Uno sguardo storico
Le operazioni di “falsa bandiera” sono delle tattiche usate in ambito militare e di intelligence; l’obiettivo è quello di, una volta compiuta una certa azione, far ricadere la colpa su un altro soggetto. L’operazione, quindi, consiste nel tentativo di un agente A che, dopo aver portato a compimento una certa azione, cerca di addossare la colpa ad un agente B. Storicamente, l’espressione ha origine nella metà del XVI secolo, e rappresenta “una deliberata falsa rappresentazione dell’affiliazione o dei motivi di qualcuno”. Solo nel XX secolo il termine ha iniziato ad avere un senso letterario, e non più figurato: infatti, indicava la pratica delle navi (solitamente piratesche) di usare bandiere di Stati diversi dal proprio, in modo tale da far travisare i reali intenti o la vera nazionalità dell’imbarcazione.
Il diritto internazionale riguardo le false flag operations si divide tra le operazioni marittime e quelle terrestri: le azioni militari di terra effettuate con l’uso improprio e ingannevole di emblemi o segni di riconoscimenti è vietato della Dichiarazione di Ginevra. Infatti, secondo l’articolo 39 del Protocollo aggiuntivo siglato nel 1977, “è vietato fare uso, in un conflitto armato, delle bandiere o degli emblemi militari, delle insegne o delle uniformi di Stati neutrali o di altri Stati che non sono parti del conflitto”. Al contrario, secondo il diritto internazionale, le navi da guerra possono mostrare la bandiera di uno Stato terzo dal conflitto, mentre è vietato solo lo scontro a fuoco se iniziato o perpetrato esponendo un vessillo estraneo alle parti coinvolte dal conflitto. In generale, l’uso di tattiche simili ha come obiettivo principale quello di far suscitare nella popolazione solidarietà nei confronti di un gruppo o di promuovere una certa agenda. Di solito, lo scopo è quello di far sembrare che lo Stato sia sotto attacco da un determinato agente (sia esso statale o non-statale), così da giustificare l’attacco contro il presunto aggressore.
Storicamente, vi sono innumerevoli casi (famosi) dell’uso delle operazioni di “falsa bandiera”. Il più celebre è rappresentato senza dubbio dal cosiddetto “incidente di Gleiwitz” (oggi Gliwice, in Polonia); il 31 agosto 1939, sette agenti della Gestapo (la polizia segreta nazista) indossarono le divise dell’esercito polacco ed inscenarono un attacco contro la stazione radio tedesca di Gleiwitz, fornendo il pretesto ad Hitler per dichiarare guerra alla Polonia il 1° settembre 1939, e dando così inizio alla seconda guerra mondiale. Nello stesso conflitto, anche gli Alleati misero in atto operazioni simili: ad esempio, nel 1942, le navi britanniche adibite all’attacco del porto francese di St. Nazaire (Operazione Chariot) issarono la bandiera della Kriegsmarine, la forza navale nazista, in modo tale da superare le navi tedesche a difesa del porto e rendere impossibile l’uso della base in Francia come approdo per le navi da guerra. Ma non tutte le false flag operations vengono effettuate in tempi di guerra: attraverso l’incendio del Reichstag (il parlamento tedesco) per ordine di Hitler nel 1933, il partito nazista addossò la colpa ai comunisti con l’intento di aumentare il proprio potere ed eliminare l’opposizione politica. Durante la guerra fredda, sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti fecero ricorso a tali tattiche. Per esempio, i Sovietici fecero uso di spie infiltrate all’interno delle istituzioni cecoslovacche pro-democrazia per produrre prove false di un tentativo di colpo di Stato contro il potere centrale comunista. Tale manovra fu attuata allo scopo di giustificare l’invasione della Cecoslovacchia e la successiva repressione della “Primavera di Praga” del 1968. Più controverse sono le prove legate al cosiddetto “incidente del Golfo del Tonchino”, che diede il pretesto agli statunitensi di dichiarare guerra al Vietnam. Secondo le ricostruzioni americane, delle navi nord-vietnamite avevano sparato contro il cacciatorpediniere USS Maddox in due occasioni diverse; tuttavia, una volta desecretati i documenti ufficiali avrebbero smentito la ricostruzione, rendendo più plausibile l’ipotesi di un “incidente artificiale”. Più recente, invece, è la prova fornita nel 2003, davanti alle Nazioni Unite, dall’ex Segretario di Stato Statunitense Powell, il quale cercò di dimostrare l’esistenza di armi di distruzione di massa detenute dall’Iraq. Tale prova segnò l’inizio dell’invasione dell’Iraq, ma le armi di distruzione di massa non vennero mai trovate.
La guerra in Ucraina
Con l’inizio dell’invasione illegittima dell’Ucraina da parte della Russia, le nazioni del mondo hanno prestato sempre più attenzione alle operazioni di falsa bandiera ed ai rischi connessi ad esse, soprattutto dal momento che l’uso di tattiche simili in questa guerra potrebbe provocare una terribile escalation tra la NATO e la Russia. Già agli inizi di gennaio del 2022 l’intelligence USA aveva messo in guardia da possibili azioni militari russe volte a “fabbricare il pretesto per un’invasione”; alcune delle tattiche ideate erano attacchi contro soldati russi o delle sedicenti repubbliche separatiste, oppure contro la popolazione russofona, facendo in seguito ricadere la colpa sugli ucraini. Durante il corso della guerra, poi, la Russia ha più volte fatto riferimento ad un fantomatico uso della “bomba sporca” -un ordigno contenente materiale radioattivo- da parte dell’Ucraina per contaminare le zone di Kherson. Tuttavia, anche questa viene ritenuta da alcuni analisti come una possibile operazione di false flag, dal momento che i russi potrebbero far riferimento ad esempi simili per giustificare o mascherare le proprie azioni.
La Russia, d’altra parte, è famosa per la dottrina strategica che segue, che fa della guerra ibrida il principale mezzo per portare avanti la propria agenda, sia in tempi di pace che di guerra. La guerra ibrida (hybrid warfare) raggruppa l’insieme di pratiche che combinano metodi convenzionali con metodi non convenzionali, principalmente diretti contro la popolazione, come ad esempio la disinformazione, la pressione economica, cyber attacchi, l’uso di milizie irregolari al posto dell’esercito regolare. Le operazioni di false flag solo legate alla maskirovka (che a sua volta rientra nelle tattiche di guerra ibrida), ovvero l’insieme di tecniche tra cui il camuffamento, lo spionaggio e l’uso della propaganda e della sovversione.
Le false flag operations 2.0: il campo cyber
Con lo sviluppo del mondo digitale, le operazioni di falsa bandiera hanno preso piede anche nel dominio cyber. La tecnica è la medesima, ma tramutata in minaccia cibernetica: hacker singoli o in gruppo cercano di compiere un attacco utilizzando tecniche, modalità, strumenti e lingua usati da altri gruppi di hacker o da altri Stati, così da mascherare la loro reale identità. Un caso di cyber false flag è rappresentato dal Cyber Caliphate nel 2015: un gruppo di hacker riuscì a rimuovere dalla messa in onda il canale francese TV5Monde, nonché a danneggiare i computer collegati. La rivendicazione di tale attacco venne avanzata da un gruppo che si faceva chiamare Cyber Caliphate ed era affiliato allo Stato Islamico. Solo più tardi delle investigazioni più approfondite scoprirono che dietro quel gruppo ci fossero in realtà degli hackers russi, che tentarono di mascherare la loro identità in un momento in cui la Francia era in piena lotta contro l’ISIS (l’attacco avvenne poco dopo l’attentato contro Charlie Hebdo, rendendo più plausibile un’operazione cyber proveniente dal Califfato).