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Italia, Giovani e Rientro dei Cervelli: in quale direzione stiamo andando?

Tempo di lettura stimato: 7 min.

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Scopriamo insieme le recenti modifiche normative riguardanti il “rientro dei cervelli”, l’andamento dei flussi migratori giovanili e le loro implicazioni per il nostro Paese.

L’Italia nella “trappola dei talenti” europea

La bozza del decreto attuativo per la riforma della fiscalità internazionale introduce una normativa che rivede gli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli“, riaccendendo così la discussione sull’attuale dinamica migratoria dei “giovani talenti” italiani verso l’estero. Noi giovani, attratti da condizioni lavorative e retributive che garantiscono l’indipendenza economica oltre i confini nazionali, rappresentiamo una nuova generazione di “migranti economici”, per usare un’espressione inflazionata di questi tempi.  La proposta di tagliare gli sconti Irpef per chi rientra in Italia suscita dubbi sul futuro del Paese e sul suo ruolo del Governo nell’incentivare il rientro  dei “cervelli” nazionali.

L’Italia è infatti vittima di quello che la Commissione europea ha definito “trappola dello sviluppo di talenti“, cioè il fenomeno che unisce la bassa percentuale di laureati e il loro saldo migratorio negativo nell’Ue, fenomeno che interessa 46 regioni europee, di cui quasi il 30% in Italia.

L’evoluzione degli incentivi per i rimpatri: dalla loro introduzione ad oggi

Per contrastare il fenomeno della cosiddetta “fuga dei cervelli”, il legislatore ha adottato molteplici misure negli anni, incentrate principalmente su sgravi fiscali per favorire il rientro del capitale umano in Italia. 

Le prime misure sono state introdotte nel 2004 (Decreto legge del 30/09/2003 n. 269) per i docenti universitari e ricercatori che tornavano in Italia dopo 2 anni all’estero. Tuttavia, è con la legge “Controesodo” (L.238/2010) che gli incentivi vengono estesi a tutti i laureati, a condizione di essere nati a partire dal 1969. I beneficiari godevano di un’esenzione Irpef del 70-80% dei redditi da lavoro dipendente e autonomo. Il regime di Controesodo è stato sostituito nel 2015 dal Dlgs “Impatriati” (D.Lgs. 147/2015, Art. 16) che ha rimosso il limite di età ed esteso gli incentivi ai non laureati purché in possesso di elevata specializzazione e di una lunga esperienza all’estero (5 anni). Infine, il Dl “Crescita” del 2019 (DL 39/2019, art. 5 e L. 58/2019) ha eliminato i requisiti di specializzazione/laurea e reso gli incentivi più generosi e con una durata maggiore nel caso di figli a carico o acquisto di un immobile sul territorio italiano. In pratica, gli incentivi per il rientro dei cervelli sono stati un’area di intervento per vari Governi italiani: sebbene la formula sia cambiata leggermente nel tempo, la platea dei potenziali beneficiari è sempre stata aumentata per migliorare l’attrattività della riforma; con l’ultima rimodulazione invece si assiste ad una inversione di tendenza.

Infatti, per quanto riguarda la nuova normativa, il suo testo è ancora in fase di limatura, ma i meccanismi chiave pare siano ormai definiti: la riforma degli incentivi per il rientro dei cervelli in Italia, attiva dal periodo d’imposta 2024, vede infatti un abbattimento dello sconto Irpef, fissato al 50% del reddito imponibile, con un tetto massimo di 600 mila euro di reddito nel periodo di beneficio. Questo beneficio è destinato a chi, avendo mantenuto per tre anni la residenza fiscale all’estero, decide di rientrare e risiedere in Italia per i successivi cinque anni. Tuttavia, la riforma è circoscritta ai lavoratori altamente qualificati o specializzati di livelli 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza), 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e 3 (professioni tecniche) della classificazione Istat delle professioni CP 2011. Un’eccezione dovrebbe esser prevista per docenti e ricercatori rientrati dall’estero, per cui sembrerebbero fatti salvi i benefici attualmente in vigore, come anticipato dal Sole 24ore.

(*) 70% per i lavoratori, 80% per le lavoratrici
(**) 30% fino al 2017
(***) 90% per i ricercatori e i trasferimenti al Sud; 50% per gli sportivi professionisti. Estensione della durata per lavoratori con figli a carico e acquisto immobili
(****) Obbligo di permanenza in Italia per 5 anni, pena restituzione dell’agevolazione fiscale con interessi

Quanto ci costa un laureato che espatria?

L’Italia prima li forma, ma poi non riesce a trattenerli, con un costo ingente per la collettività. 

Quantificare il costo per lo Stato della cosiddetta “fuga dei cervelli” è complicato. Il calcolo richiederebbe infatti diverse considerazioni sia sulla spesa dello Stato per istruire “i cervelli” sia sulle mancate entrate dovute alla loro “fuga”. 

Pagella Politica stima un costo per persona di istruzione dalle elementari fino alla laurea di circa 108 mila euro. Tuttavia, l’istruzione non è il solo costo che di cui l’Italia si fa carico ogni volta che un laureato (e non) va via: ci sono le mancate entrate dello Stato in termini di tassazione, la mancata spesa degli individui nell’economia italiana, poi c’è il peggioramento del declino demografico, con quello che già si sa sull’impatto sulla sanità e sul sistema pensionistico. Non ci sono calcoli ufficiali ministeriali sul costo del fenomeno, anche se l’ex ministro dell’istruzione Fioramonti, intervenuto qualche anno fa sulla questione, ha dichiarato, seppur senza fornire la fonte del dato, che «ogni volta che un laureato se ne va dall’Italia, è un assegno di 250 mila euro che noi andiamo a versare sul conto di un Paese che poi ci farà la competizione sui mercati internazionali, spesso con le idee sviluppate da italiani che abbiamo formato con i nostri soldi». 

 

I dati sugli espatri

Come si può leggere dal Report Istat sulle migrazioni del 2021, nel corso del decennio 2012-2021 si conta oltre un milione di persone espatriate, di cui circa un quarto in possesso della laurea, tra cui anche 120 mila giovani laureati espatriati di età compresa tra 25-34 anni: i saldi migratori dei cittadini italiani sono sempre negativi e la perdita complessiva di popolazione italiana dovuta ai trasferimenti con l’estero è stata nel decennio 2012-2021 pari a 581 mila unità.

Tuttavia, Elaborazioni OCPI su dati Istat ci dicono anche che dal 2011 al 2020 i ritorni di laureati italiani sono aumentati da circa 4.100 a 13.700 l’anno, anche se le partenze sono aumentati ancora di più: da circa 7.700 a 31.300, con incidenza maggiore dei laureati con meno di 40 anni, i cui ritorni sono aumentati da circa 2.300 a 8.500, ma le corrispondenti partenze sono salite da circa 5.000 a 25.000.

Gli incentivi fiscali incoraggiano davvero il rientro? 

Anche se recenti studi economici indicano che le tassazioni sul guadagno possano influire sulle decisioni di migrazione di chi ha redditi elevati, non è detto che i giovani laureati, spesso agli esordi nella loro professione, siano particolarmente reattivi alle variazioni fiscali, specie in un contesto di fuga di cervelli come quello italiano. Ci potrebbero essere altri elementi ad influenzare la “fuga”, come la voglia di acquisire esperienza formativa all’estero.

Tuttavia, in una ricerca condotta da Bassetto e Ippedico (2023), per determinare l’impatto degli incentivi fiscali sul ritorno in patria, si è deciso di analizzare il trend del ritorno in patria dei laureati e dei nati post 1969 (cioè la platea a cui si rivolgeva la legge “controesodo”), rispetto ad altri gruppi (dati Istat). In questo modo si è cercato di isolare l’impatto dei benefici fiscali sul rientro rispetto ad altre potenziali cause, come un naturale aumento dei ritorni con l’aumento delle partenze o la situazione economica di altri Paesi. La ricerca deduce che la legge Controesodo ha portato ad un aumento del 30% nei ritorni dall’estero di coloro che potevano beneficiare degli incentivi, rispetto a chi non ne aveva diritto. 

Inoltre, sempre elaborazioni OCPI su dati Istat indicano come il totale dei lavoratori che hanno usufruito degli sgravi fiscali per il ritorno è cresciuto considerevolmente tra il 2018 e il 2020, probabilmente grazie alle condizioni più vantaggiose del decreto Crescita 2019. 

Tutto ciò porta a pensare che gli incentivi fiscali hanno finora funzionato ed hanno avuto un effetto reale sulle decisioni di rientro degli italiani. 

L’irrisolta questione giovanile in Italia

Molti giovani avevano basato il loro rientro (o la speranza di un rientro) sulle precedenti agevolazioni fiscali. Un cambiamento così radicale e repentino delle regole del gioco può avere ripercussioni devastanti su coloro che avevano già delineato un percorso di ritorno.

Se il fenomeno degli espatri dei giovani laureati si potesse spiegare come una “esperienza”, potremmo osservarlo con una certa dose di ottimismo, riconoscendo il valore dell’esperienza internazionale, che arricchisce il bagaglio culturale e professionale di chi parte. Ma quando, come spesso capita, questo diventa un viaggio di sola andata, l’Italia e noi tutti ne perdiamo. 

La fuga dei “cervelli” ci ricorda ancora una volta delle difficoltà che il nostro Paese presenta per noi giovani, tra l’alta disoccupazione giovanile, alta inflazione e salari che spesso non garantiscono l’autosufficienza economica dopo anni di studio e sacrificio.

La rimodulazione degli incentivi per gli espatri sembra esser in contrasto con le altre politiche del governo, che vuole rilanciare l’orgoglio e l’onore del “Made in Italy” e che sottolinea l’importanza della natalità e dei valori tradizionali. Ci si potrebbe quindi chiedere come si concilii il ridimensionamento di una riforma che non gravava attivamente sulle casse dello Stato con l’ambizione di valorizzare il capitale umano e professionale italiano. Inoltre, i benefici fiscali per il rientro dei cervelli tentavano di riequilibrare la forbice salariale giovanile con il resto d’Europa. Se tali benefici vengono ridotti, quali alternative il Governo intende adottare per riequilibrare il divario salariale giovanile italiano?

 

 

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