Chi era al-Baghdadi?
Nella notte tra sabato 26 e domenica 27 ottobre muore il leader dell’ISIS, Abu Bakr Al-Baghdadi. Questo il nome di battaglia dell’iracheno Ibrāhīm Awaad al-Badrī, tra i terroristi più ricercati dal governo statunitense. La taglia sulla sua testa era di 25 milioni di dollari.
I suoi atti bellici hanno inizio nel 2003. È durante l’invasione anglo-americana dell’Iraq che costituisce la prima cellula armata che si unisce alle formazioni jihadiste allora presenti sul territorio.
Gli americani lo catturano l’anno successivo e lo detengono presso il centro di detenzione Camp Bucca. Lo rilasciano quattro anni dopo perché ritenuto un prigioniero di basso livello. L’avevano infatti schedato come “detenuto civile”.
Muore nel 2010 il capo dello Stato islamico, che si fa esplodere per non farsi catturare dagli americani. È proprio Al-Baghdadi, da poco tornato in libertà, a diventarne il successore. Annuncia dunque la sua alleanza con Al Qaida, da cui prenderà successivamente le distanze. Si autoproclama infatti califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante in circostanze di dubbia legittimità nel giugno 2014. Crea così un vero e proprio Stato. L’ISIS gode infatti delle proprie istituzioni ed è finanziariamente autonoma.
Rotta l’alleanza con Al Qaida, l’ISIS ne diventa nemico giurato, iniziando a conquistare vari territori che avrebbero fatto parte dell’autoproclamato pseudo-Stato.
Conquista la nefanda fama di terrorista più ricercato del mondo occidentale con la diffusione dei video che mostrano decapitazioni di ostaggi. A ciò si aggiunge la rivendicazione dell’ISIS di attentati sparsi più o meno in tutto il mondo: Parigi, Berlino, Bruxelles, Rouen, Nizza, Manchester, Londra, Liegi.
Per qualche tempo l’ISIS controllerà una vasta area tra la Siria e l’Iraq, legiferando, imponendo tasse ai cittadini e vendendone il petrolio.
La morte
Attorniata da scetticismi perché mendacemente annunciata più e più volte, la comunica il generale McKenzie. Il Capo del Comando Centrale degli Stati Uniti ha dichiarato che una corrispondenza diretta ha prodotto un altissimo livello di certezza che i resti rinvenuti siano quelli di Al-Baghdadi.
Un informatore è stato cruciale perché l’operazione degli Stati Uniti sia stata portata a termine. Si tratta di un uomo molto vicino al leader dell’ISIS che da tempo collaborava coi combattenti curdi, alleati degli USA. Il movente è la vendetta: i vertici dell’ISIS avevano infatti ordinato l’assassinio di un suo familiare.
Prima del raid, per dimostrare la propria attendibilità, ha dovuto fornire prove della presenza di Al-Baghdadi. Ha inviato così della biancheria intima e dei campioni di sangue, che hanno consentito di effettuare il test del DNA.
Dopo un periodo in cui i militari americani hanno svolto un’attività di sorveglianza dell’area, hanno attaccato un edificio allocato nel villaggio di Barisha, a nord-ovest della Siria. Dalle dichiarazioni in merito rilasciate dal Presidente Trump è emerso che Al-Baghdadi si è riparato in un tunnel sotterraneo senza via d’uscita nel corso del raid. Assieme a lui i figli, con i quali si è fatto esplodere attivando un giubbotto esplosivo.
Il corpo di Al-Baghdadi è stato sepolto in mare (come quello di Osama Bin-Laden nel 2011).
Le forze statunitensi non hanno subito perdite e hanno distrutto il compound (una sorta di bunker), dopo aver raccolto informazioni sensibili utili.
Il 29 Ottobre il Presidente Trump ha dichiarato in un tweet che le forze americane avevano eliminato anche l’erede di Al-Baghdadi. Si tratta di Abu Hassan al-Muhajir, braccio destro di Abu Bakr e potenziale successore. È morto il 27 Ottobre nel nord-ovest della Siria.
L’ISIS conferma la morte con la nomina del nuovo leader
L’ISIS si è pronunciata per la prima volta a riguardo con un audio sull’app Telegram. Nell’audio lo Stato Islamico piange la morte di Al-Baghdadi e del portavoce dell’ISIS e annuncia un nuovo leader. Al contempo lancia un avvertimento agli Stati Uniti con le parole “Non siatene felici”.
Nell’audio – di durata di 8 minuti – hanno anche annunciato il nome del nuovo leader: Abu Ibrahim al-Hashemi al-Qurayshi. Denominato “emiro dei credenti” e “califfo”, ma in concreto di identità sconosciuta. Il suo è un nome di battaglia, che nella consuetudine della leadership dell’ISIS cambia a seconda della carica militare assunta. Il nome dunque potrebbe essere stato diverso qualche settimana prima. Occorre attendere il rilascio di ulteriori dettagli biografici perché si riesca a venir a capo della sua identità.
Ciò che è noto è che l’appellativo al-Qurayshi alla fine del suo nome sta ad indicare la sua discendenza dalla tribù Quraysh del profeta Maometto. È questo un requisito essenziale per divenire califfo.
È comunque da tener presente che pur autoproclamatosi un califfato, l’ISIS non ha più di fatto sovranità su alcun territorio.
“Non vedi, America, come lo Stato [Islamico] è ormai alle soglie dell’Europa e dell’Africa Centrale?”. Pur venuti meno i loro territori in Siria e Iraq, sottolineano la loro espansione aldilà del Medio Oriente, con un ultimo monito.
Il fatto che abbiano scelto il nuovo leader in una shura (consultazione per la scelta del califfo) dimostra che la burocrazia dell’ISIS è intatta, secondo la ricercatrice della George Washington University Devorah Margolin. Non va dunque sottovalutata.
Assieme al nuovo leader hanno annunciato anche un nuovo portavoce e possibile successore: Abu Hamza al-Qurayshi, anch’egli di vaga identità.
Effetti dell’uccisione di Al-Baghdadi
Non essendo l’ISIS un’organizzazione fondata irrimediabilmente sul carisma del suo leader, la morte di Al-Baghdadi non è certamente stata una ferita mortale. Ciò che è certo, però, è che se i leader sono costretti a fuggire e cercare rifugio non possono concentrarsi in via esclusiva su attività terroristiche. È inoltre indubbio l’indebolimento che ne è seguito, viste le notevoli divisioni interne. Gli studiosi ritengono che la minaccia letale nei confronti dei leader possa fungere in qualche modo da deterrente per tali azioni violente. Tuttavia, l’ISIS è sopravvissuta, proprio come Al Qaida sopravvisse alla morte di Osama bin Laden nel 2011 (sotto la presidenza di Obama), senza sgretolarsi.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti si è trattata certamente di una vittoria importante, viste le difficoltà che l’amministrazione di Trump sta attraversando in questo periodo.
I funzionari del governo rassicurano gli alleati: gli Stati Uniti rimangono impegnati alla lotta all’ISIS in Siria; tuttavia l’inversione della linea politica di Trump vi pone ostacolo. Improvvisa la decisione di ritirare le forze armate dal nord della Siria e non opporsi all’offesa militare turca. È stata proprio la repentinità della decisione a insinuare il dubbio negli alleati: qualunque tipo di accordo potrebbe dunque essere ribaltato dal presidente.
Trump ha dichiarato che le centinaia di truppe americane rimarranno in Siria solo per assicurarsi quei territori grondanti di petrolio.
Proprio il giorno prima un funzionario del dipartimento di Stato aveva invece asserito che il ruolo primario delle forze americane in Siria fosse invece quello di combattere il gruppo estremista. Assicurarsi i giacimenti petroliferi sarebbe stato uno scopo solo secondario.
Alcuni diplomatici l’hanno considerata come la perdita di una chiara strategia statunitense in Siria. Il territorio siriano era infatti stato strappato all’ISIS solo 7 mesi prima. Iniziative unilaterali che avrebbero potuto mettere a repentaglio tale risultato sarebbero state da evitare.
L’ammonimento: il califfato non è caduto
Domenica 10 Novembre a Kirkuk, nel nord dell’Iraq, cinque militari italiani sono rimasti feriti nel corso di un’esplosione. Le truppe italiane in Siria e in Iraq svolgono attività di addestramento e supporto. Il fine: preparare le Forze di sicurezza irachene e i Peshmerga curdi all’eventuale offensiva dell’ISIS. Non è chiaro se fossero loro le vittime designate dall’attacco. Portato a termine con un ordigno rudimentale, il giorno successivo è proprio l’ISIS a rivendicarlo.
Numerosi simili attacchi hanno afflitto l’area negli ultimi mesi.
Il messaggio che l’ISIS intende lanciare è chiaro: la morte di Al-Bagdadi non ne ha segnato la fine o il declino.
La rivendicazione avviene con un comunicato stampa di propaganda. Sull’organo di stampa ufficiale dell’ISIS, Amaq, si legge: “Con l’aiuto di Dio, i soldati del Califfato hanno colpito un veicolo blindato 4×4 con a bordo esponenti delle forze della coalizione internazionale crociata ed esponenti dell’antiterrorismo dei Peshmerga nella zona di Qurajai, a nord di Kufri, con un ordigno piazzato sul terreno causandone la distruzione e ferendo 4 crociati e 4 apostati”.
Il segnale non è esclusivamente di avvertimento al mondo occidentale e ai nemici dello Stato Islamico. È anche una rassicurazione ai suoi sostenitori.