazione (un migliaio circa di manifestanti) e altre più violente, come quelle a Napoli, Torino e Milano, dove ci sono stati veri e propri scontri con la polizia locale.
A Napoli sono avvenute le prime proteste, tra le più accese del Paese. Centinaia di persone si sono radunate in Piazza Plebiscito per protestare contro i nuovi provvedimenti anticovid da parte del governo e della Regione Campania. Il 26 ottobre a Milano un corteo spontaneo ha attraversato le strade del centro bloccando il traffico per diversi minuti. Tutto è iniziato con un presidio di fronte alla Regione organizzato dai lavoratori delle sale slot. Una seconda manifestazione si è svolta invece in serata lungo corso Buenos Aires, dove un corteo ha occupato la via e si è diretto verso il centro. A Torino si sono ritrovate in piazza Castello circa 400 persone, tra cui una cinquantina di ultrà.
L’allarme del Viminale
All’alba delle prime proteste il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese aveva già dichiarato: “Il rischio di tensioni è concreto, a settembre e ottobre ci sono stati gli esiti della grave crisi economica. C’è un atteggiamento di violenza verso forze di Polizia, che tutelano l’ordine democratico e la sicurezza dei cittadini. I comportamenti violenti nei loro confronti sono da condannare.” Dal Ministero dell’Interno emerge una seria preoccupazione per le conseguenze sociali delle nuove restrizioni. Il Ministero e il Dipartimento della pubblica sicurezza sono in costante contatto con prefetti e rappresentanti locali delle forze di polizia proprio per rimodulare la strategia e mettere in campo ogni intervento per intercettare le possibili situazioni più a rischio prima che esplodano o si trasformino in veicolo per i più violenti. Sempre nell’ottica, viene ripetuto, della “massima fermezza”.
Secondo il Ministero dell’Interno, le proteste non hanno una regia unica, ma sono comunque riconducibili ad antagonisti di destra e di sinistra, ultras e elementi legati alla criminalità. In particolare in contesti come la Campania e la Sicilia, dove le proteste potrebbero essere state orchestrate da camorra e mafia, e più marginalmente da gruppi di estrema destra. A Napoli e a Catania il radicamento di movimenti neofascisti è trascurabile, mentre l’impatto dell’estrema destra nelle proteste ha assunto maggior rilievo a Roma, dove Forza Nuova ha organizzato la protesta anticovid. Anche nella Capitale gli scontri sono stati violenti: diversi manifestanti hanno lanciato pietre e bottiglie verso gli agenti.
Le categorie colpite dal Dpcm
L’opinione diffusa è che la violenza rilevata nelle manifestazioni sia stata fomentata in modo organizzato da gruppi neofascisti e dalla mafia, che hanno approfittato della tensione per raccogliere adepti per le proprie cause. Si tratta tuttavia di una spiegazione parziale che non coglie la complessità delle dinamiche socio-economiche degli ultimi decenni. Il documentarista e ricercatore Marcello Anselmo spiega che chi ha risentito di più della prima fase di chiusura in primavera sono stati i lavoratori in nero: dalle lavoratrici domestiche ai parcheggiatori fino ai lavoratori della ristorazione e del turismo. “Molti hanno fatto fatica ad accedere ai sussidi, dai buoni spesa alla cassa integrazione, per l’impossibilità di formalizzare le loro richieste a causa del lavoro nero o grigio”, spiega Anselmo. Una cospicua fetta di lavoratori che è stata coinvolta in politiche di riqualificazione e gentrificazione che non hanno lasciato spazio nelle nuove comunità.
Sono dunque i ristoratori, i commercianti ed i proprietari di palestre e centri sportivi tra le categorie più colpite per via delle chiusure massicce in tutta Italia. Ma non le uniche: a Napoli uno dei gruppi che sta protestando da più tempo è quello degli insegnanti e dei genitori che criticano la decisione del governatore Vincenzo De Luca di aver chiuso le scuole e ne chiedono l’immediata riapertura. Anche il mondo dello spettacolo in prima fila nelle proteste: chi lavora nel settore della cultura chiede ammortizzatori fino alla fine dell’emergenza, reddito di continuità per gli intermittenti e stabilizzazione dei precari. A Torino migliaia di lavoratori del mondo dello spettacolo si sono riuniti in piazza Castello per la manifestazione regionale unitaria sindacale Cgil-Cisl-Uil Spettacolo chiedendo un reddito garantito per tutta la categoria. Senza contare l’effetto su bambini ed adolescenti sulla chiusura delle scuole, a livello di percorso formativo ed educativo. Ad esacerbare ancora di più l’impatto, soprattutto nelle aree più povere, è il divario digitale, che colpisce in gran parte le aree interne e scarsamente collegate con il resto del territorio, ovvero il divario che c’è tra chi ha un accesso adeguato ad internet ed alle tecnologie dell’informazione e chi non ce l’ha (per scelta o no, ma quasi sempre non per scelta).
L’Italia del Covid-19: rabbia ed incertezza
Le ragioni della rabbia sociale partono da lontano, e non si possono spiegare solo con le infiltrazioni della mafia e dell’estrema destra. Un rapporto di Sgw sugli umori degli italiani ci consegna un quadro preoccupante: il sentimento più comune è proprio la rabbia, seguita da incertezza e paura, e la fiducia sia verso il Governo (con un voto medio 5,0), sia verso le opposizioni è piuttosto bassa (voto medio 4,2). Resta alta la fiducia verso i medici e gli infermieri, ma scarsa verso il sistema sanitario che, in contesti come Campania e Calabria, ha mostrato tutte le proprie fragilità. Secondo il rapporto Sgw, quasi la metà della popolazione non crede che il vaccino per il Covid-19 sarà particolarmente efficace, e il 38% non è sicuro di sottoporsi alla vaccinazione.
Le disuguaglianze con il Covid-19
Come testimoniano la protesta dei riders a Bologna e quella dei lavoratori dello spettacolo (per citarne alcune) a pagare la crisi da Coronavirus sono soprattutto le fasce più deboli della società, a livello economico e sociale. Nelle piazze di tutta Italia migliaia di persone erano semplicemente lavoratori, spesso precari o talvolta disoccupati, che erano già stati travolti dalla crisi economica del 2008 e da decenni di crescita inesistente accompagnata da una mancata crescita dei salari, travolti anch’essi dalla pandemia. I giovani e le donne sembrano essere i più colpiti da questa pandemia: un rapporto dell’Istat mostra come la disoccupazione giovanile sia aumentata dal 23% al 31% da maggio a luglio di quest’anno, contro un aumento nazionale da 7.8% a 9%. Le donne non hanno beneficiato dello Smart Working, che in un contesto come quello italiano dove il carico della famiglia è ancora quasi completamente un fardello femminile, sono state sottoposte a livelli di stress familiare e lavorativo molto elevati. Senza contare il fatto che il 50% delle donne occupate in Italia lavora nel part-time, e in settori generalmente a bassa remunerazione.
Il Covid-19 ha quindi prodotto dei gravi passi indietro rispetto alla disparità intergenerazionale e di genere. L’effetto sulla povertà è stato anch’esso rilevante: secondo quanto dichiarato dalla Caritas nel suo Rapporto Povertà, su 450mila persone assistite nel periodo maggio-settembre 2020, confrontato con gli stessi mesi del 2019, l’incidenza dei “nuovi poveri” per effetto dell’emergenza Covid è salita dal 31% al 45%. Come riporta un articolo del Sole 24Ore, dall’inizio della pandemia al 24 giugno 2020 il Banco Alimentare ha assistito 2,1 milioni di persone, contro gli 1,5 milioni prima del Covid-19, di cui il 34% sono stati certificati come nuovi poveri.
Una situazione quindi che era già precaria all’alba della pandemia, e che è ha mostrato i suoi toni più duri con il Coronavirus. Queste considerazioni ci aiutano a comprendere le ragioni insite nella rabbia sociale divampata in queste settimane, al di là del recinto della (spesso comoda) attribuzione della colpa solo a mafia e fascisti, per evitare di confrontarsi direttamente con realtà socio-economiche drammatiche.