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L’artico è al centro di esercitazioni militari. Dobbiamo preoccuparci?

Tempo di lettura stimato: 5 min.

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Le divisioni internazionali hanno dimostrato una certa reticenza al cambiamento. La fine della guerra fredda non ha fatto altro che spostare di qualche paese la linea di frattura tra il mondo Nato e quello (post) sovietico. Di fatto i nemici e i fronti sono rimasti gli stessi. Le evoluzioni climatiche però, ci forzano a prendere atto dei cambiamenti geografici. La strategia non può ignorare lo scioglimento dei ghiacciai. L’area artica, storicamente avvolta da una nebbia di inaccessibilità, diventerà nei prossimi anni il centro focale di una grande rivoluzione geopolitica. Le prime considerazioni sono quelle economiche e militari. Come bisognerà reinventare gli eserciti e la loro distribuzione per continuare a guardare negli occhi le nemesi di una vita e proteggere i propri interessi commerciali? Le fazioni ci rimuginano su da una decina di anni almeno, e i primi risultati sono oggi chiaramente distinguibili grazie alle esercitazioni militari in grande stile nel teatro artico. Allo stesso tempo però, immaginare che le superpotenze si imbarchino per una guerra tra le nevi perenni al solo scopo di conquistare le rotte commerciali, suona come una possibilità poco probabile. 

Il più grande paese artico

Il containment della Nato ha spinto la Russia con le spalle al muro. 

Per un paese in queste condizioni la “scoperta” di un nuovo mondo è un’opportunità senza precedenti: lo scioglimento dei ghiacciai significa non solo il “disgelo” di risorse, ma l’apertura di un’area sufficientemente grande da conferire al paese lo spazio di cui sente di aver bisogno per respirare. Dal 2014 in poi la Federazione ha preso la palla al balzo per rafforzare la propria proiezione militare nella regione. La creazione del Comando Strategico Flotta del Nord ha chiarito l’intento di aumentare la capacità di area denial delle forze navali per sostenere l’espansione territoriale verso Nord. Coordinare la più grande flotta di rompighiaccio al mondo ed integrarla con gli strumenti di guerra convenzionale ha richiesto e richiederà investimenti importanti (l’ultimo, più corposo, di 3,985 miliardi di rubli), ma i risultati sono notevoli. Con l’esercitazione Umka 21 sono emerse (letteralmente) le capacità di adattamento della marina a condizioni meteo proibitive. I caccia Mig-31 hanno dimostrato un’eccezionale versatilità d’impiego, e le forze di terra possiedono ormai l’addestramento necessario per operazioni nell’area. L’evoluzione più notevole è però quella sottomarina, come mostrato dai Delta IV che con cinematografica precisione emergono dal permafrost nel video pubblicato dal ministero della difesa. 

Questa sorprendente dimostrazione di forza, destinata ad essere seguita da altre esercitazioni già da settembre 2021 si addice alla potenza artica per definizione. Ovviamente non sono solo le esercitazioni a dimostrare questo interesse: l’espansione, la ricostruzione e l’ammodernamento di basi militari sia nell’area del mare di Barents (per tenere sotto controllo i dirimpettai americani) che direttamente sul circolo polare artico, come sull’Isola di Kotelny o quella di Wrangel che potranno fungere da punti di rifornimento per i velivoli militari della federazione, ci forniscono esempi lampanti. La Russia è il Paese con la maggior porzione di costa affacciata sulla regione, anela i depositi di idrocarburi destinati a rientrare nella propria estensione territoriale in modo da mantenere la propria supremazia in termini di risorse strategiche. E se la posta in gioco è così alta, è giusto aspettarsi che il Cremlino sia pronto ad ogni opzione. O quasi

La visione militare della Nato 

Il mondo occidentale non è rimasto a guardare. Negli ultimi anni la frequenza di esercitazioni interforze è aumentata vertiginosamente, soprattutto per quanto riguarda operazioni anfibie in condizioni di freddo estremo. Un messaggio inequivocabile. La serie Cold Response in Norvegia ha tentato di estendere le capacità dei paesi dell’alleanza atlantica in un’area del globo di cui in precedenza si erano dimenticati (militarmente parlando, s’intende). La prossima edizione di questo appuntamento ormai annuale sarà di dimensioni mai viste dalla fine della guerra fredda

Paragonando la presenza dei militari americani nell’artico a quella russa, la quantità di basi e risorse impiegate risulta decisamente inferiore. Ciononostante esistono numerose basi della US Navy in punti strategici: Norvegia, Canada e Danimarca forniscono alla marina hub preziosi per proiettarsi sull’artico e tenere sotto controllo i propri rivali. La Groenlandia invece ospita ampi contingenti USAF nelle basi di Thule ed Eielson, pronti ad intercettare un’ipotetica minaccia missilistica.

Il titolo della nuova strategia artica del pentagono non lascia spazio alla fantasia: Regaining Arctic dominance. Perché se dal punto di vista russo l’obiettivo è riprendere il respiro dalla stretta occidentale, da quello americano invece la questione è impedire alla Russia di mantenere lo schiacciante vantaggio che sembra aver acquisito. La deterrenza richiede parità di forze per funzionare, e la Nato conosce bene le regole di questo gioco.
Per recuperare il tempo perduto, Washington può contare su alleati storici (Regno Unito, Norvegia e Islanda), ma sceglie anche di avvicinarsi a Svezia e Finlandia.

Quanto sono probabili degli scontri militari nell’Artico?

La possibilità che l’artico diventi davvero il teatro (o almeno il casus Belli) di un conflitto tra potenze sembra comunque remota. Combattere in un luogo in cui le temperature scendono oltre i -30 C° richiede armamenti concepiti ad hoc (e per questo costosi e difficili da produrre) ed equipaggiamenti individuali pesanti e poco pratici. Questo senza tenere in considerazione un inevitabile calo di efficienza del personale. 

Una guerra convenzionale sopra il circolo polare sarebbe dunque l’incubo di qualunque generale, che sarebbe assillato da urgenze logistiche parossistiche in un luogo in cui le basi sono enormemente lontane tra loro. Anche senza voler prendere in considerazione le sole forze terrestri, il raggio d’azione delle aeronautiche delle due fazioni in campo non può essere compensato dalle portaerei. Come nel caso dell’esercitazione Umka 21, i velivoli sarebbero costretti a rifornirsi in volo per raggiungere l’ipotetica area operativa. 

Un’altra considerazione invece riguarda la possibilità che l’artico funga da movente. Partendo dal presupposto che l’esistenza di un forum internazionale come il consiglio artico consente una minima regolamentazione giuridica alle dispute possibili, il controllo di una rotta commerciale non sembra essere sufficiente per scatenare una guerra nel 21esimo secolo.

Infine, la speranza di distensione trasmessa dall’incontro a Ginevra tra Biden e Putin lascia pensare che gli investimenti militari nell’artico resteranno parte di un sistema di deterrenza stabile, piuttosto che innescare una nuova corsa agli armamenti

 

Questo articolo è il secondo di una serie sulla corsa all’Artico e il suo futuro. Clicca qui per leggere l’analisi successiva “Addio Era glaciale: così le potenze internazionali si preparano per la corsa all’Artico“.

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