Mentre la Libia si avvia verso quella che probabilmente sarà la terza guerra civile in meno di un decennio, molti ancora faticano a comprendere appieno quali siano le dinamiche che attualmente determinano gli avvenimenti nell’area. Vediamo quindi di ripercorrere velocemente gli eventi di questi ultimi, sanguinosi nove anni di storia libica, cercando di arrivare ad ottenere una visione più completa dello scenario.
Nel febbraio 2011, in piena “primavera araba”, in Libia si scatena la prima guerra civile, tra i sostenitori del dittatore Mu’ammar Gheddafi, in potere dal 1969, e un variegato gruppo di ribelli, sostenitori di diverse ideologie, dal liberalismo democratico, al socialismo, all’integralismo islamico.
La guerra, che vede l’intervento di numerose potenze occidentali dopo la Risoluzione ONU 1973, si concluderà nell’ottobre, con la caduta dell’ultima città leale a Gheddafi, Bani Walid. L’ex dittatore viene catturato vicino a Sirte e giustiziato, mentre in Occidente già si festeggia l’arrivo della democrazia in Libia.
E’ soltanto alla fine della guerra, però, che iniziano a germogliare i problemi che oggi osserviamo.
La totale mancanza di partiti e sindacati durante il regime di Gheddafi e il crollo del suo governo lasciano un impressionante vuoto di potere sul territorio, e centinaia di milizie armate, animate da ideali molto diversi gli uni dagli altri, pronte a contenderselo. A questa situazione esplosiva si aggiunge il disinteresse della comunità internazionale, ormai convinta dell’imminente transizione democratica libica.
Il periodo 2011-2014 vede quindi susseguirsi un’infruttuosa serie di tentativi di democratizzazione. Nel 2014 si tengono le ennesime elezioni, che causano una nuova serie di scontri, e costringono la neo-eletta Camera dei Rappresentanti a fuggire verso est, in Cirenaica, a Tobruk. Il vuoto lasciato a Tripoli, la capitale, fu occupato da un gruppo islamista (la “Coalizione Alba Libica”) che si proclama indipendente.
Visto l’emergere di gruppi religiosi al potere, il generale Khalifa Haftar, ex sostenitore di Gheddafi, in quel momento negli Stati Uniti, decide di tornare in Libia per liberarla dalla minaccia dell’integralismo religioso. La comunità internazionale lo appoggia, legittimando, di fatto, la sua posizione come leader della Camera dei Rappresentanti, il cosiddetto “governo orientale”, data la sua posizione a Tobruk.
Lo scenario, però, si modifica ulteriormente quando, nell’ottobre 2015, le Nazioni Unite dichiarano la necessità di creare un governo libico di unità nazionale. Alla guida di questo c’è Fayez al Serraj, ex funzionario di Gheddafi e personalità teoricamente in grado di promuovere la collaborazione tra i vari schieramenti. Questo nuovo governo si insedia con fatica a Tripoli e inizia a intrattenere relazioni internazionali, in particolare con il governo italiano.
L’ONU aveva previsto che la Camera dei Rappresentanti, guidata da Haftar, sarebbe stata assorbita dalle nuove istituzioni di unità nazionale, agendo da parlamento. Questo non succede. Spinto dalla volontà di governare l’intera Libia, e lamentando la scarsa legittimità popolare del governo Serraj, Haftar rifiuta di collaborare. Di lì a poco la città di Derna e le aree circostanti, poste fra Tripoli e Tobruk dichiarano la loro affiliazione allo Stato Islamico dell’autoproclamato califfo Al-Baghdadi, emergendo come terzo giocatore sullo scacchiere, e dando inizio alla seconda guerra civile libica.
Questa nuova guerra vede i due governi attaccare contemporaneamente l’ISIS, da due fronti, riuscendo quindi ad allontanarli da Derna e successivamente da Sirte, anche grazie a un massiccio supporto aereo statunitense.
Durante queste offensive, appare evidente come la leadership di Haftar sia più efficace: egli riesce infatti ad organizzare un esercito e a stringere alleanze con numerosi gruppi armati che vanno ad ingrossarne le fila, e che risulteranno fondamentali nelle vittorie decisive contro le truppe ISIS. Queste, incalzate dall’esercito della Camera dei Rappresentanti, perdono ogni controllo territoriale e si disperdono nel deserto. La figura di Haftar, non quella di Serraj, emerge come quella in grado di respingere la minaccia dell’integralismo religioso. Questo porta numerosi paesi ad appoggiarlo formalmente ed economicamente. Tra questi l’Egitto, la Russia e soprattutto la Francia. Quest’ultima è particolarmente interessata a difendere gli interessi delle sue ex colonie confinanti con la Libia, il Ciad e il Niger, e a limitare la diffusione dell’islamismo in Africa settentrionale.
Al contempo, Serraj non riesce ad effettuare nessun tipo di controllo sul suo territorio, che rimane largamente in mano a gruppi armati indipendenti, come le famigerate milizie di Misurata, che controllano zone cruciali come quelle petrolifere, o attività illecite come il traffico e la detenzione di migranti.
L’Italia, in linea con la maggior parte dell’ONU, appoggia apertamente il governo di Tripoli, e conclude nel 2014 accordi per limitare il numero di partenze di migranti verso le coste italiane. Questa presa di posizione dell’Italia ha confermato quello che già si pensava da anni: Francia e Italia hanno iniziato una sottile competizione per assicurarsi il controllo della Libia alla fine delle ostilità. Gli interessi in gioco sono molteplici, dalle esorbitanti risorse petrolifere, alla possibilità di investimenti, al maggior controllo dei flussi migratori verso l’Europa che inevitabilmente passano per la Libia.
Il 30 giugno 2017, dopo anni di guerriglia tra le parti, il Ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, definisce la Libia (e quindi il governo Serraj) “uno Stato fallito” e dichiara che il maresciallo Haftar è “parte necessaria della soluzione”. Nel luglio, il Presidente francese Macron organizza un summit tra i Haftar e Serraj, che si accordano su un cessate il fuoco e si impegnano a tenere elezioni presidenziali entro l’anno.
Queste elezioni slittano, mese dopo mese, a causa dell’emergere di un forte gruppo ribelle Tuareg nel sud del paese che si dichiara indipendente da entrambi i governi.
Haftar, appoggiato da Francia e Ciad, avanza verso il Sud per sedare la rivolta, in quella che molti denunciano come una campagna macchiatasi di forti crimini contro le popolazioni locali. Ripreso il controllo della zona, il maresciallo acconsente ad incontrare Serraj ad Abu Dhabi per riprendere le discussioni sulle elezioni. Questo summit, tenutosi il 28 febbraio 2019, è l’ultima volta che i due capi politici si sono incontrati, accordandosi per una conferenza sponsorizzata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Gutèrres, da tenersi il 19 Aprile, nella quale discutere nuovamente il tema dell’unità nazionale e delle elezioni.
Allo stato attuale delle cose, vi sono speranze molto basse che questa conferenza si tenga. Il 4 Aprile “l’Esercito di Liberazione Nazionale” guidato da Haftar interrompe la tregua e muove verso Tripoli da est, in una mossa condannata da tutta la comunità internazionale, compresi i suoi due grandi alleati nella zona, Egitto e Francia.
La mancanza di sostegno internazionale allo schieramento di Tobruk giocherà probabilmente un ruolo decisivo nello sviluppo della campagna. Le forze di Haftar, seppur più numerose, non sembrano essere in grado di conquistare Tripoli, dove le truppe di Serraj (composte principalmente dalle milizie della vicina Misurata e quelle della zona di Tripoli) sono arroccate ed esplicitamente sostenute dalle Nazioni Unite. Nonostante le numerose raccomandazioni internazionali, lo scenario più probabile resta quello di un lungo e sanguinoso assedio simile a quelli di Derna o Sirte, un’eventualità che spaventa soprattutto per gli effetti sulla popolazione civile.
La situazione in Libia appare quindi essere molto lontana da una soluzione, a causa dei numerosi interessi geopolitici ed economici che attraversano la zona. Ciò che lascia stupiti, in ogni caso, è l’incapacità della comunità internazionale di accordarsi su una soluzione e sponsorizzarla. Fin dalla risoluzione 1973, che chiuse lo spazio aereo durante la prima guerra civile, le Nazioni Unite si sono sempre macchiate di superficialità, sottovalutando ripetutamente la situazione e i personaggi che la popolano, contribuendo alla creazione di uno scenario violento e caotico, di cui fa le spese soprattutto la popolazione civile.