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Legge Europea sul ripristino della natura: scontro ideologico o scommessa politica?

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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Cosa hanno a che fare una proposta di legge avanzata dalla Commissione Europea nel giugno 2022 e le elezioni europee del 2024? Non molto, si potrebbe pensare, soprattutto se il provvedimento riguarda una strategia di lungo termine di ripristino della natura nel Vecchio Continente. Eppure, lo scontro all’ultimo voto andato in scena durante l’ultima plenaria del Parlamento Europeo rivela ben altri scenari.

 

Perchè serviva una Strategia Europea 2030 sulla Biodiversità

Nel 2019, in occasione del suo insediamento, la Presidente Ursula von der Leyen aveva posto la lotta ai cambiamenti climatici al centro dell’azione politica della Commissione Europea per il quinquennio 2019-2024, nel quadro complessivo dello European Green Deal. Nel frattempo, molte delle iniziative lanciate nell’ambito di questo piano hanno ottenuto una discreta visibilità presso il grande pubblico. Basti pensare alla roadmap che porterà a vietare la vendita di auto alimentate da combustibili fossili entro il 2035, oppure all’ambizioso programma “Fit for 55”, che si prefigge l’obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti dell’UE di almeno il 55% entro la fine del decennio rispetto al 1990.

Eppure, fino a questo momento la Strategia Europea 2030 sulla Biodiversità era rimasta nell’ombra, a causa, spesso, della difficoltà nel comunicare i suoi obiettivi all’opinione pubblica europea. In breve, questo piano pluriennale mira a sostenere la ripresa della biodiversità europea entro il 2030, con target di medio-lungo periodo per monitorare il percorso verso il ripristino della natura. 

La motivazione dietro il provvedimento risiede non solo nel ruolo chiave che la biodiversità riveste nell’attenuare i cambiamenti climatici, ma anche nel garantire la sicurezza alimentare per le popolazioni più a rischio, oltre che nel prevenire futuri focolai di malattie. Una funzione insostituibile sottolineata non solo dalla Commissione UE, ma anche, tra gli altri, dallo United Nations Environment Programme

 

La proposta della Legge Europea sul ripristino della natura

Il silenzio mediatico intorno alla Strategia sulla Biodiversità, tuttavia, è stato bruscamente interrotto dall’iniziativa sulla Legge Europea sul ripristino della natura, avanzata dalla Commissione nel giugno 2022 nel quadro della Strategia stessa. Questa deriva dalla constatazione che l’81% degli habitat dell’UE è in cattivo stato, e che una specie su tre di api e farfalle è in declino, così come evidenziato nello studio di impatto presentato dalla Commissione.

La proposta si fissa, tra gli altri, l’obiettivo di ripristinare tutti gli ecosistemi terrestri e marini degradati entro il 2050, riportando così gli habitat e le specie che li popolano al loro stadio originale. In aggiunta, la proposta mira ad arrestare il declino delle popolazioni di insetti impollinatori entro il 2030 e a ricostituire almeno 25.000 km di fiumi a scorrimento libero entro lo stesso anno. Degno di nota anche il capitolo che riguarda gli ecosistemi urbani, sempre più minacciati dal consumo di suolo galoppante che attanaglia le città e da livelli di inquinamento ambientale spesso al di sopra del consentito. Il provvedimento vincolerebbe gli Stati membri ad arrestare la perdita netta di spazio urbano verde entro il 2030, per poi proseguire ad un aumento di tale superficie entro il 2040 ed il 2050. Quanto all’agricoltura, il cui impatto in termini di consumo di risorse idriche e impiego di prodotti fitosanitari resta elevato, la proposta non fissa target vincolanti, limitandosi a sottolineare la necessità di aumentare la superficie gestita secondo approcci agroecologici, quali agricoltura biologica, policoltura e rotazione delle colture. 

 

Scontro all’ultimo voto sul ripristino della natura

Cos’ha, dunque, portato gli osservatori politici europei a tenere gli occhi puntati su un provvedimento relativamente secondario nell’agenda legislativa dell’UE?

Il primo fattore sembra essere indubbiamente il posizionamento ambiguo del Partito dei Popolari Europei (PPE), il più grande gruppo parlamentare dell’Eurocamera in seguito alle elezioni del 2019. Inizialmente scettico su alcuni elementi della proposta, il leader popolare ed ex candidato a Palazzo Berlaymont, Manfred Weber, aveva a sorpresa promesso di affossare il provvedimento, chiedendo alla Commissione UE di rallentare il ritmo di attuazione dello European Green Deal. In questo,  il politico tedesco non si era trovato solo, sostenuto dalle reticenze, tra gli altri, del primo ministro belga Alexander De Croo e, soprattutto, dal presidente francese Macron. Una linea che aveva portato il PPE a presentare una mozione di rigetto già durante l’analisi del testo nella Commissione Ambiente (ENVI) del Parlamento Europeo, in un voto concluso con un pareggio (44 voti a favore, 44 voti contrari) ed un sostanziale nulla di fatto.

Il secondo elemento degno di nota è l’aspra contrapposizione tra i gruppi ambientalisti, da una parte, e alcune associazioni di categoria, dall’altra. Tra queste ultime, l’organizzazione Copa-Cogeca, che rappresenta gli agricoltori e le cooperative agricole dell’UE, aveva espresso i suoi forti dubbi circa gli effetti della proposta, evidenziando i rischi al ribasso per la produzione alimentare dell’UE legati agli obiettivi di ripristino della biodiversità.

L’ultima parola è toccata alla plenaria di luglio del Parlamento Europeo, che ha adottato la sua posizione negoziale sulla proposta con 336 voti a favore, 300 contrari e 13 astensioni, dopo che una mozione per respingere in toto la legge era stata rigettata. Fondamentale un piccolo gruppo di 21 eurodeputati del PPE che hanno deciso di ignorare le istruzioni di voto del gruppo, rompendo l’asse del partito con i gruppi dell’estrema destra ECR (Conservatori e Riformisti Europei, di cui fa parte Fratelli D’Italia) e ID (Identità e Democrazia, dove siedono la Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement National di Marine Le Pen). 

 

Elezioni 2024: un’alleanza delle destre in vista?

Seppur svuotata di molti dei target di ripristino vincolanti inizialmente proposti dalla Commissione, l’approvazione definitiva della Legge europea sul ripristino della natura sembra essere vicina, in attesa di un accordo finale tra Parlamento Europeo e Consiglio UE. Ma indipendentemente dall’esito finale, una nuova fase sembra aprirsi in vista delle elezioni europee del prossimo anno. 

In molte cancellerie europee si parla ormai apertamente di avvicinare il meccanismo di governo dell’UE a quello delle democrazie nazionali, prevedendo maggioranze politiche chiare e chiudendo l’era delle grandi coalizioni tra Popolari, Socialdemocratici e Liberali. Un’idea che non trova solo la resistenza di alcuni grandi Paesi, Francia e Germania in testa, ma che spacca anche il PPE, che dovrebbe essere al centro di questo progetto. È difficile immaginare come i popolari tedeschi della CDU possano collaborare con i loro connazionali di Alternative fur Deutschland (Afd), partito di ultradestra xenofobo con cui qualunque leader politico tedesco rifiuta di collaborare. Allo stesso modo, anche Antonio Tajani ha di recente affermato con chiarezza che Forza Italia non collaborerà mai con l’ultradestra europea di Le Pen o Afd, nonostante la maggioranza di governo nazionale includa i loro alleati.

A poco servono le rassicurazioni di Manfred Weber, che ha ribadito di considerare Afd come il “principale nemico” in vista delle elezioni del 2024. Gli scenari politici sembrano più che mai in movimento, specialmente tra le maggioranze fluide che hanno spaccato il PPE. E la recente battaglia sui temi della biodiversità potrebbe essere un preludio di ciò che sarà il futuro dell’UE.

 

*Crediti Foto: James Baltz via unsplash

 

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