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La nuova frontiera della “green energy”: le comunità energetiche rinnovabili

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Negli ultimi mesi l’Europa sta affrontando le tante complessità di una ripresa economica difficile, con tutti gli ostacoli derivanti dagli effetti della crisi energetica innescata dal conflitto tra Ucraina e Russia. Tale ripresa rappresenta una sfida importante per i paesi dell’Unione e si sta rivelando fondamentale anche per l’alta posta in gioco finale, quella della neutralità energetica e climatica, ad oggi, ancora un obiettivo lontano per i governi e le istituzioni. Nella generale instabilità, non solo economica ma anche politica, di un momento storico in cui i cittadini europei possiedono sempre più strumenti per farsi ascoltare e, di conseguenza, un maggiore potere di influenzare le decisioni dei rispettivi governi, come l’iniziativa dei cittadini europei (CEI), si delinea nel settore energetico una proposta innovativa ma semplice nella sua forma: quella delle comunità energetiche rinnovabili. Questa proposta rappresenterebbe un vantaggio non indifferente per produrre energia rinnovabile laddove se ne volesse implementare l’utilizzo.

 

Dentro il concetto di CE

Considerando le sole CE dedite alla produzione di energia rinnovabile, ed escludendo invece quelle tipologie di comunità rivolte all’industria derivante da fonti fossili limitate e vicine all’esaurimento, si definisce comunità energetica un raggruppamento di enti – persone, aziende, pubbliche amministrazioni – che condivide energia ottenuta da fonti rinnovabili in uno scambio totalmente egualitario, rappresentando di fatto un modello innovativo di produzione, distribuzione e consumo di energia che coinvolge direttamente i cittadini che ne prendono parte. In questo modo viene generato un sistema di scambio di elettricità tra gli utenti di una  stessa comunità, sia pubblici che privati, equipaggiati volontariamente di impianti e fonti di produzione. 

Riguardo la sua natura giuridica, a differenza di ciò che si può pensare osservando un attore di mercato di questo tipo, esso non ha scopo commerciale, ma combina obiettivi economici con obiettivi comunitari e sociali. A tal fine, nel dare una panoramica generale di cosa siano le comunità energetiche, l’articolo 21 della Direttiva Europea sulle energie rinnovabili risulta fondamentale per definire il concetto di autoconsumo collettivo, dove vengono descritte le caratteristiche specifiche delle CE locali rinnovabili in termini di dimensioni e struttura proprietaria. Nelle definizioni di CE vi sono diverse sfaccettature, modelli applicativi che divergono tra di loro ma che convergono tutti in una delle due seguenti macrocategorie: Comunità per l’energia rinnovabile (REC) e Comunità per l’energia dei cittadini (CEC). Rispettivamente, la prima è stata introdotta dalla direttiva RED-II emanata nel 2018, secondo la quale l’unico tipo di energia condivisa è quella proveniente da fonti rinnovabili e ad essa possono partecipare solitamente solo le famiglie e le piccole imprese locali. La seconda, diversamente dal primo caso, viene ulteriormente dettagliata dalla direttiva IEMD emanata nel 2019 dove la distinzione tra energia rinnovabile e non rinnovabile non è importante, senza alcuna specificazione sull’origine dell’energia. Il punto chiave della definizione di CEC risiede nel concetto di rete in cui sono collegate le entità che compongono la comunità: nel caso delle REC, una comunità energetica viene connessa alle reti energetiche pubbliche e non alla rete energetica locale, gestita invece da un Operatore del Sistema di Distribuzione; al contrario, le CEC hanno la possibilità di connettersi ad un operatore energetico locale, detto Sistema di Distribuzione Chiuso.

Secondo le direttive europee e nazionali, che hanno recentemente iniziato a delineare meglio gli aspetti pratici del funzionamento delle CE, l’obiettivo primario che si intende raggiungere è di creare benefici ambientali, economici e sociali per le aree locali dove opera ciascuna comunità. La CE viene definita come un’entità legale, ma in quanto comunità di diritto non può avere come primario obiettivo quello di generare profitto: l’autoconsumo collettivo di energia deve rappresentare la principale fonte di risparmio in termini di costo per i membri della comunità energetica, sia produttori che consumatori. Tale presupposto è necessario affinché sia più conveniente far parte della CE piuttosto che acquistare energia sul mercato. Le prime direttive UE intendono descrivere le CE come strumenti di aggregazione e organizzazione delle azioni dei singoli individui nel settore energetico, attraverso un coinvolgimento dei cittadini, che si muovono collettivamente sia per ottenere prezzi più accessibili sia per avere un maggiore ruolo nei processi decisionali di gestione dell’energia, aspetto fino ad ora riservato esclusivamente a enti privati. Il  primo risultato che ne deriva è la democratizzazione del processo di fornitura e produzione energetica: l’energia non è più elargita esternamente, ma diventa un bene che dev’essere gestito con cura, risparmiato e utilizzato con giudizio, ad opera di tutti coloro che ne fanno uso. 

 

Perché investire nelle comunità energetiche? 

In termini di benefici per i consumatori, lo strumento delle CE permette in primis di ridurre la quantità di energia acquistata da produttori esterni grazie all’autoproduzione che la contraddistingue. Inoltre, il sistema di consumo delle comunità energetiche presenta tariffe più convenienti rispetto al prezzo di mercato dell’energia e corrisponde degli incentivi monetari o fiscali al produttore interno con l’obiettivo di sostenere la produzione di energia pulita. La percezione di questi benefici, che in pochi anni dovrebbero consentire all’utente di recuperare l’investimento iniziale, spinge altre famiglie (households) a aderire alla comunità, dando vita a quello che viene comunemente chiamato “effetto palla di neve” (snowball effect). Il vantaggio implicito di questo modello innovativo di risparmio energetico fonda la propria forza nell’aggregazione di individui: una riduzione delle tariffe rappresenta un appetibile investimento, tant’è che l’utente che ha investito nel progetto beneficerà di una riduzione delle tempistiche di recupero dell’investimento fatto. 

Un ulteriore aspetto positivo che rende le CE una nuova frontiera di risparmio ed energia sostenibile sul mercato energetico si può osservare nel costo dell’energia differenziato in fasce orarie (in termini di costo reale). La loro versatilità si riflette anche nella possibilità di impostare le procedure di acquisto dell’energia nelle fasce orarie in cui questa costa meno, modificando la conformazione della comunità stessa, in modo tale che i singoli utenti, senza dover rivedere le loro esigenze di consumo, siano complementari per raggiungere l’equilibrio. Ciononostante, è necessario sottolineare che l’ottimizzazione in questo caso è relativa, basata su stime che riflettono le differenze di prezzo senza tuttavia poter prevedere con certezza i consumi futuri e la produzione futura. Un vantaggio indiscusso, già precedentemente menzionato, si riflette nella partecipazione diretta del fornitore di servizi, che permette alla CE di mantenere una maggiore stabilità nel lungo periodo. Di fatto, l’eventuale presenza nel sistema di un aggregatore che coordina l’attività della CE è un fattore potenzialmente positivo, considerando che a beneficiarne è l’efficienza stessa della produzione e del consumo di energia, massimizzando il benessere sociale ed economico degli utenti. La metodologia dell’aggregazione che sta alla base delle comunità energetiche mira a raggiungere un livello di equilibrio ottimale tra utenti che presentano profili di consumo differenti, controbilanciando coloro che producono più energia di quella che consumano e coloro che, al contrario, ne consumano più di quella prodotta, massimizzando le funzioni di utilità degli attori presenti. 

La digitalizzazione come colonna portante

Un sistema così giovane e moderno, però, non può nascondere le sue criticità agli occhi di chi le studia e intende migliorarne l’organizzazione. I vantaggi che derivano dall’aggregazione di individui e attori economici in micro-centrali di produzione e autoconsumo vengono soppesati dalle condizioni di base che l’area geografica in cui viene stabilita una comunità energetica deve necessariamente possedere: la presenza di una rete resiliente è essenziale per il funzionamento del modello, l’interazione dev’essere flessibile e smart, richiedendo quindi un elevato utilizzo della digitalizzazione della rete. In altre parole, la rete non dev’essere solo presente ma è necessario che sia digitale. Tali requisiti fanno sì che alcune aree e regioni vengano automaticamente escluse dal progetto, non disponendo di un alto livello di digitalizzazione, rimanendo semplici spettatrici di un’evoluzione tecnologica ed economica che non gli appartiene. Queste eccezioni portano a distinguere i cittadini europei in cittadini di seria A e di serie B: alcuni potranno beneficiare di prezzi inferiori sull’energia, dell’inclusività e dell’efficienza dell’autoconsumo, altri invece saranno sempre schiacciati sotto il peso delle crisi energetiche, con il rischio concreto di scivolare progressivamente nella povertà energetica. Esempio lampante di questo fenomeno di classificazione è la squilibrata suddivisione delle CE tra i paesi dell’Unione, da una Germania che conta ben 4848 comunità, sulle 9252 totali, fino alla Romania, Ungheria e Bulgaria che ne possiedono solo una. Secondo alcune recenti stime dell’ENEA (Agenzia italiana per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), entro il 2050 circa 264 milioni di cittadini europei entreranno a far parte del mercato dell’energia sostenibile in veste di prosumer, ovvero utenti che assumeranno sia il ruolo di produttori sia quello di consumatori di energia, con il conseguente aumento della produzione di energia rinnovabile fino al 45% del prodotto totale.

Adottando un’ottica di lungo periodo, la soluzione delle CE potrebbe davvero rappresentare la chiave di volta per sfuggire definitivamente dagli shock sul mercato dell’energia, mitigando le implicazioni delle crisi, specie sulla disuguaglianza sociale quale effetto finale sulla società. 





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