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Perché il vaccino per il Covid-19 aumenterà le disuguaglianze globali

Tempo di lettura stimato: 6 min.

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Il virus SARS-coV-2 ha compiuto un anno dalla sua prima segnalazione. Questi dodici mesi hanno avuto un impatto drammatico in tutti i Paesi, in alcuni più che in altri. Tuttavia, le disparità innescate dalla pandemia non si misurano solo in termini di casi totali, ricoveri in terapie intensive e decessi. Il Covid-19 si lascerà dietro un’altra eredità, data da un ulteriore inasprimento del divario tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo. Molto probabilmente, questi ultimi non riceveranno in tempi brevi le dosi di vaccino necessarie a causa delle scarse disponibilità economiche. Proviamo ad analizzare la situazione.

La circolazione eterogenea del virus

La diffusione del virus non è stata omogenea a livello globale. Nel primo trimestre dell’anno, la concentrazione di Covid-19 è stata localizzata prevalentemente in Cina, nei Paesi europei e negli Stati Uniti. Dopo il mese di marzo, il virus ha iniziato ad avere un impatto altrettanto grave in Medio Oriente e ha travolto il Sud America, a cominciare da Ecuador, Brasile e Perù. Se inizialmente il continente africano e quello oceanico sembravano aver evitato la diffusione dei contagi, la situazione si è ribaltata tra giugno e luglio. Ad oggi, pare che nessun Paese sia stato risparmiato, anche se il virus ha colpito in maniera diversa non solo nelle tempistiche, ma anche nelle modalità.

Nei Paesi ad alto reddito, l’87% delle morti da Covid-19 ha riguardato persone di età maggiore o uguale a 70 anni. Nei Paesi a medio e basso reddito invece la percentuale di persone anziane decedute è solo il 37%. Secondo la Banca mondiale, uno dei motivi potrebbe essere collegato al fatto che in questi Paesi la popolazione è nettamente più giovane. Ma non è solo questo fenomeno a provocare le divergenze nel numero di decessi.

Le differenze in mortalità tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo

Il report della Banca mondiale offre infatti diverse spiegazioni. Ad esempio, nei Paesi ricchi un’alta percentuale di anziani con malattie pregresse risiede in centri di cura, che possono trasformarsi in focolai difficilmente controllabili. Negli Stati a medio e basso reddito gli anziani invece tendono a vivere nelle proprie case e, di conseguenza, sono meno esposti al virus. Un altro fattore sottolineato è quello del ritardo nella manifestazione del virus nei Paesi in via di sviluppo, che avrebbe consentito loro di prepararsi all’emergenza sanitaria.

Una terza variabile messa in luce è la maggiore incidenza di malattie cardiovascolari, di problemi renali e polmonari nella popolazione giovane e adulta dei Paesi a medio e basso reddito. Da uno studio che confronta Italia, Nigeria e Brasile emerge come nei Paesi più poveri infatti queste malattie abbiano un’incidenza relativamente bassa nella popolazione anziana, mentre colpiscono molto i più giovani e gli adulti, i quali sono più a rischio di avere danni gravi da Covid-19 rispetto agli anziani. Il pericolo è dunque più elevato in quanto distribuito su tutta la popolazione, ponendo un’ulteriore urgenza di intervento.

Disparità anche nello sviluppo del vaccino anti-Covid

Secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), aggiornati al 12 Novembre 2020, 48 sono i vaccini già in fase di sperimentazione clinica sull’uomo.
In questa prima fase ricerca, si sono distinte le potenze mondiali come Stati Uniti, Cina e Paesi europei. Molti dei Paesi più piccoli o in via di sviluppo non hanno dato inizio a sperimentazioni, o, se lo hanno fatto, si trovano ancora tra i 164 progetti in fase iniziale.

Ad oggi, i vaccini già pronti e con un livello di efficacia superiore al 90% sono tre e sono tutti stati sviluppati nei laboratori “occidentali”: il vaccino di Moderna, società di biotecnologie con sede a Cambridge, nel Massachusetts, il vaccino di Pfizer-BionTech, unione di un colosso farmaceutico statunitense e una Biotech tedesca, e quello dell’inglese AstraZeneca, sviluppato insieme all’Università di Oxford.

La corsa ai vaccini

Una questione diventata prioritaria nelle ultime settimane riguarda il piano di distribuzione dei vaccini. Il nodo principale sta nel fatto che, almeno nel primo periodo, non sarà possibile avere un numero di dosi sufficiente a soddisfare la domanda di tutti i Paesi. Il rischio è che la distribuzione prenda una linea prettamente “nazionalista”, con una lotta tra Paesi per acquistare per primi le dosi di vaccino disponibili. Tuttavia, in questa corsa non sono tutti allo stesso livello. I Paesi più ricchi hanno a disposizione maggiori risorse economiche da investire in accordi di distribuzione e saranno i primi ad iniziare le campagne di vaccinazione. Basti pensare agli Stati che le hanno già avviate: Gran Bretagna, Cina ed Emirati Arabi, a cui si aggiungeranno a breve anche Stati Uniti ed Europa. Secondo le stime più recenti, il 14% della popolazione mondiale si è assicurato il 53% dei vaccini pronti. I prezzi dei vaccini già disponibili sono piuttosto alti e vanno dai $19,50 per dose di Pfizer ai $25 di Moderna. Oltre ai costi elevati e al minor potere di contrattazione, i Paesi a basso reddito potrebbero riscontrare problemi anche nella corretta conservazione del vaccino.

Come evitare un incremento delle disuguaglianze a livello globale? 

Le soluzioni attuali per un più equo accesso ai vaccini sono poche. Prima fra tutte, troviamo Covax, un’iniziativa internazionale diretta da Cepi, Gavi e Oms. Covax collabora con governi e aziende farmaceutiche per assicurare una distribuzione più omogenea delle dosi, includendo nei piani i Paesi meno sviluppati. Lo scopo principale è quello di concordare forniture con le aziende farmaceutiche e garantire una certa quantità di vaccino agli Stati che aderiscono. Gli acquisti non vengono effettuati direttamente dai Paesi richiedenti, ma da un fondo comune, finanziato dai contributi versati dai Paesi aderenti in proporzione ai quantitativi richiesti. Inoltre, per i Paesi a medio-basso reddito, è previsto un fondo a parte, stanziato dall’Official Development Assistance, un circuito di supporto internazionale.

Un altro punto di riferimento è il vaccino di Oxford-AstraZeneca. L’azienda farmaceutica si è infatti impegnata a fornire il 64% delle dosi alle aree più povere del pianeta a prezzi calmierati. Una parte della produzione verrà affidata al Serum Institute in India, che provvederà anche alla distribuzione di 1 miliardo di dosi per i suoi cittadini e per i Paesi in via di sviluppo.

Tuttavia, questi provvedimenti non sono sufficienti. Secondo People’s Vaccine Alliance, un’organizzazione formata da Amnesty international, Oxfam e altre ong, in almeno 67 Paesi a basso reddito 9 persone su 10 non avranno accesso al vaccino entro la fine del 2021. In 5 di questi– Kenya, Myanmar, Nigeria, Pakistan e Ucraina – sono stati registrati quasi 1,5 milioni di contagi.  

Cosa succederà nei Paesi che avranno il vaccino in ritardo?

Secondo uno studio della John Hopkins Bloomberg School of Public Health, se la situazione non dovesse migliorare, la mancanza o il peggioramento dei servizi sanitari nei Paesi a medio e basso reddito avrà un impatto grave sui bambini: nel miglior scenario ipotizzato, nel giro di sei mesi le morti pediatriche potranno aumentare di 253.500 unità, e di 1.157.000 unità nello scenario peggiore. Questo sarà causato da un aumento nell’incidenza di polmoniti, sepsi neonatale e diarrea nei neonati dovuto a un minore o assente uso di antibiotici. Anche il numero di morti da parto aumenterà notevolmente, con il 60% delle morti addizionali delle partorienti causato dalla diminuzione di antibiotici, anticonvulsivanti e farmaci uterotonici. Oltre a ciò, la precarietà sanitaria in questi Paesi potrebbe contribuire a un nuovo aumento nei casi di Hiv nei giovani, sia a causa della sospensione delle attività di prevenzione sia per il mancato accesso alle cure per un periodo troppo prolungato. 

Gli effetti dei piani di distribuzione internazionali saranno visibili nei prossimi mesi, e solo allora potremo constatare le conseguenze di potenziali ritardi nei Paesi meno sviluppati. Le decisioni dei singoli governi e delle organizzazioni internazionali avranno un impatto fondamentale sui risultati e sui diritti sanitari degli anni a venire.

Testo a cura di Giada Garofani e Sofia Sacco

Redazione
Orizzonti Politici è un think tank di studenti e giovani professionisti che condividono la passione per la politica e l’economia. Il nostro desiderio è quello di trasmettere le conoscenze apprese sui banchi universitari e in ambito professionale, per contribuire al processo di costruzione dell’opinione pubblica e di policy-making nel nostro Paese.

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